Nella vita di Xi Jinping, il presidente cinese che ha appena ottenuto un inedito terzo mandato, c’è un buco. Chi segue la Cina sa che l’uomo più potente del Paese è avvolto in un alone di mistero e che la sua biografia personale non può essere davvero completa. Sappiamo molto, non sappiamo tutto. Ma su dove fosse e cosa facesse Xi Jinping in quelle due settimane del settembre 2012 non sappiamo nulla di certo. Per quattordici giorni Xi sparì nel nulla, cancellando anche i propri impegni istituzionali più importanti come l’incontro con l’allora Segretario di Stato Hillary Clinton, in visita a Pechino quei giorni. Cosa fece? Dove andò? Chi incontrò? Non lo sappiamo, e verosimilmente non lo sapremo mai.
Questo mistero che avvolge l’ascesa politica di Xi Jinping¸ l’uomo che da lì a pochi mesi avrebbe preso il potere nel Paese più popolato al mondo, è spesso al centro di speculazioni e dibattiti. A maggior ragione data svolta epocale che Xi ha impresso alla storia recente del Paese. Appena giunto al potere, il segretario generale del Partito comunista cinese ha presto fatto capire che il suo non sarebbe stato un mandato come gli altri.
Per Xi Jinping infatti governare la Cina significa assolvere la missione storica affidata al Partito comunista cinese. Una missione che può essere chiamata in tanti modi, da “sogno cinese” a “ringiovanimento nazionale”, ma anche “modernizzazione socialista” e “prosperità comune”. Formule diverse, ognuna delle quali propone una sfumatura particolare, ma che alla fine rivelano tutte l’ambizione di fare della Cina un Paese nuovamente ricco e potente. È questa quella che Xi ha definito “nuova era”. Ma qual è la storia di Xi Jinping, l’uomo che vuole plasmare il futuro della Repubblica Popolare?
Un principe rosso in balia degli eventi
Xi Jinping nasce nel 1953 e, per quello che sappiamo, la sua biografia è ricca di pathos. Il giovane Jinping cresce in una famiglia “rossa” e cioè in una famiglia di rivoluzionari. Suo padre infatti era Xi Zhongxun, un dirigente del Partito comunista cinese che aveva fatto la rivoluzione e fondato la Repubblica Popolare Cinese assieme a Mao Zedong.
Fin da piccolo quindi Xi si trova al centro del potere cinese, figlio di quell’avanguardia di partito che nel 1949 si era conquistata il ruolo di guida del nuovo Stato socialista. In gergo infatti Xi è un tàizǐdǎng, un principino rosso. A scapito del proprio “lignaggio” rivoluzionario però, il padre è molto attento nell’educazione dei figli e impone una rigida disciplina per evitare che si adagiassero sul privilegio di essere l’élite della nuova Cina. Ma i luoghi del potere nella Cina di Mao Zedong sono un ambiente pericoloso, soprattutto per un bambino come Xi, e nemmeno lui è risparmiato dalle lotte interne che in quegli anni sconvolgono il Partito comunista. Durante gli anni del Grande balzo in avanti, quando il tentativo di collettivizzazione dell’agricolture e di industrializzazione forzata provocò decine di milioni di morti, il padre di Xi fu epurato nel 1962 e ben presto esiliato dal partito in un campo di lavoro. La famiglia, ormai caduta in disgrazia, non lo poté vedere per anni.
Senza più la protezione paterna nelle alte sfere di Pechino, Xi era completamente in balìa dei traumatici eventi che stavano scuotendo la Cina. Verso la fine degli anni ’60 il Paese è ostaggio della Rivoluzione culturale e delle cosiddette guardie rosse di Mao: incitati dallo stesso leader cinese, gruppi di giovani studenti terrorizzavano chi non fosse ritenuto sufficientemente dedito alla causa rivoluzionaria e leale verso Mao. Le guardie rosse abusarono, torturarono e ammazzarono chiunque fosse accusato di essere un nemico della rivoluzione. Xi Jinping, come figlio di un ex dirigente di partito purgato dallo stesso Mao, finì presto nel loro mirino come migliaia di altri giovani cinesi. Xi fu gettato dalle guardie rosse in una delle loro prigioni, e quando fu catturato gli venne detto che gli restavano solo 5 minuti da vivere. Una volta fu anche trascinato in un cortile di Pechino e sottoposto a una “sessione di lotta”, un’umiliazione pubblica in cui il condannato veniva messo alla gogna e denunciato come contro-rivoluzionario da una folla inferocita: in quell’occasione, la madre di Xi Jinping fu obbligata a partecipare e a inveire contro il figlio. La sorella di Xi, sottoposta alla stessa umiliazione, si tolse la vita.
All’età di 15 anni però la vita di Xi cambia di colpo proprio nel momento in cui lui stesso non era più sicuro di riuscire a sopravvivere al clima di terrore istaurato dalle guardie rosse. Come milioni di altri giovani cinesi, Xi fu mandato da Mao Zedong a lavorare nelle campagne per apprendere le virtù della rivoluzione dai contadini. Per i successivi 7 anni Xi abitò nel villaggio di Liangjiahe, dimorando in una casa scavata nella roccia e lavorando nei campi assieme alla popolazione locale.
