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Filosofia, attentati, primitivismo, utopia: breve storia di Unabomber

La matematica, gli anni di formazione e insegnamento ad Harvard e Berkeley, i pacchi bomba, l'antiglobalismo e il rifiuto della tecnologia: fenomenologia del killer più popolare di tutti i tempi, morto ieri all'età di 81 anni

Foto via Getty

La morte di Theodore John Kaczynski, detto “Ted” ma noto alle cronache come “Unabomber”, segna il tramonto di un profilo criminale totalmente atipico e disfunzionale; uno di quelli irripetibili, destinati a plasmare la cultura pop e a dare vita a una quantità spropositata di libri inchiesta, romanzi (Fight Club vi dice qualcosa?), film (Matrix, ricordate?) documentari, serie tv di successo (Manhunt) e forum di discussione dedicati.

Il primo elemento che balza all’occhio quando si parla di Kaczynski è, per forza di cose, un acume spropositato: quando aveva 11 anni, un test stimò il suo quoziente intellettivo in 165 (superando ampiamente la soglia del 130, quella in cui si entra a far parte della cerchia ristretta dei plusdotati, per intenderci).

Figlio di immigrati polacchi, fu incoraggiato ad iscriversi ad Harvard – una delle università più prestigiose al mondo – e nel 1958 fu immatricolato, a soli 16 anni. Proprio in Massachusetts Kaczynski vive un periodo di formazione inestimabile – frequenta le lezioni tenute dal filosofo e logico statunitense Willard Quine, risultando il migliore del suo corso con una valutazione pari al 98,9%. Durante la permanenza universitaria, il giovanissimo Ted fa anche la conoscenza di Henry Murray, uno stimatissimo professore di psicologia, che lo inserisce in un corso molto particolare. Il barone universitario, legato alla CIA (anzi, all’ OSS – Office of Strategic Services, antenata della CIA), stava conducendo ricerche sperimentali sul controllo mentale e, in soldoni, sul modo migliore per spingere eventuali spie russe a confessare durante gli interrogatori. Ma anche renderle inoffensive, leggasi farle uscire di testa, poteva essere considerato un buon risultato. Progetto MKUltra era il nome dell’operazione. Dunque Murray, in mancanza di cavie, assoldava (anche) giovani studenti di Harvard pieni di stima nei suoi confronti e li sottoponeva, senza il loro esplicito consenso, ad esperimenti aggressivi dal punto di vista psicologico quando non fisico. Legati ad una sedia, con gli elettrodi in testa, i ragazzi subivano attacchi verbali atti a minare le loro certezze, oppure elettroshock “per vedere l’effetto che fa”.

Si laurea, ottiene un dottorato in matematica presso l’Università del Michigan e diventa un luminare della teoria geometrica delle funzioni. Nel 1967 inizia a insegnare a Berkeley, dimettendosi dall’incarico senza dare spiegazioni nel 1969, ad appena 26 anni.

Per Kaczynski la decisione di abbandonare il mondo accademico è una sorta di epifania: negli anni ad Harvard aveva avuto modo di approfondire i suoi studi circa l’impatto che la tecnologia stava avendo nella contemporaneità. Secondo Kaczynski, l’uomo avrebbe dovuto rendersi conto al più presto di essere diventato schiavo della tecnologia, di quelle macchine che lui stesso aveva inventato per poi ritrovarsi in catene. Suo fratello David, nel memoir Every Last Tie, scrive che le fascinazioni luddiste del fratello sarebbero da ricercarsi in un libro del filosofo francese Jacques Ellul, La società tecnologica.

Nel 1971 si trasferisce a Lincoln, in Montana, optando definitivamente per uno stile di vita primitivista, antiglobalista e allergico al mercato: vive in una minuscola cabina in legno, appena 11 metri quadri, sprovvisto di elettricità e acqua corrente, ottiene ciò di cui sfamarsi dalla caccia e dal raccolto: chiuso nel suo isolamento perfetto, comincia a pianificare i suoi attentati. La baracca è il laboratorio di sperimentazione in cui passa il tempo fabbricando ordigni, prendendo appunti e riempendo taccuini in cui vengono annotati i progressi nella costruzione dei detonatori e i nomi delle potenziali vittime.

