Nel settembre del 2010 alla Mostra del cinema di Venezia, Aurelio De Laurentiis riceve un premio dalla rivista Variety. La motivazione è la seguente: «È sempre stato in grado di rimanere in contatto con i gusti del pubblico e ha un innato radar per le pulsioni pop, ha senso degli affari e una reale disponibilità a rischiare». Questo chiaramente vale per il cinema. Se lo ribaltiamo sulla sua esperienza nel calcio, però, il quadro cambia, anche se di pochissimo. Mi spiego meglio: due di queste affermazioni sono vere, l’altra è falsa.
Partiamo da quella falsa: bisogna andare indietro non di molto. Siamo a luglio 2022, poco meno di un anno fa. Presentazione ufficiale del Napoli in vista della nuova stagione. Il clima è ostile, il mercato non ha soddisfatto i tifosi, peraltro delusi e feriti dalla cessione di Koulibaly e dalla partenza di giocatori importanti come Insigne. La società viene contestata e dal palco Spalletti, con la saggezza degli anni che l’hanno reso l’allenatore più anziano a vincere uno scudetto, spiega la posizione della società, le necessità, i bisogni, i programmi. Sembrano solo parole, come quelle che spesso anche la politica spreca per giustificare. Invece ora, con una mossa che ha un qualcosa di cinematografico, quelle parole hanno un non so che di profetico.
Sì, perché quando si parla di programmi, bisogni e necessità, i tifosi di ogni squadra ormai lo sanno e si mettono il cuore in pace, è tutto sotto il cappello della parola bilanci. E cosa gli vuoi dire a De Laurentiis? Prende il Napoli nel 2004 dopo il fallimento. Lo riporta in Serie in tre anni. Cresce gradualmente. Azzecca scelte tecniche frutto di ricerca e intuito. E questo è un messaggio per i cosiddetti top club di Serie A, perché basterebbe guardare un po’ più in là del proprio naso, qualche volta. Si chiama pensiero laterale.
Secondo stime di Calcio e Finanza, si passa perciò dai quasi 12 milioni di fatturato del 2005 al picco dei 300 nel 2017. Sono 176 nel 2022 e circa 3 miliardi sommando tutte le stagioni. Questi numeri ci dicono che sa fare l’imprenditore, e che lo sapesse fare non c’erano dubbi. I dubbi semmai riguardavano la sua conoscenza del mondo del pallone, che ha regole tutte sue. Certo, non che non si possa dire altrettanto di molti altri presidenti, ma tant’è, siamo in un periodo storico dove spesso – ma non è questo il caso – è anche difficili avere i presidenti come punti di riferimento.
Si è lanciato nella mischia del settore all’improvviso, quasi come un riconoscimento alla città, ed è stato innovatore in tanti campi. Ultimo esempio di questa sua capacità di “guardare oltre”, è stato l’intervento a Radio 24 di qualche tempo fa, dove ha detto che «il calcio è superato» e che si dovrebbe pensare di più alla logica dell’economia, osservare il modello Stati Uniti e riflettere sul fatto che siamo responsabili dell’allontanamento dei giovani da questo sport «estremamente vecchio».
Ora, la questione è sempre la solita: il cambio di prospettiva non prevede scuse. Oggigiorno, nel calcio soprattutto, ma non solo, si sale e scende dal carro dei vincitori con troppa facilità. Tra pochi giorni (il 24 maggio, nda) Aurelio De Laurentiis compirà 74 anni. Il “cinepresidente” è ormai sotto il Vulcano da quasi vent’anni, ha capito in fretta come funzionano le cose del pallone, ha mantenuto le promesse, ha fatto anche politica, nel senso più battagliero del termine alle assemblee di Lega Calcio, e poi ha fatto quello che sa fare meglio: cinema.
Come l’ha fatto? Affidandosi a cast vincenti, registi capaci, talenti dai nomi difficili da pronunciare, ma estremamente intriganti, esotici, straordinari, scelte pop in difesa, guerrieri mascherati. Ma non solo. Ci sono voluti anche innumerevoli tentativi alla regia, buoni anche questi per dei film: ringhio Gattuso, “Carletto” Ancelotti, guru Benitez e Sarri, un altro che di parabola ha vissuto e vive tutt’ora, dagli esordi in Seconda categoria alla Champions; quest’ultimo era la scelta da favola, altri erano lo star system che però all’uscita di sala lasciavano con qualche grosso punto interrogativo in viso: “sì, non male, ma mi più aspettavo di più con questi attori”.
Sono storie. Tutte storie. Alcune più riuscite, altre meno. C’è chi va al cinema per guardare film d’autore, chi per ridere a crepapelle, chi per un un’ora e mezza di sano intrattenimento. Un’ora e mezza sono 90 minuti, come la durata di una partita di calcio. Sarà un caso? De Laurentiis ha sempre riempito le sale, ora riempie stadi e strade. Questo è un talento che gli va riconosciuto al di là del bene e del male, al di là di meriti e demeriti. Aveva promesso un calcio divertente, come i suoi film. E c’è riuscito.