Giuseppe De Bellis: «Rallentare e approfondire: oggi solo così l’informazione può essere autorevole» | Rolling Stone Italia
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Giuseppe De Bellis: «Rallentare e approfondire: oggi solo così l’informazione può essere autorevole»

Sky TG24 è il primo media tv d’informazione per affidabilità e cresce tra gli under 35. Come ci è riuscito ce lo spiega il suo direttore, che segue la filosofia del less is more ‘less is more’

Giuseppe De Bellis: «Rallentare e approfondire: oggi solo così l’informazione può essere autorevole»

Giuseppe De Bellis, direttore di Sky TG24

Foto: Sky

In un mondo sempre più interconnesso, basato sulla velocità e la difficoltà di verificare le notizie, c’è quanto mai bisogno di un’informazione che riesca a stare al passo coi tempi e senza dimenticare per strada la propria identità. In questo senso, la presentazione della nuova stagione di Sky TG24 ha rappresentato un nuovo inizio per il canale all news, ma anche la conferma di aver investito nel modello giusto per confrontarsi con il presente che cambia in modo frenetico. Non a caso il Digital News Report 2024 dell’Istituto Reuters, l’analisi annuale sulle potenzialità e i problemi dell’informazione mondiale in 47 Paesi (per la prima volta anche in italiano), ha confermato la testata diretta da Giuseppe De Bellis come il primo media televisivo d’informazione per affidabilità, al secondo posto dopo Ansa e a pari merito con Il Sole 24 Ore nella classifica generale. Estrapolando i dati, poi, la sua attendibilità è salita dal 69% al 75% nella fascia under 35 (tra i 15 e i 34 anni) garantendogli il primo posto in classifica. Risultati importanti, ancor di più in un periodo così caotico a causa della presenza-interferenza dei social e in vista dell’avvento dell’intelligenza artificiale che, come ogni rivoluzione, promette di riscrivere le regole del settore. Ma De Bellis, direttore di Sky TG24, ci ha spiegato perché in un mondo così veloce non bisogna avere timore a rallentare.

Direttore, il Digital News Report 2024 di Reuters sull’affidabilità delle testate ha certificato Sky TG24 al secondo posto dietro solo ad Ansa, mentre siete primi a pari merito sempre con Ansa nella fascia degli under 35.
Di tutte le classifiche o i dati che guardiamo, questo è il ranking che ci sta più a cuore. Perché noi abbiamo costruito la nostra identità su questi elementi, confermati negli anni precedenti.

Ma come si riesce a essere autorevoli in un mondo dominato dai social?
Non c’è una sola ricetta. E noi non vogliamo ergerci a giudici o professori su come ci si debba comportare. Noi ci muoviamo in questo modo: in un’epoca di estrema velocità, siccome l’affidabilità passa dalla fisicità di quello che dici e che devi verificare, oggi hai pochi mezzi che non passino attraverso l’accettazione dell’idea di rallentare.

In un settore che corre velocissimo, rallentare perché non è controproducente?
Noi abbiamo rallentato e approfondito. Siamo passati dall’estrema velocità a una velocità minore, anche sui social e sul web, e non abbiamo più per forza l’ambizione di essere i primi, ma abbiamo invece quella di essere coloro che la notizia la danno meglio. Da qui abbiamo costruito un percorso, con più approfondimenti televisivi e digitali. E ci siamo messi a scegliere di più. Copriamo meno cose ma in maniera più profonda. In buona sostanza, ci siamo concentrati a raccontare il perché accade qualcosa, più che a raccontare che cosa accade. Fino a qualche anno fa il motto era: “SkyTg24, le notizie e tutto il resto”. Prima la notizia era centrale, adesso “tutto il resto” ha assunto un valore altrettanto importante.

Insomma, fare informazione non è solo una gara sui numeri ma anche un servizio per i cittadini?
Sì, non ci mettiamo a fare la gara sui morti. Aspettiamo il necessario e una volta che sappiamo che è la notizia è vera la diamo al cento per cento. Mino Raiola è morto due volte e noi non siamo caduti in quella tentazione. Non dico che chi ci è caduto è peggio di noi, ma che si è fatto prendere dalla frenesia di vincere la gara della velocità, quando la gara alla profondità è più interessante.

Sembra anche un cambio antropologico per il giornalista stesso, abituato da sempre a dare per primo la notizia rispetto agli altri.
Io non voglio mai arrivare secondo, anzi, vorrei essere sempre l’unico a dare una notizia. Però, purtroppo, oggi che prezzo ha tutto questo? Trent’anni fa il primo che dava la notizia usciva comunque sul giornale del giorno dopo e aveva un tempo di elaborazione utile a verificarla. C’era più l’idea dell’esclusiva che della velocità. Questo non è cambiato. Ma se per avere più traffico e audience devo vincere una gara per un minuto e poi se sbaglio, ne vale la pena?

