Negli Stati Uniti una delle idee più calde sembra essere quella di lanciare una guerra in Messico. L’ex presidente americano Donald Trump ha parlato di un piano di battaglia per attaccare il Messico, prendendo di mira specificamente le roccaforti dei cartelli della droga nel paese. E sia alla Camera che al Senato, i principali esponenti repubblicani hanno proposto di autorizzare l’uso della forza per combattere i narcos.
Guidati da Trump, tutti i contendenti repubblicani alle presidenziali hanno appoggiato una possibile operazione antiterrorismo contro i cartelli della droga, applicando le tattiche che l’America ha impiegato in Iraq o in Siria. L’idea, respinta dal suo gabinetto quando Trump l’aveva ventilata quattro anni fa, è ora un’opinione diffusa tra i Rep.
Questo piano rappresenta una risposta alla crisi sociale che riguarda l’overdose da fentanyl, un potente oppioide sintetico, considerato molto più forte dell’eroina. Circa 107 mila americani sono morti per overdose di oppiacei nel 2021, con un aumento del 15% rispetto al totale delle morti nel 2020. La maggior parte di queste morti è attribuibile al fentanyl: si tratta di un problema serio e trovare una qualche forma di risposta politica è tanto importante quanto difficile.
Allo stesso tempo, però, lanciarsi in raid nel territorio di un grande partner degli Stati Uniti non sembra una grande idea. Gli attacchi sul suolo messicano potrebbero provocare conseguenze pericolose e ciò che emerge, più di ogni altra cosa, è il modo in cui le proposte del Partito Repubblicano non siano cambiate di una virgola nel tempo.
Nonostante Trump si sia presentato come una sorta di isolazionista, critico verso il tradizionale approccio belligerante dei Rep, il suo effettivo mandato da presidente ha mostrato piuttosto il contrario. Ha utilizzato la forza in modi leggermente diversi e per motivi differenti rispetto ai suoi predecessori, ma è stato molto chiaro nel sottolineare che alcuni dei grandi problemi americani potessero essere risolti solo bombardandoli.
L’entusiasmo per una nuova guerra messicano-americana illustra lo stesso tipo di principio: combina un’idea presente da tempo nella bolla conservatrice, la guerra contro le droghe, con le preoccupazioni trumpiane sull’immigrazione illegale e il peggioramento della qualità di vita della classe lavoratrice bianca. Inviare le truppe in Messico risolverebbe tutti i problemi in un sol colpo. La proposta ha trovato slancio in questi mesi legandosi alla questione fentanyl; dall’altro lato, l’attacco al Messico è stato però una costante di una certa ideologia politica americana.
Cosa vogliono i Repubblicani?
Il trend della guerra in Messico sembra risalire alla fine della presidenza Trump. Nel 2019, dopo che il cartello di Sinaloa aveva brutalmente assassinato nove cittadini statunitensi, Trump aveva annunciato che avrebbe designato i cartelli come organizzazioni terroristiche straniere. Questa designazione è complicata da mettere in pratica; richiede che i cartelli abbiano una motivazione politica per la loro violenza, cosa difficile da sostenere. La designazione infatti non è mai avvenuta – ma Trump voleva comunque fare la guerra ai cartelli come se fossero terroristi. Nel 2020, il presidente avrebbe chiesto due volte al Segretario alla Difesa Mark Esper se l’esercito potesse “sparare missili in Messico per distruggere i laboratori di produzione della droga”.
L’idea è così stravagante che Esper inizialmente aveva pensato che Trump stesse scherzando. Innanzitutto, i missili Patriot non sono in grado di farlo: sono missili terra-aria progettati per abbattere aerei nemici. Ma soprattutto, bombardare alcuni laboratori di produzione di droga non avrebbe messo fine al traffico. Anche se gli Stati Uniti ne avessero distrutto la maggior parte, i cartelli li avrebbero ricostruiti.
A corroborare l’iniziativa del tycoon, nell’ottobre 2022 è arrivata una proposta politica concreta da parte di Ken Cuccinelli, sostenitore delle politiche anti-immigrazione che ha ricoperto il ruolo di vice segretario ad interim della Sicurezza Interna negli ultimi due anni dell’amministrazione Trump. Nel documento Cuccinelli ha proposto una “guerra difensiva” contro i cartelli impegnati nel traffico di droga e nell’immigrazione.
La proposta resta comunque vaga a livello militare: propone che “il presidente debba condurre operazioni militari specifiche per distruggere i cartelli”, ma non specifica esattamente che aspetto avrebbero queste operazioni. Se dovessero fallire, si parla di inviare “elementi dei Marines, dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica e della Guardia Costiera” in Messico.
In ogni caso, non ci sono dubbi: questo è un piano di invasione. Nonostante Cuccinelli chieda ripetutamente la cooperazione del governo messicano, afferma esplicitamente che un eventuale rifiuto alla collaborazione non dovrebbe ostacolare l’azione americana: “è fondamentale che il Messico non venga indotto a credere di avere il potere di veto per impedire agli Stati Uniti di adottare le misure necessarie per proteggere i propri confini e il proprio popolo”.
Il presidente del Messico, tuttavia, difficilmente potrebbe cooperare con un’incursione statunitense. Dopo che queste proposte legislative hanno cominciato a circolare nel mese di marzo, il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha reagito senza usare mezzi termini: “hanno l’arroganza di dire che se non combattiamo la criminalità in Messico, passeranno un’iniziativa al Congresso in modo che le forze armate degli Stati Uniti intervengano nel nostro territorio”, ha detto il presidente in una conferenza stampa. “Non lo permetteremo. E non solo non lo permetteremo, lo denunciamo”.
In definitiva, queste proposte sono a malapena sviluppate. Nessuno gli sta dando veramente credito, ma il solo fatto che ci sia un dibattito attorno a queste tematiche la dice lunga sullo stato dell’arte in casa repubblicana.
Perché prestare attenzione a questa proposta
È allettante, data la superficialità di queste proposte, liquidarle in modo frettoloso. Ma considerare questa retorica puramente politica sarebbe un errore. Negli Stati Uniti, idee di questo tipo hanno la tendenza a passare dall’assurdità alla concretezza, dal meme alla realtà. Dato che l’ex presidente Trump è di nuovo il favorito nella corsa per la nomination repubblicana, e che sta chiedendo “piani di battaglia” per una guerra contro i cartelli, la proposta deve essere presa sul serio.
La continua confusione tra immigrazione e invasione (una retorica familiare anche in Italia), l’idea che l’importazione di fentanyl sia un complotto deliberato per indebolire l’America: queste teorie raccontano come i cartelli e il governo messicano stiano cercando di favorire il collasso della società americana.
Ma per quanto questa “invasione del Messico” sia frutto dell’agenda trumpiana, non è un impulso del tutto nuovo. Condurre una guerra contro la droga al di fuori dei confini americani è un’idea molto antica, sostenuta in modo significativo da entrambi i partiti. Per i repubblicani in particolare, la scelta di presentarsi come decisi nella lotta alla droga e alla criminalità – a differenza dei deboli democratici – precede l’ascesa di Trump di decenni.
Una nuova guerra sarebbe altrettanto imprudente quanto la guerra in Iraq, forse anche di più, dal momento che il Messico è il vicino degli Stati Uniti. Il fatto che questa proposta sia diventata nuovamente popolare mostra come, nonostante i suoi cambiamenti, la naturale belligeranza repubblicana non sia cambiata.