«Dalla bocca di lupo scorgo alcune guglie e immagino che si tratti di una cattedrale. In seguito scoprirò che in realtà è il Parlamento». Cominciano così gli stralci del diario di Ilaria Salis dal carcere pubblicati da Repubblica con il TG3 e scritti dall’attivista antifascista nelle primi giorni di detenzione, un anno fa, in Ungheria. Salis è in carcere a seguito di alcuni scontri avvenuti durante la cosiddetta «Giornata dell’onore», un raduno di neonazisti che avviene ogni 11 febbraio a Budapest – lei era lì per partecipare alla contro-manifestazione, ma le prove che abbia a tutti gli effetti partecipato agli scontri violenti, per ora, fanno abbastanza acqua.
Eppure, è in galera da più di un anno a Budapest in attesa di processo, in una struttura condannata per le condizioni che impone ai detenuti dall’Unione Europea. E, soprattutto all’inizio, è stata dura. In quelle che sono lettere che immagina di spedire ai famigliari («appena potrò comunicare sarà tutto più facile», si legge), racconta ciò che già era venuto fuori dal memoriale consegnato il mese scorso a La7: un carcere che sembra un lager, diritti basilari negati, ambienti squallidi e insalubri e la sensazione, soprattutto, di trovarsi in fondo a un pozzo, da dove è impossibile uscire perché le autorità del posto parlano un’altra lingua, non comunicano, e più passa il tempo e più sembrano metterla in difficoltà, mentre i processi fanno acqua. «Mi sento tumulata viva», dice a un certo punto.
All’inizio, in una lettera risalente ai primi di marzo, racconta la sua routine in cella da sola: lo sport «è il mio unico passatempo, perché non ho neanche un libro», l’ora d’aria «è sempre un’esperienza forte: lì hai davvero la sensazione di essere in prigione», nonché «l’unico momento in cui vedo altre detenute», che «mi scrutano a distanza come se fossi una creatura strana»; eppure uscire all’aria aperta «a volte piacevole e rilassante, altre volte mi agita alquanto». Le prime comunicazioni con casa, racconta, arrivano solo il 9 marzo, 28 giorni dopo l’arresto. «Parlare nella mia lingua, ascoltare voci affettuose e percepire la vicinanza delle persone scatena in me emozioni devastanti. Qualcosa esplode il mio petto e per la prima volta le mie guance sono rigate da calde lacrime».
Ma è una gioia che dura poco, perché il telefono le viene subito tolto e la detenzione, le dicono, viene prolungata. «Non posso e non voglio credere che questa pazzia sia reale. Non è possibile, li ho sentiti ieri per la prima volta dopo settimane! Non oso immaginare come saranno preoccupati e affranti i miei. Ed io sono qui in prigione in un Paese che non conosco, senza contatti e non capisco quasi nulla di ciò che accade intorno a me. Mi sento segregata in un mondo alieno, in un baratro oscuro “dove ‘l sol tace”».
Un anno dopo, non è più in isolamento, ma per il resto la giustizia è ancora in alto mare, così come la diplomazia italiana. Nel caso in cui i giudici indicassero i domiciliari come soluzione, il padre di lei, Roberto, ha già fatto sapere di avere trovato una sistemazione a Budapest: il punto è che il processo non sembra sbloccarsi.
Anzi, ieri dopo un colloquio tra il ministro degli Esteri Tajani e l’omologo ungherese, tramite il suo portavoce è venuta fuori tutta la vicinanza dell’Ungheria agli attivisti di estrema destra, parlando di «interferenze» da parte nostra nel processo di giustizia, e ha lasciato trasparire che con Salis useranno le maniere forti: «Questa signora, presentata come una martire in Italia, è venuta in Ungheria con un piano chiaro per attaccare persone innocenti per le strade come parte di un’organizzazione di sinistra radicale. Spero sinceramente che riceva la meritata punizione in Ungheria». «Sembra quasi che manifestare solidarietà a un’antifascista sia considerato in alcuni Paesi un’interferenza», ha commentato il padre di lei. Dalla Farnesina ribadiscono che «le condizioni di detenzione devono rispettare le normative europee che richiamano alla tutela dei diritti umani».
Forse qualcosina si muove: la prossima udienza, da maggio, è anticipata al 28 marzo. Ma la sensazione è che – vista l’ostilità dell’Ungheria, che sembra aver preso particolarmente a cuore il tema quasi a farne uno spot per la sua vicinanza ai neonazisti – si andrà comunque per le lunghe.