È qui che, secondo la narrazione ufficiale, si compì la formazione politica del leader cinese che tra i contadini di Liangjiahe scoprì la propria missione e l’amore per quel Partito comunista che pur aveva fatto tanto male alla sua famiglia. «Capii la mia ragion d’essere ed ero pieno di fiducia», scrisse diversi anni dopo ripensando al momento in cui lasciò il villaggio a 22 anni.
La nascita di Xi Jinping
La storia di Xi Jinping da quel momento in poi è quella di un sopravvissuto determinato a impedire che possa ripetersi il trauma nazionale testimoniato in gioventù. Formatosi in un’epoca di caos, violenza, privazioni e dolore, per Xi Jinping l’unica forza in grado di mantenere il controllo e la stabilità della Cina non può che essere il Partito comunista: non è il partito che deve essere incolpato per le sofferenze patite dal Paese durante gli anni del maoismo, ma piuttosto l’uso dissennato e personalistico che ne fece Mao durante l’ultimo periodo in cui fu al potere.
Per come la vede Xi Jinping il partito è prima di tutto un potente strumento rivoluzionario, anzi è l’unico con le capacità di guidare la Cina con successo verso obiettivi storici come la liberazione del Paese dagli stranieri, la trasformazione socialista e il processo di sviluppo economico. Per questo motivo, il suo posto alla guida del Paese non deve mai essere messo in discussione.
Sempre secondo Xi, la dirigenza del partito ha poi il dovere di usarlo per servire gli interessi del popolo cinese e non per combattere le proprie lotte intestine. Se il partito devia dalla propria missione originale, come avvenuto durante la Rivoluzione culturale, il risultato non può che essere caos e instabilità. In un’intervista rilasciata nel 2000, Xi Jinping diceva: «le persone che hanno pochi contatti col potere, che ne sono lontane, lo vedono sempre come una cosa misteriosa e sconosciuta. Ma ciò che vedo io non sono solo le cose superficiali: il potere, i fiori, la gloria, gli applausi. Io vedo le galere e come le persone possono avere una lingua biforcuta. Capisco la politica a un livello più profondo».
Per Xi quindi alla testa del Partito deve esserci una dirigenza compatta e decisa, che a sua volta deve guidare saldamente il Paese. Con un duplice obiettivo: raggiungere quegli obbiettivi di benessere interno e rispetto internazionale che storicamente i comunisti cinesi hanno promesso alla popolazione, e allo stesso tempo evitare che la Cina sprofondi ancora una volta nel turbinìo dell’autodistruzione. Non a caso infatti nell’ultimo decennio Xi Jinping ha perseguito un implacabile accentramento del potere, eliminando la dialettica interna esistente nella dirigenza cinese e riaffermando il controllo del partito ovunque possibile.
Il mistero originario
Su quei giorni del settembre 2012 ci sono molte versioni, nessuna delle quali confermata. Una di queste vedrebbe Xi Jinping colpito alla schiena da una sedia, scaraventatagli addosso durante un incontro a porte chiuse tra i vertici del partito degenerato poi in colluttazione. Suggestivo, ma probabilmente non vero. Secondo altre fonti invece Xi Jinping era sotto attacco da parte di veterani del Partito comunista riluttanti ad accettarne la leadership. Ma ciò che davvero successe in quelle forse non lo sapremo mai. Le vite dei leader cinesi sono avvolte nel mistero ed è bene che sul loro conto non si sappia troppo: meglio lasciar fare questo lavoro alla propaganda.
Per quanto non verificabili, tutte queste versioni però potrebbero contenere dei granelli di verità. Quale sarebbe la ragione per cui l’incontro a porte chiuse, ammettendo il caso che ci sia stato, si sarebbe animato a tal punto da arrivare alla zuffa? Che motivi avrebbero avuto i veterani del partito per criticare così aspramente il nuovo segretario generale del partito? Perché ciò sarebbe avvenuto tutto così a ridosso della sua ascesa al potere? C’entra forse l’accentramento del potere che Xi Jinping avrebbe immediatamente intrapreso da lì a pochi mesi? È possibile che Xi si sia allontanato dai riflettori per cercare di convincere tutte le componenti del gruppo dirigente a sostenerlo nel suo tentativo di riforma e consolidamento del partito diviso, inefficace ed essenzialmente screditato che ereditava dai suoi predecessori? Non ci sono abbastanza indizi per poter formulare davvero un’ipotesi e negli anni le voci di questo genere si sono rincorse a lungo senza mai trovare una conferma.
Ciò che però sappiamo per certo è che qualche mese dopo quella strana sparizione, Xi Jinping ha coronato la propria scalata al potere venendo eletto nuovo segretario generale del partito nel novembre 2012 e oggi è l’uomo più potente ad aver mai governato la Cina dai tempi di Mao. Ma l’impressione che in molti hanno è che il potere di Xi non sia un potere personale, in sé e per sé. Piuttosto, il potere di Xi Jinping sarebbe il potere del Partito comunista cinese, un partito che avrebbe individuato in Xi la figura più adatta per trasformare anche grazie a metodi spietati e autoritari la Repubblica Popolare, dotandola di quegli strumenti necessari a compiere quel lungo e tortuoso percorso che la Cina ha tracciato davanti a sé.