Giuseppe De Bellis in studio. Foto: Sky

Un cambio radicale di approccio che, incredibilmente, ha attirato più i giovani anche rispetto a fasce d’età più alte.
Questo è un dato particolarmente importante, anche se può sembrare all’apparenza secondario. Per la prima volta nell’analisi è stato inserito il fattore anagrafico, e vedere che fra gli under 35 noi siamo la testata che riscuote la maggiore credibilità mi inorgoglisce ancora di più. Perché quello è il pubblico del presente, ma soprattutto il pubblico del futuro.

Le sfide, però, non mancano. Le persone vogliono l’informazione, ma non vogliono pagarla. Come si concilia tutto questo con una testata come la vostra che è nata sull’abbonamento?
È una sfida per noi che nasciamo in un ambiente pay, ma è una sfida aperta a tutti. Noi siamo il primo notiziario televisivo a pagamento, anche se oggi abbiamo spazi anche non a pagamento, ma il dare valore a qualcosa che abbia alle spalle una scelta ponderata del pubblico è parte del nostro Dna. Questa scommessa va oltre a noi, perché tutta l’informazione deve ragionarci in maniera approfondita. L’idea della gratuità assoluta non potrà durare a lungo, altrimenti si andrà incontro all’insostenibilità economica delle realtà editoriali e gli errori saranno sempre maggiori. È un tema di grande dibattito e noi siamo interessati a capire qual è l’evoluzione più corretta per una trasformazione del modello in generale.

In un settore già in grande trasformazione ora entra anche L’IA. Da un lato c’è il timore che possa togliere posti di lavoro, dall’altro fa intuire grandi potenzialità. La verità sta nel mezzo?
Noi abbiamo deciso di investire su vari livelli. Sia per capire come utilizzare questa innovazione a vantaggio dell’informazione sia per trasferire conoscenza a un pubblico che spesso non ha gli elementi sufficienti per comprenderla. Infatti abbiamo realizzato dei programmi per approfondire e continueremo a farlo. Io sono ottimista, non esiste una rivoluzione a costo zero, ma la Storia ci ha insegnato che hanno avuto più effetti positivi che negativi sul medio-lungo periodo. L’IA nello specifico ha delle componenti di rischio, come quella di essere talmente simile all’essere umano da rendere esponenziali anche i nostri difetti, quindi mentire o creare realtà parallele, però la stessa tecnologia può essere utilizzata per scovare le notizie false o per verificare le notizie vere con una velocità inimmaginabile. Quindi può essere un’arma a favore dei giornalisti.

Siamo in periodo di elezioni. Quelle francesi, pochi giorni prima in Gran Bretagna, a breve negli Stati Uniti. Che segnali arrivano oggi rispetto alle campagne elettorali e ai risultati che ne conseguono?
Intanto che l’informazione è un elemento essenziale per l’esercizio della democrazia e anche queste elezioni lo hanno dimostrato. Perché è ovunque, anche dove pensiamo che non ci sia, come i social. O rispetto a chi pensa che la politica possa fare a meno dell’informazione utilizzando i social direttamente con i cittadini. Ma pensiamo se, da un momento all’altro, ci fosse un blackout di informazione nel mondo che cosa succederebbe.

Eh, cosa?
Che il mondo resterebbe senza una bussola. L’informazione è un interlocutore del potere e un contro-potere, oltre che una luce nell’oscurità, come recita la testata del Washington Post. E io penso che in generale le elezioni raccontino che è quanto mai necessaria. Faccio un esempio. Il dibattito Biden-Trump si è svolto negli studi della CNN, con la professionalità di quei giornalisti ma anche il fatto che non hanno mai risparmiato critiche a Trump. E lui ha accettato perché c’erano regole chiare. A un certo punto, però, è successo qualcosa: le défaillance di Biden. Ecco, nonostante la CNN sia il più grande “nemico” di Trump, gli ha servito involontariamente un assist. Ma l’informazione ha fatto semplicemente il proprio dovere e lo fa anche quando è schierata, se lo dichiara, perché è un elemento che fa parte del dibattito delle grandi democrazie. E sono rammaricato che in Italia non ci sia stato il dibattito.

Come mai?
Noi siamo stati i primi a chiederlo, almeno apertamente. Poi Bruno Vespa può averlo fatto in privato. Ma noi nella conferenza stampa di fine anno abbiamo chiesto alla premier Giorgia Meloni se fosse disponibile a un dibattito televisivo con Elly Schlein. È un peccato che non si sia fatto, né da noi né da altri. Invece nel Regno Unito, in America e in Francia ha dimostrato che è ancora uno straordinario esercizio di democrazia che arriva tramite l’informazione.

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