Chiariamo: il rapporto praticamente farsesco che lega il governo Meloni con il mondo della cultura italiano trascende le dichiarazioni di antifascismo, la censura del caso Scurati e tutto il resto; mette le radici assai prima, nella quasi totale assenza di una classe intellettuale italiana vicina alla destra stessa negli ultimi quarant’anni, in un vuoto pneumatico che ha finito per oscurare anche ciò che c’era prima. Si spiegano così i tentativi più o meno disperati del N inistro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, di recuperare, neanche troppo ripulire e comunque nobilitare ciò che è andato perso, tipo dedicando una mostra al filosofo Giovanni Gentile (quello della riforma della scuola, amico del fascismo, è aperta a Roma fino a luglio) o prendendo per il collo nientemeno che Dante, fino a definirlo «uno dei padri del pensiero di destra», facendo inorridire generazioni di dantisti.
Questo per dire che l’ultima euro-figuraccia appena raccolta alla Buchmesse – tra le più importanti fiere del libro del mondo, che si svolge dal 1949 a Francoforte e quest’anno sarà dal 16 al 20 ottobre – e che ha coinvolto Roberto Saviano, e a catena altri scrittori italiani, è strutturale e preventivabile. Si parla sostanzialmente di un incontro tra editori internazionali, per vendere i diritti dei propri libri all’estero, tanto che l’evento è aperto al pubblico solo nel fine settimana. L’Italia oltretutto è l’ospite d’onore di quest’anno, e oltre ad avere un padiglione dedicato presenzierà con una delegazione di eccellenze del settore. Il tema è scelto da noi, “Radici nel futuro”, l’unico vincolo è che l’assortimento sia equilibrato e rappresentativo.
La compilazione della lista spetta a Mauro Mazza, commissario scelto da Meloni. Ebbene: Roberto Saviano non c’è, non è mai stato preso in considerazione. In conferenza stampa, Mazza ha raccontato di avere scelto opere «che fossero integralmente originali», ma la frittata era fatta: Saviano aveva denunciato la vicenda accusando gli stessi intrighi visti il mese scorso in Rai, e il direttore della fiera, Jürgen Boos, che ci s’immagina abbia il polso sulla questione, oltre che l’autorità per decidere, l’ha invitato direttamente alla Fiera senza, in sintesi, dover passare per l’Italia.
Emorragia già partita, anzi no, peggiorata. A catena, tanti altri scrittori della delegazione – tra cui Sandro Veronesi e Francesco Piccolo – si sono sfilati. L’ultimo in ordine di tempo è stato Emanuele Trevi, che a Repubblica ha detto che ci sarà, a patto che possa venire anche Saviano. Ma tanti altri, da Erri De Luca a Dacia Maraini, si sono detti disponibili a partecipare a un boicottaggio, qualora ci fosse. Nel caso, sarebbe una Caporetto per l’Italia. E mentre l’Associazione Italiana Editori, che insieme a Mazza sceglie i nomi in questione, ha fatto sapere di essere partita dalle segnalazioni di editori e agenti letterari, tra le quali non c’era Saviano, la questione resta, eccome. Al di là del rischio di una diserzione di massa, Boos è già intervenuto, i giornali ne hanno già parlato, e in generale il nostro governo ha fatto la figura di chi non sembra legare molto con il mondo della cultura: ogni volta che si muove da quelle parti, pare che cammini sulle uova.
A maggior ragione perché, tra gli invitati, c’è anche chi ha declinato prima che il caso scoppiasse: tipo Paolo Giordano, che sentendo puzza di bruciato aveva chiesto in privato a Saviano se fosse stato invitato, e da lì aveva deciso di farsi fuori; o tipo lo stesso Scurati, che Mazza ha ammesso di aver contattato, ma che avrebbe dato la propria indisponibilità. E qui le conseguenze si traggono da sole: perché mai avrebbe dovuto rappresentare un pìPaese la cui delegazione è composta da un commissario nominato dalla premier che nell’ultimo mese l’ha messo in difficoltà, sfruttando tutta la disparità dei loro ruoli per fargli vivere una settimana di shitstorm?
A vederla dall’altro lato, potrebbe essere un problema, davvero, di classe intellettuale: se la destra al governo potesse pescare di più dai suoi, se solo li avesse, forse tutto filerebbe più liscio; invece, per questione di necessità, prestigio e mercato, deve scegliere tra scrittori tutti in un certo senso ostili alla sua linea, ed eccoci alle figuracce. Anche qui, però, se sapesse in qualche modo relazionarsi con il mondo della cultura, ne uscirebbe con meno spargimenti di sangue. Invece fa tutto parte di un disegno che parte con la guerra a Scurati e arriva in un’incomprensione continua e in un’ostilità non solo politica, e legittima peraltro, di gran parte degli scrittori stessi. Basta unire i puntini.