Di recente si è sentito parlare di profilassi pre-esposizione all’HIV, o PrEP, un farmaco che, se assunto tutti i giorni, o prima e dopo un rapporto sessuale non protetto, riduce di circa il 99% il rischio di contrarre l’HIV (gli attivisti di PrEP Info fanno un ottimo lavoro di informazione a riguardo). Si tratta di una strategia di prevenzione che negli anni ha attirato tanto entusiasmo, quanto scetticismo: la critica più comune è che l’uso della PrEP, diffuso in diversi paesi nordamericani ed europei (un po’ meno in Italia), abbia portato ad una riduzione dell’uso del preservativo causando un aumento di altre infezioni sessualmente trasmissibili (IST). Per fortuna ci sono buone notizie riguardo la prevenzione di queste ultime: un nuovo studio ha confermato l’efficacia della doxyPEP, un termine che deriva dalla combinazione di “doxyciclina”, il nome dell’antibiotico somministrato nello studio, e “profilassi post-esposizione” (PEP).
In ambito accademico e oltreoceano si parla di doxyPEP da qualche anno: come si legge sul sito americano Vox, si tratta di un antibiotico che «funziona come la pillola del giorno dopo – ma invece di prevenire le gravidanze entro diverse ore dal sesso non protetto, previene IST quali clamidia e sifilide». Le IST, e in particolare la sifilide, sono effettivamente in aumento negli ultimi anni, soprattutto tra MSM (abbreviazione di men who have sex with men, uomini che fanno sesso con uomini) portando a costi significativi per la sanità pubblica. La doxyPEP potrebbe contribuire ad invertire questa tendenza?
Lo studio, pubblicato recentemente su The New England Journal of Medicine, ha osservato l’incidenza di tre IST (clamidia, sifilide e gonorrea) in un campione di 501 MSM e donne trans, sia in PrEP, sia con HIV. Confrontando un gruppo che ha assunto due pillole di doxyciclina da 24 a 72 ore dopo dei rapporti sessuali senza preservativo, e un gruppo di controllo, i risultati sono più che incoraggianti. Rispetto al gruppo di controllo, in quello che ha assunto la doxyciclina si è osservata una riduzione del rischio del 66% contro tutte e tre le infezioni; 88-89% contro clamidia e sifilide; e 55% contro la gonorrea, con percentuali leggermente inferiori nei partecipanti con l’HIV, ma superiori a trial clinici precedenti.
Una preoccupazione comune è che interventi preventivi di questo tipo possano contribuire a una più generalizzata antibiotico-resistenza – un rischio concreto, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Si tratta di un processo che avviene naturalmente, ma un’assunzione inappropriata e discontinua di antibiotici tende ad accelerarlo, portando i batteri a mutare e a diventare resistenti agli antibiotici stessi. Nello studio sulla doxyPEP, nei pochi casi in cui era disponibile una coltura batterica, i ricercatori hanno osservato una presenza maggiore, seppur lieve, di gonorrea e stafilococco antibiotico-resistenti nel gruppo che ha assunto la doxyciclina rispetto al gruppo di controllo. (In ogni caso, la doxyciclina non viene più prescritta per il trattamento della gonorrea, che tende a sviluppare resistenze da quando esistono gli antibiotici. In più, “non ci sono evidenze che abbia un’efficacia ridotta contro sifilide o clamidia, nonostante anni d’uso”, ha spiegato la Dottoressa Anne Luetkemeyer, autrice principale dello studio sulla doxyPEP).
È anche vero che non si tratterebbe di una misura accessibile a chiunque, ma prescritta solo a chi ha una storia di IST nell’ultimo anno e a chi assume già la PrEP. Non a caso le popolazioni prese in considerazione dagli studi clinici sono considerate ad alto rischio, non solo a causa dei loro comportamenti, ma anche perché parte della stessa rete sessuale. La Dottoressa Silvia Nozza, infettivologa presso l’Ospedale San Raffaele di Milano, ha mostrato un atteggiamento ottimista verso la doxyPEP. Come ha detto a Rolling Stone, è una misura che sta già raccomandando in determinate circostanze ad alcuni pazienti, a maggior ragione nella stagione dei Pride, in cui l’esposizione a questo tipo di batteri è alta. «La comunità scientifica mette in guardia da possibili resistenze”, spiega Nozza. “È un aspetto da tenere in considerazione, che non riguarda clamidia e sifilide, ma soltanto la gonorrea – tant’è vero che protegge solo parzialmente contro di essa – ed altri batteri più in generale. È una strategia che non va abusata – io la sto prescrivendo valutando il rischio, ad esempio in caso di partner sessuali superiori a cinque nelle ultime 48 ore».
Se consideriamo che ci sono persone che si infettano spesso, come ci ha spiegato Nozza, e che quindi prenderebbero ugualmente gli antibiotici per trattarle più volte l’anno, una strategia di questo tipo potrebbe rivelarsi utile a chi è particolarmente a rischio, e quindi efficace in termini di costi-benefici a lungo termine. Senza contare poi i benefici dal punto di vista psicosociale: come ha detto la Dottoressa Luetkemeyer a Vox, la doxyPEP e la PrEP hanno permesso a molti uomini gay e bisessuali di «sentirsi finalmente di avere controllo e dignità nelle proprie vite», presumibilmente grazie a maggior piacere e meno preoccupazioni nel sesso, e ad un ventaglio più ampio di strategie di prevenzione.
L’obiettivo degli interventi legati alla salute sessuale non è quello di annullare qualsiasi rischio, ma di far sì che le persone possano fare «il sesso migliore con il minor danno possibile», come dice spesso Ford Hickson, professore alla London School of Hygiene and Tropical Medicine. Uno dei suoi studi più interessanti sul tema riguarda un campione di circa 12 mila MSM nel Regno Unito a cui è stato chiesto come immaginassero la loro vita sessuale ideale. Tra le varie risposte, oltre a menzioni di aspetti relazionali ed emotivi, c’era la possibilità di far sesso “privo di danni fisici”, evitando di contrarre HIV e altre IST. Ci stiamo avvicinando al momento in cui una possibilità del genere diventerà concreta?