La guerra del governo Meloni contro le navi umanitarie è propaganda spicciola | Rolling Stone Italia
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La guerra del governo Meloni contro le navi umanitarie è propaganda spicciola

Il 'decreto ONG' meloniano è l'ennesimo provvedimento adottato a partire da un segnale di insicurezza fasullo. Come nel caso del 'decreto anti–rave', si vuole cavalcare un'emergenza che non esiste, disancorata da qualsiasi dato di realtà

La guerra del governo Meloni contro le navi umanitarie è propaganda spicciola

Foto di Fabrizio Villa/Getty Images

Ieri sera il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il cosiddetto “decreto ONG”, ossia il decreto legge che il Consiglio dei ministri ha approvato lo scorso 28 dicembre che, tra le altre cose, introduce nuove regole per il salvataggio dei migranti in mare operato dalle navi umanitarie delle organizzazioni non governative.

Il testo si sostanzia in un “codice di condotta” – simile a quello introdotto dall’allora ministro dell’Interno, Marco Minniti, nel 2018 – che introduce nuove disposizioni «urgenti» per la gestione dei flussi migratori, con l’obiettivo sia di «assicurare l’incolumità delle persone recuperate in mare, nel rispetto delle norme di diritto internazionale e nazionale» sia di «tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica».

Il provvedimento è stato criticato duramente da tutte le ONG coinvolte nei salvataggi nel Mediterraneo. Ad esempio Marco Bertotto, direttore dei programmi di Medici Senza Frontiere, ha dichiarato che «Con le nuove regole imposte dal governo italiano alle navi delle ONG, saremo costretti a lasciare sguarnite le zone di soccorso nel mar Mediterraneo, con un inevitabile aumento del numero dei morti».

Ma quali sono, queste nuove regole? Anche se il testo definitivo non è ancora consultabile, il suo contenuto è stato anticipato dallo stesso governo in un comunicato stampa: in buona sostanza, si vuole intervenire sulle capacità di intervento delle navi umanitarie. Ad esempio, la norma prevede che, una volta effettuato un salvataggio, le navi dovranno comunicare alle autorità del loro Stato di bandiera e al centro di coordinamento competente – e quindi, nella grande maggioranza dei casi, all’Italia, il porto sicuro più vicino per i migranti che partono dal Nord Africa – le dinamiche del salvataggio e richiedere l’assegnazione di un porto di sbarco, che dovrà essere raggiunto nel minor tempo possibile.

Di conseguenza, durante il tragitto, sarà più difficile portare a compimento altre operazioni di soccorso: proviamo a immaginare una situazione frequentissima, ossia quella in cui una nave abbia salvato dei naufraghi e ricevuto l’assegnazione del porto sicuro. Cosa accadrebbe se dovesse apprendere di un altro naufragio durante il tragitto? Come verrà considerato un eventuale “ritardo” dovuto al fatto che, ricevendo una richiesta di soccorso, la nave di turno dovesse ritrovarsi costretta a dover scegliere se proseguire per il tragitto segnato o deviare – impiegando il tempo che serve – per effettuare ulteriore soccorso?

Oltre alle complicazioni relative ai salvataggi plurimi, un altro punto controverso è quello relativo al cosiddetto “divieto di trasbordo” da una nave all’altra, previsione che limita ulteriormente le possibilità di intervento delle navi e, di conseguenza, la capacità di portare in salvo vite umane. Inoltre, in base al nuovo decreto, il comandante della nave che effettua il soccorso sarà tenuto ad avviare immediatamente «iniziative volte ad acquisire le intenzioni di richiedere la protezione internazionale» e le domande dovranno essere inoltrate già sulla nave allo Stato della bandiera battente – prendiamo il caso della Geo Barents, la nave di Medici Senza Frontiere che sta catalizzando l’attenzione mediatica nelle ultime ore: batte bandiera norvegese e quindi, applicando la nuova normativa, le richieste d’asilo dovrebbero essere effettuate lì prima dello sbarco in Italia – una previsione che diversi giuristi hanno definito in contrasto con le norme europee e internazionali. Infine, il decreto prevede sanzioni di carattere pecuniario fino a 50mila euro, una particolare ipotesi di fermo amministrativo della nave, nonché, nei casi più gravi, il sequestro e la confisca dell’imbarcazione.

La sensazione è che il governo Meloni abbia inaugurato ufficialmente l’ennesima stagione del teatrino dell’assurdo chiamato “lotta ai taxi del mare”, inaugurato da Luigi Di Maio, l’allora vicepresidente della Camera, nel 2017 e reiterato senza soluzione di continuità. Ciò che continua a stupire dell’antica crociata contro le ONG tanto cara alle destre – e non solo – è il suo essere disancorata da qualsiasi dato di realtà, il suo trovare fondamento e legittimazione unicamente sul piano distorto della percezione.

Un decreto legge – ossia un provvedimento con efficacia di legge immediata, capace di scavalcare e procrastinare l’iter parlamentare – dovrebbe, almeno in teoria, essere giustificato dall’esistenza di “casi straordinari di necessità e urgenza”. Ora: i migranti salvati dalle organizzazioni non governative, ossia i soggetti a cui si applicano le disposizioni del nuovo decreto-legge, sono una minoranza rispetto al totale delle persone che sbarcano nel nostro Paese. Secondo i dati raccolti dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), nel 2022 circa 10.600 migranti sul totale di oltre 102 mila sbarcati sono arrivati in Italia a bordo di navi di ong: il 10,3 per cento. Nel 2021 erano stati circa 7.700 su 67.400 (l’11,5 per cento), nel 2020 2.900 su 33.600 (l’8,9 per cento) e nel 2019 2.300 su 11.300 (il 20,4 per cento).

Il problema è tutto qui: più che un provvedimento dettato dall’urgenza, l’impressione è di trovarci di fronte all’ennesimo decreto costruito sul nulla, edificato artificialmente a partire da un segnale di insicurezza che, alla fine della fiera, è totalmente fasullo. Siamo davanti a una logica distorta e di stampo tristemente propagandistico, simile a quella che ha preparato il terreno per il “decreto anti–rave”, presentato come un’esigenza improcrastinabile in assenza di qualsiasi dato di realtà – basti pensare che il numero di morti direttamente imputabili ai rave nell’ultimo anno in Italia equivale a quello di una mezz’ora di escursione all’interno della gloriosa famiglia tradizionale: uno. Il governo Meloni è entrato in carica da tre mesi, ma ha già proclamato l’alzata di scudi contro due emergenze totalmente inventate: non male, come inizio.