Liberi tutti: Kanye West ha dimostrato che pensarsi razzisti non è più un problema | Rolling Stone Italia
Boschi digitali di braccia tese

Liberi tutti: Kanye West ha dimostrato che pensarsi razzisti non è più un problema

Le provocazioni filonazi di Ye sono il sintomo di un fenomeno più ampio. Con Trump e Musk il pendolo della storia ha cambiato direzione: la lotta agli eccessi woke ha lasciato il posto alla libera espressione dell’odio. Riusciremo a tornare indietro?

Liberi tutti: Kanye West ha dimostrato che pensarsi razzisti non è più un problema

Kanye West ai Grammy 2025

Foto: Frazer Harrison/Getty Images

Si potrebbe pensare che le ultime sparate di Kanye West, culminate nei tweet in cui si è detto ammiratore di Hitler, si è autodefinito nazista, ha elogiato Diddy e venduto online magliette con la svastica, sia stata la ragione per cui il suo account X è stato oscurato. E invece è stato Ye a disattivarlo e poi riattivarlo.

Questa ondata di post ha messo in luce un trend inquietante nei social, riflesso di un’epoca segnata dall’ascesa di figure controverse, molte delle quali condividono con Ye certe idee estreme. Solo poche settimane fa, il presidente Donald Trump e il vicepresidente JD Vance sono intervenuti su X per difendere Marko Elez, un venticinquenne impiegato presso il DOGE di Elon Musk che si era dimesso dopo che erano venuti a galla grazie al Wall Street Journal alcuni post razzisti pubblicati nascosto dietro a uno pseudonimo. Tra le frasi emerse, «per la cronaca, ero razzista prima che fosse cool» e un’esplicita promozione della «normalizzazione dell’odio verso gli indiani».

«Ovviamente non condivido alcuni dei post di Elez, ma non credo che una sciocchezza sui social debba rovinare la vita di un ragazzo», ha scritto Vance su X. «Non dovremmo premiare i giornalisti che cercano di distruggere le persone. Mai. Quindi dico: ridategli il posto». A seguito di un sondaggio lanciato da Elon Musk sulla piattaforma, a cui hanno partecipato oltre 200 mila utenti, Elez è stato rapidamente reintegrato.

L’ossessione della destra per la cosiddetta wokeness si riduce spesso alla percezione di un controllo crescente sul linguaggio ritenuto accettabile. Un recente articolo uscito sul New York ha delineato il profilo di una nuova generazione di millennial e gen Z fedeli al MAGA il cui disprezzo per i progressisti deriva in gran parte dalla impossibilità di esprimere apertamente certi insulti. E così, sembra che il pendolo sia oscillato verso un nuovo estremo. Se il peccato capitale della sinistra – per quanto a volte eccessivo – era il gesto performativo in solidarietà a gruppi emarginati, la nuova era premia il bigottismo esplicito. Il fatto che il vicepresidente degli Stati Uniti si mobiliti per reintegrare qualcuno dopo la scoperta di suoi tweet razzisti rappresenta una legittimazione di questo tipo di linguaggio.

Negli ultimi cinque anni, i discorsi tossici online si sono diffusi come il fumo di un incendio. Prima lentamente, ora a una velocità spaventosa. Scorrendo X, Instagram, i commenti su TikTok o qualsiasi altro spazio digitale, si assiste a una proliferazione senza freni di discorsi d’odio, normalizzati e amplificati. Su X ci sono post sponsorizzati che celebrano esplicitamente Hitler. Da quando ha acquisito la piattaforma nel 2019, Elon Musk – che non ha subito conseguenze nemmeno il saluto nazista in diretta televisiva dopo l’insediamento di Trump – ha inaugurato un’era di discorsi d’odio senza filtri sotto la bandiera della battaglia alla wokeness. Un’inchiesta di NBC News condotta ad aprile ha trovato centinaia di account verificati e a pagamento che diffondono propaganda nazista su X, oltre a migliaia di profili non verificati impegnati nella stessa attività.

L’etica del liberi tutti che domina X si sta ormai diffondendo anche su altre piattaforme social. A gennaio, Mark Zuckerberg ha annunciato un cambiamento radicale nelle politiche di moderazione di Meta, consentendo esplicitamente il linguaggio transfobico. Inoltre, ha nominato nel consiglio di amministrazione dell’azienda Dana White, CEO della UFC, noto per la sua fedeltà a Trump e la sua crociata contro la cultura woke.

La sensazone è che le ultime provocazioni di Ye siano il sintomo di un fenomeno più ampio. I suoi messaggi suggeriscono molteplici interpretazioni. La più ovvia è che Ye, che in passato ha parlato apertamente della sua diagnosi di disturbo bipolare, stia attraversando una crisi. Ma è anche vero che, al di là delle sue condizioni personali, l’artista ha sempre dimostrato una capacità unica di captare lo Zeitgeist. Per anni, il mondo ha deviato verso l’estrema destra e ora sembra che siamo entrati in una fase di riallineamento culturale inquietante. Tornare indietro sarà difficile.

Da Rolling Stone US.

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