Negli ultimi mesi si è discusso moltissimo di lottizzazione e occupazione del servizio pubblico da parte del governo. Se ne è parlato così tanto che è stato coniato un termine apposito, “Tele Meloni”, per descrivere l’aria di destra che ha portato a Viale Mazzini personalità come Pino Insegno e Luca Barbareschi.
Da lunedì l’occupazione si è allargata, e gli aficionados melonian–salviniani sono approdati anche nell’etere: sono stati infatti presentati i nuovi palinsesti di Radio 1, e scorrendo la lista dei programmi è facile farsi un’idea della svolta ideologica che interesserà la prima emittente radiofonica pubblica italiana. Rai, in onda Radio Salvini: occupazione dell’etere con Foa, Poletti e Chirico, ha titolato Repubblica per riassumere i termini della questione. Sarà davvero così? Abbiamo provato a seguire le trasmissioni di questa Radio Salvini, vera o presunta, per provare a darvi una risposta. Mettetevi comodi: ci sarà da divertirsi.
Partiamo dal mattino: nemmeno il tempo di posizionare la moka sul fuoco che Roberto Poletti, ex direttore di Radio Padania Libera e biografo ufficiale di Matteo Salvini, ci dà il buongiorno con il suo Il caffè, un programma che – cito testualmente – «racconta la giornata degli italiani che lavorano, attraverso tre interviste ad altrettanti rappresentanti della politica, dell’imprenditoria e della società».
Il primo ospite intervistato da Poletti nella puntata d’esordio, l’11 settembre, è Florindo Cereda, imprenditore brianzolo 82enne (o «diversamente giovane», come lo descrive simpaticamente Poletti) che si occupa di arredamento di interni. Quella di Cereda è una storia italiana come tante; ha iniziato a lavorare a 14 anni come apprendista in una bottega, e da allora e non ha mai smesso: impegno, dedizione, sacrifici e sudore lo hanno portato a prosperare e a creare un’impresa solida.
Proprio a Cereda Poletti decide di affidare l’arduo compito di analizzare il mercato del lavoro italiano e, in particolare, la vexata quaestio per antonomasia: quella pletora infinita di giovani divanisti, mammoni, svogliati e appassionati di assistenzialismo che non hanno voglia di lavorare. Lo sguardo di Cereda sull’attualità è perentorio e severissimo: dal suo punto di vista, l’accidia e la disapplicazione dei giovani dipenderebbe in primis dai loro genitori: «Ai miei tempi il babbo e la mamma ti spingevano a trovare un’occupazione seria, al giorno d’oggi viaggiono con i motorini», dice con autorevolezza. Mamme e papà permissivi che, sostiene il Cereda, avrebbero finito per uccidere la granitica «vocazione brianzola» che era quella «di arrampicarsi sugli specchi pur di fare vedere di fare qualcosa». L’implicito ritornello sottostante lo conosciamo: parla di bamboccioni schizzinosi verso il mondo del lavoro, verso le soluzioni pratiche della vita e verso i lavori manuali. Il primo giorno di Radio Salvini parte così, con uno schiaffetto correttivo e paternalista.
Alle 9.05 è finalmente il turno dell’ex direttore Rai Marcello Foa e del suo Giù la maschera, un programma che si pone come un punto d’incontro per un pubblico sempre più lontano dalla politica e soprattutto della cosiddetta stampa mainstream. Per farlo, Foa vuole attraversare «una narrazione non ideologica, che non cerca la polemica politica, bensì che incoraggi la riflessione e la comprensione della nostra epoca». In un certo senso, Foa era l’uomo che tutti aspettavano. Scorrendo il suo curriculum, potrebbe sembrare addirittura una figura di garanzia: allievo di Montanelli, dal 2010 direttore del sito del Giornale, poi direttore e amministratore delegato del Corriere del Ticino, tiene corsi di giornalismo e fa parte di organizzazioni per «promuovere la qualità nel giornalismo».
