Dopo settimane di dibattito, abbiamo le tanto attese modifiche alla norma anti–rave contenuta nel decreto legge licenziato lo scorso 31 ottobre dal governo Meloni come reazione al free party di Modena: sono contenute in un emendamento presentato dal governo.
I dubbi sollevati da costituzionalisti e giuristi nelle scorse settimane riguardavano, in primis, la terminologia estremamente generica che, dal loro punto di vista, avrebbe potuto estendere l’applicazione della norma non soltanto a quelli che comunemente definiamo rave, ma anche ad altri tipi di raduni, come ad esempio scioperi e manifestazioni studentesche.
Ora il testo riformulato dagli uffici di Carlo Nordio, ministro della Giustizia, parla di «raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento». È venuto meno un altro requisito presente nella versione precedente, ossia la presenza di più di 50 persone – la valutazione spetterà alla discrezionalità del giudice chiamato a occuparsi di questi casi. Il testo specifica poi che, a essere perseguibili, saranno i soli organizzatori – mentre nella prima stesura del testo lo erano anche i semplici partecipanti, seppur in maniera minore.
A cambiare è anche l’articolo di riferimento del codice penale, non più il 434 (generico pericolo per la comunità ), ma il 633, che si riferisce «all’invasione di terreni o edifici».
Le pene, invece, rimangono quelle: detenzione dai 3 ai 6 anni, con multe da mille a a un massimo di 10mila euro. Come accade quando il massimo della pena risulta superiore ai 5 anni, gli investigatori potranno utilizzare le intercettazioni durante le indagini. Inoltre, potranno chiedere misure di custodia cautelare come la carcerazione preventiva. Che dire: non una formulazione morbida.