Quando Chien Li-ying ha scritto la sceneggiatura della serie tv taiwanese Wave Makers, non immaginava che sarebbe diventato un successo di Netflix, né tanto meno che avrebbe generato un tale scompiglio sull’isola. La serie segue un gruppo di collaboratori politici durante una campagna elettorale e ha scatenato uno tsunami di accuse, anche in vista delle prossime elezioni a Taiwan (quelle vere).
In una scena cruciale, il personaggio di Weng Wen-fang si accovaccia fuori da una sala karaoke e fa una telefonata a un’altra donna del suo team, Chang Ya-ching. Chang era stata molestata da un collega maschio ma, pensando che fosse inutile, aveva rifiutato di sporgere denuncia. Al telefono, Weng esorta Chang a non lasciar correre e le promette di essere fermamente al suo fianco. Sebbene la rivelazione sia dannosa per il partito, la donna non intende lasciar cadere la questione. “Non lasciamo perdere”, dice alla sua collaboratrice.
Questa frase è diventata uno slogan che ha prodotto una marea di accuse di molestie sessuali e aggressioni: è stata citata in cima a un post su Facebook che ha dato il via al movimento #MeToo a Taiwan. Nel post, un’ex dipendente del Ministero della Difesa ha affermato che il suo supervisore ha respinto le sue denunce di molestie sul posto di lavoro e l’ha scoraggiata dal denunciare formalmente l’accaduto.
Il suo racconto ha suscitato un enorme sostegno online e le dimissioni dell’uomo: il primo dei vari casi che hanno coinvolto funzionari di alto livello all’interno del Partito Democratico Progressista di Taiwan, spingendo la presidente Tsai Ing-wen a presentare pubbliche scuse. Anche il partito di opposizione Kuomintang è stato colpito e ha promesso di indagare su un’accusa contro uno dei suoi esponenti.
L’intento degli sceneggiatori di Wave Makers era quello di produrre una serie sulle donne in politica, piuttosto che concentrarsi sui temi del #MeToo. Il movimento negli anni si è diffuso in Giappone, Corea del Sud e anche in parte della Cina, ma non era ancora riuscito ad attecchire a Taiwan, nonostante la reputazione progressista dell’isola: è stato il primo luogo in Asia a legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso e ha una presidente donna dal 2016. “Se si vogliono affrontare le sfide che le donne devono affrontare sul posto di lavoro, non si può evitare di parlare di molestie sessuali”, ha detto la sceneggiatrice Chien Li-ying. “Soprattutto nelle organizzazioni in cui l’obiettivo collettivo è prioritario rispetto alle esigenze individuali, c’è spesso una cultura del sacrificio”.
Chien ha spiegato che la frase “non lasciamo perdere” incarna le loro aspirazioni per una società ideale, in cui “le vittime dovrebbero essere aiutate, sostenute e convinte che non hanno colpe”. In realtà, ha aggiunto, alla maggior parte di queste donne viene detto di “lasciar perdere. Le vittime sono inclini ad autocensurarsi, perché temono che ciò che dicono possa rovinare la causa più importante”.
Nonostante Wave Makers riguardi soltanto il mondo politico, ora in tutta Taiwan si sono fatte avanti donne che hanno subito molestie da parte di professori universitari, medici, registi e arbitri di baseball. Da parte sua, anche Chien Li-ying sulla scia della reazione allo spettacolo si è sentita in dovere di condividere – e ha postato su Facebook – la propria storia di molestie sessuali. “Molte persone hanno sopportato tutto questo per molto tempo senza uno sbocco emotivo”, ha aggiunto.
Dalla sua uscita, la serie ha fornito un linguaggio comune per discutere di molestie sessuali, che fino a questo momento probabilmente era assente sull’isola. Ha fornito alle vittime che si sono fatte avanti un punto di riferimento attorno al quale raccogliere sostegno e solidarietà. Il movimento #MeToo ha già raggiunto risultati tangibili: a Taiwan sono state approvate nuove leggi contro le molestie sessuali, considerate un primo passo per affrontare il problema, ma ancora insufficienti secondo le attiviste. Il Partito Democratico Progressista si è affrettato a inasprire i provvedimenti dopo essere stato colpito dall’ondata di denunce, con diverse dimissioni e ulteriori accuse contro altre figure di spicco.
Carol Lin, professoressa di diritto dell’Università Yang Ming Chiao Tung, ha elogiato i cambiamenti definendoli una pietra miliare della legislazione, ma ha affermato che ci vorrà del tempo prima che la società si liberi di una mentalità radicata che normalizza le molestie. Le aggressioni sul posto di lavoro sono ancora diffuse e chi decide di chiedere giustizia potrebbe affrontare un processo difficile ed estenuante. Possono essere necessari più tentativi per far registrare alla polizia una denuncia di molestie sessuali e un anno perché un’agenzia governativa di “mediazione” decida che le accuse siano fondate.
Le nuove leggi impongono a tutti i luoghi di lavoro di istituire canali per la denuncia delle molestie: i datori di lavoro dovranno anche indagare su tutte le denunce e riferire i risultati alle autorità locali. In precedenza, le presunte vittime non avevano alcuna possibilità di ricorso, a parte i processi in tribunale. Taiwan non aveva nemmeno uno statuto sulla violenza sessuale fino al 1997, dopo il famoso stupro e l’uccisione dell’attivista femminista e politica Peng Wan-ru. In base alle nuove prescrizioni, l’uso di un linguaggio discriminatorio o offensivo nei confronti di qualcuno a causa del suo sesso, così come gli atti che puniscono professionalmente altri per aver rifiutato le proprie avances, saranno considerati molestie sessuali.
L’influencer Anissa Chang, che è tra le maggiori attiviste #MeToo, ha detto che queste novità sono “utili per instillare paura” in coloro che abusano delle loro autorità per aggredire gli altri – una pratica comune, secondo lei, in settori come l’intrattenimento. Le organizzazioni che sostengono le vittime di violenza sessuale hanno reso noto che negli ultimi due mesi hanno visto aumentare di venti volte i casi presentati: un segno del fatto che il movimento #MeToo di Taiwan, anche se arrivato in ritardo, ha fatto centro.