Nella mattinata del 25 maggio del 1978, uno degli addetti alla sicurezza della University of Illinois trova per terra un pacco. Il mittente è un docente di un’altra università, la Northwestern: Buckley Crist. Come da prassi, l’uomo della security riconsegna il pacco al professore. Crist lo osserva con attenzione. Non sa nulla di quella scatola che ha tra le mani, anche se sulla facciata superiore è attaccata una targhetta che riporta proprio il suo nome. Non sa come comportarsi e, col passare dei minuti, i sospetti non fanno che aumentare: non ricorda di aver spedito nulla recentemente, il peso del collo lo insospettisce e, cosa più importante, quella non è la sua grafia. Insospettito, e decisamente troppo impaurito per svelare l’arcano, Crist contatta una sua vecchia conoscenza, Terry Marker, un agente di polizia, che lo raggiunge in ufficio. Marker apre la scatola e dà il via a un’esplosione che, per fortuna, gli causa solo qualche bruciatura e un brutto shock. Il battesimo del fuoco di Unabomber comincia così, con un tentativo fallito, ma rappresenta il primo capitolo di una lunga storia di sangue.

Nel 1995, dopo 16 pacchi bomba, 3 uccisioni e 23 ferimenti, Ted decide di uscire allo scoperto: spedisce diverse lettere alle redazioni di svariati quotidiani, chiedendo che il suo manifesto ideologico, La Società Industriale e il suo futuro, fosse divulgato in modo inalterato, garantendo come contropartita l’epilogo dei suoi attacchi terroristici. Dopo mesi di trattative all’insegna della tensione, il 19 settembre il manifesto viene pubblicato dal New York Times e dal Washington Post. Il testo, battuto interamente a macchina, desta scalpore: ha la struttura di una specie di carta d’intenti, consta di 35mila parole e vorrebbe porsi come una critica puntuale al progresso e all’innovazione tecnologica, raffigurate come l’apogeo di tutti di mali. Il primo dei 232 punti che compongono il Manifesto, se letto con le lenti odierne, è piuttosto condivisibile: «La rivoluzione industriale e le sue conseguenze sono state un disastro per la razza umana. Esse hanno incrementato a dismisura l’aspettativa di vita di coloro che vivono in paesi “sviluppati” ma hanno destabilizzato la società, reso la vita insignificante, assoggettato gli esseri umani a trattamenti indegni, diffuso sofferenze psicologiche (nel Terzo mondo anche fisiche), inflitto danni notevoli al mondo naturale». Invettive velenose sono poi quelle rivolte alla “sinistra moderna” statunitense e alla casta dei “baroni universitari”, quei docenti e ricercatori cui spesso destinava i propri ordigni e che, dal suo punto di vista, ingrossano i portafogli delle multinazionali, contribuendo alla rovina dell’ambiente e dell’ecosistema e alla mortificazione dell’individuo con la loro fede cieca nel capitale.

Come sottolinea Giulio Meotti in un interessante approfondimento pubblicato sul Foglio, quando Ted diventa un volto noto in molti cominciano a riconoscere una certa razionalità ai suoi scritti. Su The Nation, lo scrittore Kirkpatrick Sale arriva a definire Unabomber «un uomo razionale le cui credenze sono ragionevoli». Di più, Sale parla de Lo Società Industriale e il suo futuro come di un testo «assolutamente cruciale per il pubblico americano e dovrebbe essere in prima linea nell’agenda politica della nazione». Lo scrittore Robert Wright su Time spiega che «c’è un po’ di Unabomber nella maggior parte di noi». Un saggio sul New Yorker di Cynthia Ozick descrive Unabomber come «il nostro Raskolnikov», scomodando l’assassino attraente, spaventoso e visionario di Delitto e castigo. Ozick cala Unabomber nei panni di «criminale filosofico di eccezionale intelligenza spinto a commettere un omicidio da un idealismo senza compromessi. Il suo sogno era una terra verde e piacevole liberata dalla maledizione della proliferazione tecnologica». Alston Chase, in un lungo saggio pubblicato sul mensile Atlantic, fa invece risalire l’ideologia di Unabomber alla «facoltà di Harvard, divisa tra chi, vista l’esperienza nella Seconda guerra mondiale e i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, vedeva la scienza e la tecnologia come una minaccia per i valori occidentali e la sopravvivenza, e quelli che vedevano la scienza come una liberatrice dalla superstizione».

Per tutti questi motivi, La società industriale e il suo futuro ha rappresentato, per anni, la base di scopiazzature più o meno evidenti, su tutte quella di Anders Behring Breivik, il fondamentalista islamofobo norvegese che nel luglio 2011 uccise 77 persone in due attacchi terroristici coordinati a Oslo e Utoya, che poco prima degli attentati pubblicò un manifesto che riprendeva parola per parola quello di Unabomber.

La morte di Kaczynski non è soltanto la fine di uno dei serial killer più influenti di sempre: le rivalutazioni del suo pensiero, gli esperimenti di emulazione (ne sappiamo qualcosa anche in Italia) e i continui tentativi di riprendere le fila dei suoi scritti ci terranno compagnia ancora a lungo.

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