Da mesi un braccio di ferro continua a tenere banco in una scuola di Roma. È quello tra il dirigente scolastico e i docenti del liceo classico Pilo Albertelli, primo in Italia a rifiutare – per ben 4 volte – i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza destinati alla «Scuola 4.0».
Stando alle dichiarazioni ministeriali, servirebbero a digitalizzare gli istituti e creare un continuum con il mercato del lavoro, formando gli studenti su anacronistiche «professioni digitali del futuro». Se da un lato il funzionamento dei singoli ingranaggi è fondamentale per la riuscita del meccanismo Pnrr, di cui il governo deve rispondere direttamente all’Unione europea, dall’altra la miccia accesa dall’Albertelli sta coinvolgendo altre scuole contrarie a un’imposizione dei progetti dall’alto.
Questo tentativo di sistematica e definitiva digitalizzazione delle scuole, iniziato 18 anni fa con l’introduzione della lavagna interattiva multimediale (Lim), si inserisce in un altro più ampio fenomeno di trasformazione. Dalla legge Bassanini, accanto alla precarizzazione del corpo docenti, si è assistito a un processo di aziendalizzazione degli istituti, con un’organizzazione verticistica guidata da un preside-manager.
L’ultima occasione per accelerare il processo è stata servita su un piatto d’argento proprio dal Pnrr: il piano prevede lo stanziamento di 1,3 miliardi di euro per trasformare circa 100mila classi tradizionali in «Next Generation Classroom», ovvero ambienti di apprendimento «innovativi», e altri 425 milioni per i «Next Generation Labs», laboratori di formazione, utili anche a «costruire alleanze con le imprese». Con l’aggiunta di ulteriori 289 milioni di euro per il finanziamento di progetti già attivi, si arriva a un investimento totale di 2,1 miliardi di euro. «Un’ipoteca sulle generazioni future – l’ha definita Anna Angelucci, docente del liceo classico Tacito di Roma –, su cui servirebbe una vigilanza più severa».
Rispettando un target prestabilito di classi e criteri stringenti, ogni istituto deve sottoporre il proprio progetto alla valutazione del ministero. «Moltissimi sono delle fotocopie, perché ci sono dietro delle società private che offrono alle scuole dei progetti preconfezionati», spiega Giulia, docente di una scuola media di Roma. Quello elaborato personalmente dal dirigente dell’Albertelli, Antonio Volpe, consiste in parte nel finanziamento di corsi dai nomi altisonanti e dalla dubbia traduzione, come il Curation Manager – che dovrebbe occuparsi di curare le playlist –, il Digital Curator e il Digital Media Curator. Andando nel dettaglio, i progetti ambiscono a insegnare come «girare video con uno smartphone, realizzare filmati e pillole per i social, con attenzione crescente ai contenuti per le Instagram stories, analizzare i dati e i trend di ascolto streaming dei brani musicali». «Non solo pensano che non sappiamo già realizzare storie per Instagram, ma che sia quello a cui tutti aspiriamo dopo il liceo» replica Licia, studentessa dell’Albertelli. L’altra parte del piano prevede l’acquisto di digital board, tablet e stampanti, in un istituto che possiede già 41 smart tv, 7 proiettori e 90 computer.
Un progetto da 274 mila euro in totale, bocciato per ben 4 volte: una dal consiglio docenti e tre dal consiglio d’Istituto. In una scuola che, come la sanità, è tra le prime voci a essere tagliate da oltre 30 anni, il rifiuto di fondi europei è difficilmente compreso dall’esterno. Oltre che un investimento, i fondi sono però anche un trasferimento di debito sulle future generazioni, il cui tasso di interesse verrà stabilito solo al momento della restituzione. «È come se ci fossimo addormentati, prendiamo quello che ci arriva senza capire di che si tratti – dice Serena Iacovelli, membro del consiglio di Istituto dell’Albertelli. Non abbiamo detto di no a 274 mila euro, ma a un debito su cui non abbiamo voce in capitolo».
Il 28 aprile, però, quando è stato sottoposto al consiglio dei docenti per la prima volta, il progetto era stato già caricato sulla piattaforma ministeriale da oltre due mesi, per rispettare la scadenza del 28 febbraio. E i soldi, nonostante i rifiuti, sono già arrivati nelle casse dell’Albertelli e dovranno comparire in bilancio. «Ora bisogna vedere cosa accadrà. Quali saranno le forzature antidemocratiche del ministero per obbligarci a spenderli», aggiunge Iacovelli.
Davanti le scale del ministero dell’Istruzione in viale Trastevere a Roma, il 26 giugno, un presidio di studenti, genitori e docenti di licei di tutta Italia ha voluto ribadire un’idea diversa di scuola. «Avrò il diritto di dire se mi sia utile o meno fare lezione usando la realtà aumentata? Se volete finanziare la scuola abbiate l’intelligenza di chiedere cosa serve, piuttosto che imporre progetti di dubbia utilità», ha contestato un docente dell’Istituto tecnico Vittorio Lattanzio. Quello che servirebbe, raccontano un po’ tutti, è l’assunzione di personale scolastico, la costruzione di spazi per risolvere il problema del sovraffollamento, nuove biblioteche, l’adeguamento di istituti perlopiù fatiscenti.
Ma anche «uno sportello psicologico più efficiente – racconta Licia –, perché adesso viene messa a disposizione una psicologa per poche ore la settimana e non bastano per tutti». Per non parlare del problema degli insegnanti. «Ho appena finito il quarto anno e, tranne che per una professoressa di matematica, ho sempre cambiato tutti i docenti. In più le cattedre vengono spesso assegnate tardi: l’insegnante di storia e filosofia è arrivata a novembre. È questo che influisce davvero sulle nostre competenze», continua la studentessa. In aula sono più di 30, perché ogni anno le classi vengono smembrate e accorpate per far fronte a un numero di docenti prestabilito, che non segue le reali necessità degli istituti. «Si sta riconsiderando il ruolo della scuola, che invece di adeguarsi alle esigenze degli studenti si adegua a quelle del mercato», osserva la docente del Tacito.
Prima di disperdersi, il presidio ha lanciato la proposta di una mobilitazione a settembre, così che quello dell’Albertelli non rimanga un caso isolato. «Estenderemo la lotta per ribadire che la scuola è nostra e non possono fare quello che vogliono», conclude Licia. Su 8.230 istituti italiani, al momento, al rifiuto dell’Albertelli si sono accodate altre due scuole. Ma è già un punto di partenza.