Più che per il suo curriculum, però, ai tempi la sua nomina ai vertici della Rai aveva suscitato polemiche per le tante opinioni controverse e la brutta abitudine di rilanciare bufale e teorie del complotto, dal celebre tweet sulle “unghie pitturate” di Josefa – la migrante salvata che, nel 2018, fu portata in salvo dopo due giorni passati in mare – alle teorie del complotto costellate da slogan come «ciò che i media non dicono».
Nella sua nuova avventura editoriale, Foa è accompagnato da una serie di colleghi inseriti a garanzia del pluralismo: il giornalista Peter Gomez, con cui Foa dialogherà il lunedì e il venerdì, Alessandra Ghisleri, Giorgio Gandola e Luca Ricolfi. Per il suo esordio, Foa ha deciso di cavalcare uno dei tormentoni politici dell’estate, ossia il best seller scritto dal Generale Vannacci, Il mondo al contrario, manifesto anti politically correct, anti ambientalismo, anti “ideologia gender”, anti qualsiasi cosa. A detta di Foa, nelle ultime settimane il generale Vannacci sarebbe stato sottoposto a censura. Non a caso la puntata, intitolata senza troppa fantasia In difesa del pensiero libero, è una lunga apologia della figura del “generalissimo”, vendutoci come una sorta di Honoré de Balzac della libertà di espressione e addirittura leader di una «maggioranza silenziosa» messa a tacere e stufa degli eccessi del politicamente corretto.
Vannacci, si sostiene dallo studio, sarebbe stato infangato dai grandi giornali, colpevoli di averlo ridotto a una specie di macchietta – tralasciando il fatto che, come ha scritto Carmelo Caruso su Il Foglio, «è merito dei giornali se Vannacci si è fatto il guardaroba nuovo e si è messo a frequentare Marina di Pietrasanta con la camicia di lino bianca». Anche i riferimenti a un’ipotetica censura, se contestualizzati, cadono nel nulla, dato che Vannacci è più esposto mediaticamente che mai, in odor di candidatura con la Lega e ha trovato pure un editore disposto a pubblicare il suo manifesto anti woke. Poco importa, però: nel microcosmo foiano il contatto con la realtà viene meno, e il paracadutista diventa per magia l’improbabile Giordano Bruno dell’Italia post–missina. Non poteva mancare un attacco frontale al termine “negazionista”, reo di espellere dal dibattito le persone non allineate al pensiero unico.
Ex presidente della Regione Lazio e, attualmente, giornalista d’assalto nella redazione di Libero, di Francesco Storace avevamo perso le tracce da qualche annetto. Per fortuna, però, nella Radio 1 made in Meloni c’è spazio pure per lui: l’ex segretario de La Destra è infatti co–conduttore, assieme a Vladimir Luxuria, de Il rosso e il nero, colori che, com’è facile intuire, dovrebbero rappresentare due pensieri politici radicalmente opposti. La trasmissione dovrebbe servire a stimolare un confronto tra due visioni, in teoria, antitetiche. Originariamente ad affiancare Storace avrebbe dovuto esserci la giornalista Luisella Costamagna, ma poi – ha spiegato Francesco Pionati, il direttore della rete – qualcosa tra i due è accaduto: «Mi hanno detto che è venuta fuori una incompatibilità, per cui la collega ed amica Costamagna, con cui ho un ottimo rapporto, ha preferito non proseguire quella esperienza, optando in maniera esclusiva per l’impegno che avrà in Rai televisione». Purtroppo attualmente è possibile recuperare la prima puntata dal sito dell’emittente, ma dal confronto potrebbero nascere degli spunti interessanti: per il momento, quindi, giudizio sospeso.
Quel che è certo è che, tra i giovani che non vogliono lavorare, la santificazione di Vannacci e la demonizzazione del termine “negazionista”, il nuovo corso di Radio 1 non ha deluso le aspettative. Dal canto suo, Pionati ci tiene a rassicurarci: «Abbiamo una composizione di palinsesto bilanciata, io ho basato tutto il mio impegno professionale nel gr e nella radiofonia nel rispetto del pluralismo che mi ha sempre caratterizzato. Anche quando in qualche occasione il mio lavoro è stato giudicato noioso per cercare di mettere insieme le proposte di tutti». Staremo a vedere: alle prossime trasmissioni.