A chi dobbiamo la nostra sopravvivenza? Non la vita, attenzione, quella ognuno più o meno la deve a se stesso. La sopravvivenza, quella a cui nessuno pensa fino a che non scopre che è fondamentale. Theodor Adorno sosteneva che scrivere poesia, dopo Auschwitz, sarebbe un atto barbarico.
E, in effetti, per quanto la storia sia piena di avvenimenti terrificanti, prima del nazismo nessuno aveva pensato alla sistematica eliminazione di un intero gruppo di persone, dalla prima all’ultima, una dopo l’altra. Ci sono state stragi politiche, pulizie etniche, persecuzioni, ma la cancellazione di interi popoli non era mai stata un’opzione presa seriamente, nemmeno dall’emiro Tamerlano – quello che faceva le piramidi con i teschi dei suoi nemici –, nemmeno da Stalin, nemmeno dall’Inquisizione.
Ecco, Auschwitz e i campi di sterminio puntavano a quello: a uccidere tutti e a distruggere tutto, anche la speranza. Come sopravvivere lì? Come poter anche solo sperare di riportare a casa la pelle? La letteratura è piena di racconti e di tentativi di spiegazione. Primo Levi, in Se questo è un uomo, un nome lo fa: «Credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi».
Lorenzo Perrone era un muratore piemontese di quarant’anni quando viene mandato ad Auschwitz per lavorare all’espansione del campo. Non un prigioniero, ma uno dei tanti, per lo più anonimi, che venivano costretti a offrire le proprie braccia al nazismo. La sua storia e il suo significato lo racconta lo storico Carlo Greppi in Un uomo di poche parole (Laterza), andando a guardare dentro la biografia di un uomo come gli altri, eppure molto diverso.
Un uomo povero e analfabeta, incapace di fare grandi discorsi, non politicizzato né esattamente consapevole delle cose del mondo. Dettagli, comunque, niente di fondamentale: Perrone era l’incarnazione dell’uomo in rivolta di Albert Camus, ovvero colui che «deve riparare nella creazione tutto ciò che può essere riparato». Dopo di che, aggiunge Camus, «i bambini moriranno sempre ingiustamente, anche in una società perfetta» ma «nel suo sforzo maggiore l’uomo può proporsi di diminuire aritmeticamente il dolore del mondo».
E così è andata: Lorenzo ha salvato Primo dopo averlo conosciuto per caso – merito dell’accento piemontese udito da Levi –, portandogli di nascosto del cibo della sua razione giornaliera, facendogli avere degli abiti pesanti da lavoro da mettere sotto la divisa da internato, spedendo per suo conto una cartolina alla famiglia e premurandosi pure di fargli avere la risposta.
Non lo fece solo con Levi, ma degli altri non ha mai parlato molto. Un uomo di poche parole, appunto, perché «quando qualcuno fa qualcosa di buono, non deve mai vantarsi». A guerra finita e Auschwitz liberata, Primo Levi torna a casa e diventa uno scrittore. Lorenzo Perrone, invece, non si riprenderà più: alcolista e depresso, morirà di tubercolosi nel 1952.
Inutili i tentativi di salvarlo, del resto se uno non vuole farlo non esistono metodi per fargli cambiare idea. Non sarà dimenticato, comunque, Levi chiamerà i suoi figli Lisa Lorenza e Renzo proprio come tributo all’uomo a cui deve la vita. Dal 7 giugno 1998, comunque, attraverso il dossier numero 3712, Perrone è stato inserito nella lista dei Giusti tra le nazioni al museo Yad Vashem di Gerusalemme.
Oggi, 6 marzo, si ricordano tutti i Lorenzo che «con responsabilità individuale» si sono opposti ai crimini contro l’umanità e ai totalitarismi. La data coincide con l’anniversario della morte di Moshe Bejski, il magistrato che testimoniò al processo Eichmann e lì si accorse che persino in Israele si sapesse molto poco della Shoah e allora decise di ricordare al mondo cosa fosse andando a ricercare uno per uno i singoli che vi si opposero, a partire da Oskar Schindler, la cui vità diventerà poi oggetto di un film di Spielberg. Il database dei Giusti, attualmente, conta oltre trentamila persone di cinquanta paesi diversi.
Perché sono gli eserciti a vincere le guerre, ma nel mentre c’è sempre bisogno di qualcuno che si sforzi almeno di far sopravvivere i sopravviventi. Lorenzo Perrone era «al di fuori di questo mondo di negazione» e così, centimetro dopo centimetro, ha sottratto un po’ di male al mondo.
Una storia per tutte le storie: Greppi l’ha sottratta all’oblio come aveva già fatto qualche anno fa con le vicende dei soldati tedeschi che si unirono alla resistenza al nazifascismo.
Pezzi di eventi più grandi, puntini nell’universo che non hanno mai cercato notorietà, ma che con la loro vita rappresentano la resistenza possibile all’orrore quando questo è troppo forte, quando il buio sembra aver divorato l’orizzonte e non c’è nemmeno l’idea che possa arrivare una luce. E oggi, mentre si rincorrono le notizie di persone lasciate morire in mare e persone che provano a farcela sotto le bombe, se dobbiamo immaginare la luce non possiamo che pensare a chi, nonostante tutto, si sforza di sottrarre qualche centimetro di male al mondo.