Certi personaggi sono così surreali da non sembrare veri e, leggendo di Javier Milei, non si può non pensare ad uno scherzo. Ma il vincitore delle primarie presidenziali argentine esiste davvero e ha già attirato l’attenzione dei media internazionali, diventando virale grazie a una ricercata miscela di cinismo politico e trash che ne ha lanciato il nome oltre i confini dell’America latina.
Per capire di chi stiamo parlando è necessario passare in rassegna i momenti salienti della sua storia e del programma con cui intende cambiare radicalmente l’Argentina. Nato nel 1970, Javier Milei sostiene di essersi interessato allo studio della macroeconomia all’età di undici anni dopo aver assistito al crollo del tasso di cambio e all’iperinflazione che ha colpito il paese, su queste basi inizia una carriera accademica che lo porterà a ricoprire il ruolo di professore universitario e consulente governativo.
In questo contesto, Milei scopre e si avvicina alle teorie dello stato minimo e all’ideologia anarco-capitalista, una vera e propria ossessione tanto che i nomi dei suoi cani saranno quelli dei maggiori pensatori della corrente: i mastini Murray (Rothbard), Milton (Friedman), Robert e Lucas (nome e cognome del noto economista statunitense). Il compianto Conan, mastino del branco deceduto recentemente, resta in contatto con il candidato grazie al lavoro di una medium.
Due anni fa la folgorazione politica. Milei si fa conoscere dagli elettori grazie a slogan ad effetto – dall’abolizione della banca centrale per “mettere fine all’inflazione” ai politici che “devono essere presi a calci in culo” – costruendo una piattaforma anti-establishment che ripropone gli stereotipi sempiterni del qualunquismo (il leader dell’opposizione ha messo a disposizione degli elettori il suo stipendio parlamentare perché quelli presi ai contribuenti “sono soldi sporchi”) e dichiara guerra allo stato, “un’organizzazione criminale che si finanzia attraverso le tasse prelevate alle persone con la forza” secondo il deputato di Buenos Aires.
Da queste premesse nascono le proposte più grottesche del candidato libertario: armi per tutti, perché “i criminali riescono già a procurarsele per conto loro” quindi tanto vale difendersi, abolizione dei ministeri “inutili” (tra questi quello della sanità, del lavoro e dell’istruzione), liberalizzazione delle droghe, ma anche della vendita di organi.
Interrogato sulla vendita dei bambini, il vincitore delle primarie ha risposto seriamente sostenendo che al momento l’opinione pubblica non è pronta e se ne potrà parlare al massimo “tra duecento anni”. Questa è solo la punta di un iceberg molto più grande del quale sentiremo parlare ancora a lungo.
I giornali hanno definito Javier Milei l’astro nascente dell’ultradestra, ma nonostante alcune prese di posizione riconducibili a quell’area – la polemica sul cosiddetto “marxismo culturale” e l’anti-abortismo, per quanto nel suo caso sia per questioni di “proprietà del feto” e non etiche – ricondurlo al sovranismo classico è una semplificazione.
L’argentino fa suoi i modi di un populismo proprio dei vari Trump e Bolsonaro aggiungendogli una forte connotazione cripto-grillina di lotta alla casta (sia la sinistra di Kirchner che la destra di Macri sono bollate come insieme di sanguisughe), il tutto decorato da un odio viscerale per lo stato in nome dell’autodefinizione di ultra-liberista, una parodia del liberismo stesso più vicina all’idea che ne hanno i suoi detrattori piuttosto che i sostenitori della corrente. Anche la dichiarata apertura verso le unioni civili e i temi della sessualità, una differenza radicale rispetto al tradizionalismo esasperato dei populisti internazionali, è riconducibile al concetto secondo il quale lo stato non deve mettere bocca sulle scelte individuali del cittadino. Anche se sarebbe più corretto dire che per Milei cittadino e stato non dovrebbero esistere a prescindere. Quelle di Javier Milei sono proposte confusionarie e ridicole, un programma che sembra partorito da un forum di esaltati come 8Chan o dalle peggiori discussioni su Reddit, ma una grossa fetta dell’elettorato ha deciso di dargli fiducia, non importa se per protesta o reale convinzione di fronte al dato inequivocabile delle primarie: una fiumana di voti che lo ha portato, da outsider, a superare gli schieramenti tradizionali piazzandolo al primo posto nelle intenzioni di voto.
Questo successo si spiega con la difficile situazione finanziaria argentina, gestita malamente da sinistra e destra, ed è l’esasperazione che porta all’affermazione di soggetti del genere. Lo abbiamo già visto più volte con candidati che in confronto a Milei sembrano retroattivamente dei luminari della cosa pubblica. Questi stessi meccanismi che portano il populista del momento al successo, nella maggior parte dei casi contribuiscono anche al suo eventuale declino. È per questa condizione, assieme all’oggettiva ridicolezza delle proposte messe in campo da Milei, che la sua scalata al potere preoccupa, ma fino a un certo punto. Tuttavia è interessante notare i potenziali risvolti del caso argentino. Il sovranismo del 2016 è morto, i leader europei più estremi sono stati costretti ad adeguarsi alla realtà, smorzando i toni e perdendo quel mordente che avevano sull’elettorato, anche Donald Trump, dopo i fatti di Capitol Hill e le condanne subite negli ultimi mesi, appare meno potente di quanto sembrasse qualche anno fa.
Di fronte a questo arretramento globale del populismo, dall’Argentina arriva il colpo di coda, Javier Milei, che esaspera i toni fino a diventare una caricatura (non è ancora dato sapere se ne sia cosciente o meno) dell’anti-politica radicale. Un tentativo disperato che mostra sia i punti di forza che le debolezze di un’intera area estremista. Per capire se l’operazione avrà successo bisogna aspettare le elezioni politiche di fine anno e al momento è impensabile arrivare a conclusioni affrettate, perché la macchietta ha comunque preso il trenta percento dei consensi.