Com’è che si misura il successo di un’edizione del Festival di Sanremo, dagli ascolti delle puntate o da quello dei pezzi in gara? E ancora: dal suo impatto sulla cultura popolare, da quanto se ne parla insomma, o dalle polemiche? Ecco, nel caso in cui fosse questione di dibattito intorno, quest’ultima sarebbe tra le migliori di sempre, per il momento politico e sociale in cui si è svolta, scivoloso, e perché è davvero un Festival su misura di generazione zeta e millennial, il che l’ha reso una polveriera per chi lo guarda e appartiene a un’altra età. Tant’è che, a una settimana dalla fine, se ne parla ancora. E non è poco.
Il gioco a nascondino sui temi sociali, lo abbiamo visto, ha fatto sì che le frasi di Ghali e Dargen D’Amico sulla guerra a Gaza e il dramma dei migranti nel Mediterraneo fossero percepite come una notizia anche solo per il fatto che erano state espresse, e i talk show dal giorno zero si sono messi in fila per averli ospiti. Ieri sera, per esempio, Ghali è stato da Fabio Fazio sul Nove, a Che tempo che fa. «Uno fa una cosa per tutta la vita e a un certo punto sentiamo che non si può più fare», ha detto, riferendosi a come dopo il suo intervento a Domenica In, da Mara Venier, la Rai se ne sia dissociata facendo leggere alla presentatrice un comunicato di sostegno a Israele. «Per me è importante condividere, qualsiasi cosa deve essere condivisa, le ricchezze che abbiamo su questo pianeta non sarebbero tali se non fossero condivisibili. Sono ricchezze solo se sono condivise, se tutti stanno bene». Per il resto, ha parlato del suo ritorno – ha ammesso di aver proceduto «per inerzia» negli ultimi anni, e di essersi poi «fermato a ragionare su come tornare a fare qualcosa di straordinario» – e del ruolo della trap oggi. «Ha la stessa funzione di quel che facevano un tempo i cantautori, riferivano il codice della strada, come De André che usava lo slang della strada, e degli ultimi. I giovani ci si ritrovano perché riconoscono il linguaggio della vita vera».
Alla fine c’è stato un siparietto identico a quello che lo aveva coinvolto con il suo “alieno”, Rich Ciolino, al Festival, solo che stavolta l’extraterrestre ha parlato all’orecchio di Fazio, che ha riportato quelle che sarebbe le sue parole: «Ha detto stop a tutte le guerre, ai respingimenti, stop alle ingiustizie, a quelli che dicono “aiutiamoli a casa loro”, ha detto stop stop stop». Come fa notare il Corriere della Sera, è sparito ogni riferimento al «genocidio», un termine che negli ultimi giorni aveva fatto discutere perché per alcuni conteneva un giudizio politico – non era, insomma, una parola neutra che riportava al buon senso, ma un’opinione netta sull’operato di Israele. E con questo finale, più ecumenico, si passa all’altra grande polemica del Festival.
Quella, cioè, che ha coinvolto Geolier, il voto popolare, Napoli e tutto il cucuzzaro. Si sa: il rapper di Secondigliano è del 2000, usa dei codici e un linguaggio hip hop difficili da comprendere per chi ha una certa età, come ha dimostrato la “difesa” goffa di Corrado Augias su Repubblica la scorsa settimana; eppure, sabato Geolier è stato “benedetto” da Roberto Vecchioni, cantautore di tutt’altra generazione ma che ha dimostrato spesso di essere vicino alla sensibilità dei giovani (sarà che per una vita ha fatto il professore). «Innanzitutto ha cantato una canzone non semplice», ha spiegato al programma tv In altre parole, di Massimo Gramellini, su La7. «Se qualcuno ha capito il testo, lì si tratta di “ognuno va per la sua strada perché pur amandoci non ci capiamo”, e non è un tema proprio facile, è un tema importante, sono cose notevoli». Sui fischi, Vecchioni – che è cresciuto in Brianza ma ha origini napoletane – ha aggiunto che «c’è dell’invidia, perché Napoli è un regno dal 1200, quando altrove si pascolavano le capre».
Sempre da Gramellini è stata ospite anche Fiorella Mannoia, ormai venerata maestra reduce anche lei dall’ultimo Sanremo. Di fianco ad alcune sue battaglie storiche come quella per l’emancipazione femminile e contro la violenza sulle donne, e di fianco anche a un pensiero sulle grandi dimissioni di Sangiovanni («Una scelta adulta, mi ha sorpreso. Ha dimostrato coraggio e maturità. Gli siamo stati tutti vicini»), ha tirato in ballo i testi «dei trapper, che a volte nei testi scrivono cose oscene nei confronti delle donne». La soluzione? «Censurare non serve», ma «invitare alla responsabilità». Lo stesso Geolier è stato accusato di sessismo e inneggiamento alla violenza per alcune canzoni degli esordi. «Ma sbagliare», ha concluso, «all’inizio ci sta. Il mondo è pieno di cantanti che partono con il piede sbagliato e poi crescono. Non scordiamoci che sono ragazzi, e non facciamo i bacchettoni; chi non è stato stupido a 18 anni?». Infine, sul daspo promesso dalla Lega ai cantanti che esprimono opinioni politiche a Sanremo «la pernacchia è stata l’unica risposta che mi è venuta», mentre per quanto riguarda Ghali «sposo tutte le parole che ha detto». Un cerchio che si chiude, in attesa delle prossime polemiche.