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Il silenzio di Giorgia Meloni sull’aggressione fascista di Firenze

La premier non ha ancora pronunciato parola sulla violenza subita dai due studenti del liceo Michelangiolo. Dovrebbe farlo, visto che parliamo della leader di un governo che, in più occasioni, è giunto a chiedere la galera per le proteste (non violente) e la vernice (lavabile) degli attivisti di Ultima Generazione

Da ieri si parla moltissimo di quanto accaduto lo scorso 18 febbraio, quando sei militanti di Azione Studentesca – movimento giovanile legato alla destra – hanno aggredito due studenti del liceo Michelangiolo di Firenze (entrambi parte del SUM, un collettivo antifascista).

La notizia ha catalizzato l’attenzione mediatica anche grazie alla diffusione di un video che mostra uno studente gettato sull’asfalto e preso a calci da uno dei militanti di destra – secondo quanto emerso nelle scorse ore, si tratterebbe di un adulto. 

Commentando l’accaduto, il sindaco Dario Nardella ha dichiarato che «Un’aggressione squadrista di questa gravità e davanti ad una scuola è un fatto intollerabile. Ho parlato il questore perché venga fatta chiarezza al più presto e vengano individuati i responsabili. Firenze e la scuola non meritano violenze del genere». Anche il deputato e segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, ha condannato l’accaduto: «Quello che avvenuto stamani a Firenze al liceo Michelangiolo è gravissimo e non può essere derubricato a rissa», ha detto, precisando che presenterà un’interrogazione al ministro dell’Interno.

La sezione fiorentina Fratelli di Italia di Firenze ha condannato la violenza in una nota, chiedendo però «chiarezza sull’episodio con la corretta ricostruzione dei fatti».

In tanti, comprensibilmente, aspettavano una presa di posizione ufficiale da parte di Giorgia Meloni. Il motivo è semplicissimo: basta fare una ricerca veloce per rendersi conto di come Azione Studentesca abbia rappresentato una presenza costante nel passato della premier, che nel 1996 ha anche ricoperto la carica di responsabile nazionale del gruppo.

Eppure, almeno fino a questo momento, la leader di Fratelli d’Italia sembrerebbe aver sposato la linea del silenzio: ieri, durante i venticinque minuti che hanno composto la consueta puntata settimanale de Gli appunti di Giorgia, non ha menzionato in alcun modo l’accaduto, preferendo focalizzarsi sulla vittoria della destra nelle elezioni regionali in Lazio e Lombardia – una vittoria, peraltro, trainata da un’altissima percentuale di astensionismo – e sul suo imminente incontro con Volodymyr Zelensky.

Ora: da quando è stata eletta, abbiamo imparato che Meloni è una politica intelligentissima e, per distacco, la personalità egemone della coalizione di centrodestra. È lei che dirige l’orchestra: l’ultima parola, quella capace di dettare l’indirizzo, è sempre e comunque la sua.

La scaltrezza che ha dimostrato negli ultimi mesi e la sua capacità di instaurare un dialogo con tutto lo spettro politico sono state in grado di mettere in difficoltà finanche le opposizioni: negli scorsi giorni ha incassato l’endorsement di Enrico Letta, che ne ha riconosciuto pubblicamente le capacità spingendo il New York Times – un quotidiano presso il quale il segretario uscente del PD gode di ottima fama – a sperticarsi in lodi per la veste istituzionale assunta da una leader che, fino a non troppo tempo fa, tutti percepivano come anti–sistema.

Anche i provvedimenti discutibili adottati negli ultimi mesi – il decreto anti–rave e quello contro le ONG – stanno passando in sordina dinanzi al gigantismo della sua figura, e la stessa idea di inventare un format come Gli appunti di Giorgia – uno stratagemma da influencer navigata, che le permette di porsi in connessione direttamente con gli elettori bypassando la narrazione di opposizione e quotidiani, è la dimostrazione compiuta dell’acume di questa leader.

Per tutti questi motivi la speranza è che, nei prossimi giorni, Meloni possa spendere qualche parola sull’accaduto. Lo ripetiamo: la formazione politica della premier ha preso le mosse proprio dalla militanza in Azione Studentesca e ancora prima in Azione Giovani, l’associazione dalla cui scissione ha avuto origine il movimento che conosciamo oggi. Trincerarsi nel mutismo più assoluto nella speranza che l’opinione pubblica possa tralasciare un dettaglio così macroscopico sfiorerebbe il senso del ridicolo e non farebbe onore alla sua intelligenza – inoltre, come ha scritto il Corriere, sebbene attualmente «non esiste alcuna affiliazione tra il partito di Giorgia Meloni e Azione Studentesca», «l’osmosi tra le battaglie politiche dell’uno e degli altri è palese».

Anche le ulteriori ricostruzioni emerse nelle ultime ore – il quotidiano Il Tirreno ha ha raccontato che due giorni prima dei fatti del Michelangiolo, il 16 febbraio, un episodio simile stava per verificarsi davanti a un altro liceo fiorentino, il Pascoli: un copione con molti elementi in comune, ma in questo caso sarebbero state anche brandite delle cinghie – rendono difficile continuare a percorrere il terreno della vaghezza.

Peraltro, siamo sicuri che un governo che non perde occasione per impostare tutta la sua narrazione su una retorica securitaria serratissima e pervasiva, be’, non potrà esimersi dal commentare i fatti di Firenze e, anzi, dal condannarli nella maniera più intransigente possibile – anche perché parliamo dello stesso esecutivo che, in più occasioni, è giunto a chiedere la galera per le proteste (non violente) e la vernice (lavabile) degli attivisti di Ultima Generazioneparola del ministro delle Infrastrutture.

Per il momento regna il silenzio: rimaniamo in fiduciosa attesa.

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