Dopo il pandoro, la bambola. E pure l’uovo. Insomma, l’inchiesta della procura di Milano su Chiara Ferragni si allarga, con l’imprenditrice che è stata iscritta nel registro degli indagati non solo per il pasticciaccio brutto del pandoro Balocco, ma anche per la messa in commercio delle uova di Pasqua della Dolci Preziosi e della bambola Trudi. Diventano quindi tre i casi sospettati di truffa aggravata: stessa trama, si comincia da un prodotto griffato e si arriva a soldi raccolti e che sarebbero dovuti finire in beneficenza, con il sospetto però che il processo non sia stato così cristallino.
Partiamo dalla bambola. Quella che per tutti era “la bambola di Chiara Ferragni”, una bambola con l’aspetto dell’imprenditrice/influencer griffata Trudi, era stata commercializzata nel 2019 grazie a una partnership tra Ferragni e la stessa Trudi. Il ricavato sarebbe andato a un’associazione di beneficenza, Stomp Out Bullying, che si occupa di contrastare episodi di cyberbullismo e omofobia. Agli inquirenti tutto ciò puzzava di bruciato già da qualche settimana, tanto che nei giorni scorsi Ferragni – tramite una società da lei controllata, TBS Crew Srl – aveva messo le mani avanti dicendo che «tutto è avvenuto totalmente in linea con quanto comunicato sul canale Instagram».
Tradotto: il ricavato delle bambole vendute sulla piattaforma e-commerce The Blonde Salad, a cui aveva affiliato l’iniziativa, sono stati devoluti regolarmente (al netto dei costi di routine), mentre quelli ottenuti da altri canali no, ma si sapeva. O, meglio, si sarebbe dovuto sapere. E l’indagine è partita. Anche perché, come ricostruisce Fanpage, la fondatrice dell’associazione Ross Ellis ha detto al programma tv Cartabianca di «non aver mai ricevuto donazioni». Chissà. «Siamo totalmente certi della assoluta innocenza di Chiara e che detta innocenza emergerà dalle indagini che verranno condotte», annunciano gli avvocati di Ferragni, Giuseppe Iannaccone e Marcello Bana.
Della sua innocenza, dicono, sono sicuri anche per quanto riguarda le uova di Pasqua, un’operazione che segue lo stesso schema delle precedenti e che rischia di finire nello stesso modo. La procura di Milano ha messo gli occhi anche qui. In sintesi: le uova erano state messe in commercio una prima volta nel febbraio del 2021, e poi di nuovo un anno dopo, sempre in partnership con Dolci Preziosi e sempre con intento benefico, stavolta per l’associazione I Bambini delle Fate, che si occupa di minori affetti da autismo.
Il punto: per questa operazione, Ferragni ha preso un cachet di 500mila euro nel 2021 e di 700mila euro nel 2022, mentre la donazione arrivata all’azienda è stata di soli 36mila euro. Dolci Preziosi ha detto che l’accordo era chiaro: l’imprenditrice avrebbe ceduto la propria immagine all’azienda per una cifra fissa, mentre il ricavato della vendita delle uova sarebbe andato in beneficenza (e il motivo per cui l’accordo non è stato rinnovato, spiegano, è stato proprio il fatto che per il 2023 lei avesse chiesto una cifra «esorbitante»). Per cui: non è tanto che non ci sia stata beneficenza, quanto che non è stata fatta secondo le modalità intuibili dalle comunicazione sui social. Tanto che la stessa associazione ha detto di essere all’oscuro di queste dinamiche, ma di avere ricevuto una donazione di 40mila euro da parte di Ferragni.
E mentre Giorgia Meloni ha già sponsorizzato una legge «per una beneficenza più trasparente», il Codacons, da cui è partito tutto, continua la sua crociata e rilancia: anche nella faccenda dei biscotti in “edizione limitata” realizzati con Oreo nel 2020, la cui vendita avrebbe dovuto raccogliere fondi contro la pandemia, c’è qualcosa che non torna. Vedremo. «Siamo fiduciosi del futuro confronto con l’autorità giudiziaria e auspichiamo che il clima mediatico che ha caratterizzato sino ad oggi la vicenda si rassereni», ribadiscono gli avvocati di Ferragni. Decisamente più realistica la prima ipotesi della seconda.