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L’ultima follia? Una prigione galleggiante per i migranti

Il Regno Unito sta (ri)provando a sbarazzarsi dei migranti mandandoli a vivere su una zattera galleggiante, la 'Bibby Stockholm'

Foto di Dan Kitwood/Getty Images

Quella di Portland, nella contea del Dorset, è una piccola penisola di quasi 13mila abitanti a sud dell’Inghilterra. Da qualche settimana il suo porto è finito al centro delle discussioni di mezzo mondo: una fama che deve alla nuova arrivata, una specie di enorme zattera galleggiante spedita dalla Svezia. Il governo britannico l’ha noleggiata per i prossimi 18 mesi per utilizzarla come alloggio per circa 500 persone in attesa di conoscere l’esito della propria richiesta di asilo – le prime dovrebbero essere fatte salire a partire dalla prossima settimana.

Così facendo, secondo il governo, il Paese risparmierebbe una buona parte dei soldi – quantificati in quasi 6 milioni di sterline al giorno, una cifra che secondo la ONG per i diritti umani ‘One life to live’ sarebbe sufficiente ad assumere almeno 150 persone in grado di smaltire le richieste di asilo – fino ad ora spesi per garantire ai richiedenti asilo – che attualmente sarebbero circa 51mia, distribuiti in tutto il Regno Unito – un alloggio. Anzi, per ammortizzare ulteriormente i costi, Rishi Sunak, primo ministro inglese, crede che dovrebbero essere ricollocati in strutture organizzate in modo simile – come basi militari e prigioni dismesse – almeno 5mila migranti. Secondo un dettagliato rapporto redatto da due ONG britanniche, in realtà, non solo il risparmio alla fine potrebbe quantificarsi in pochi spicci, ma, al contrario, ospitare i richiedenti asilo sulla piattaforma – che necessita di manutenzione e gestione – potrebbe essere molto più dispendioso. Prima di tutto per la sua mole.

La chiatta – è così che si chiama in gergo più tecnico – è lunga 91 metri e larga 27, e ha un’altezza che la rende piuttosto simile a un palazzo di tre piani. Costruita nel 1976 e poi convertita in alloggio galleggiante nel 1992, la Bibby Stockholm, prima di arrivare in Inghilterra, è stata utilizzata per scopi diversi: dimora per i senzatetto di Amburgo, in Germania, negli anni ’90, nel 2013 abitazione per i lavoratori impegnati nella costruzione di un impianto di gas di proprietà dalla società Petrofac nelle Shetland, un arcipelago a nord-est della Gran Bretagna e residenza per migranti nei Paesi Bassi. Utilizzo dopo il quale la “nave” fu ritirata e ristrutturata perché ritenuta inadatta a farci vivere delle persone.

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La Bibby Maritime dice che ora sulla sua nave ci sono 222 stanze singole (o meglio, cabine) costruite attorno a due piccoli cortili interni, dotate di ogni confort e in grado di ospitare, per via dell’inserimento di letti a castello, almeno due persone – fino a raggiungere più del doppio della capienza iniziale. Tuttavia, secondo un’analisi del quotidiano britannico The Independent, quando la nave sarà al completo, i richiedenti asilo avranno «meno spazio vitale di un parcheggio standard». Un limite enorme non solo da punto di vista fisico, visto che «poter abitare un luogo – anche temporaneamente – e sviluppare sentimenti di attaccamento e appartenenza è fondamentale per il benessere di una persona», come ha scritto Irit Katz, esperta degli aspetti socio-politici e culturali dell’architettura e dell’urbanistica. «Anche dinanzi a frontiere sempre più severe, i migranti tentano comunque di abitare uno spazio e stabilire con esso una connessione». Sforzi però ostacolati dai – non pochi – tentativi dei governi di ammucchiare i richiedenti asilo in spazi isolati e inospitali. È successo nel 2015, quando Berlino utilizzò l’ex aeroporto di Tempelhof, uno spazio lontano dal resto della città, per accogliere migranti, e di nuovo nel 2016, quando Parigi inaugurò oil Centre Humanitaire Paris-Nord, alloggi temporanei coperti da una bolla gonfiabile di plastica collocati in un vecchio edificio in disuso e privo dei comfort di base appartenente alla SNFC, compagnia ferroviaria francese.

Secondo le dichiarazioni di Rishi Sunak, tuttavia, “familiarizzare” con l’Inghilterra non sarà un problema per i migranti della chiatta, visto che questi potranno recarsi sulla terra ferma tutte le volte che vorranno («non è una prigione galleggiante»). Sarà davvero così? Difficile crederci dato che i movimenti di salita e discesa saranno fortemente limitati e controllati – e forse impediti?

D’altronde, come sospettano alcuni, lo scopo del primo ministro inglese è in realtà quello di confinare i migranti in un luogo unico, e quindi più facile da controllare rispetto alla dispersione degli hotel – definirli tali è persino ingannevole, viste le condizioni disastrose in cui solitamente versano. Un modo di agire e di pensare che «è un preoccupante precedente di smantellamento degli obblighi relativi all’accoglienza dei richiedenti asilo», come l’ha definito l’alto commissario dell’ONU per i diritti umani Volker Türk. Un tentativo, secondo Irit Katz, non solo dannoso, ma pure controproducente, perché «per quanto minacciose possano essere queste immagini, non impediranno alle persone disperate di tentare di venire nel Regno Unito per cercare sicurezza. Piuttosto che scoraggiare i richiedenti asilo, la piattaforma sta potenzialmente creando un altro pericolo per loro e per le comunità che li ospitano». Basti pensare che i vigili del fuoco hanno definito la nave «una potenziale trappola mortale», con punti di evacuazione insufficienti e inadeguati e priva di giubbotti di salvataggio. Per questo motivo il sindacato dei vigili del fuoco (FBU) ha scritto al Ministero dell’Interno proprio in merito al sovraffollamento a bordo e all’accesso difficoltoso alle uscite di sicurezza.

Il Regno Unito, tra l’altro, non sta neppure affrontando un’ondata migratoria a tal punto imponente da giustificare, in minima parte, il dislocamento dei rifugiati. Nel 2022 gli arrivi sono stati circa 45mila, un numero certamente considerevole, ma allo stesso tempo alla portata di un paese ricco e attrezzato come quello di Sunak. Negli ultimi anni, però, sempre più conservatori si sono avvicinati, sul tema dell’immigrazione, al pensiero dell’estrema destra europea, con il risultato che, quello della Bibby Stockholm non è altro che l’apice di un piano anti migranti molto più vasto.

Il Paese, che fondamentalmente vorrebbe ridurre il numero di arrivi e respingere i migranti senza neppure esaminarne le richieste d’asilo, non è nuovo alle polemiche per il modo in cui si approccia al tema.

Proprio lo scorso giugno la Corte d’Appello di Londra ha dichiarato illegale il disegno di legge del governo che intende spedire in Ruanda – grazie ad un accordo iniziale tra le due nazioni di circa 160 milioni di sterline – richiedenti asilo arrivati nel paese in modo irregolare, che sarebbero poi trattenuti in Africa anche in caso di esito positivo della domanda. Il primo volo di deportazione, che sarebbe dovuto partire praticamente un anno fa, era già stato stoppato da una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, poi ribaltata da quella a favore della Corte Suprema. Frenata, come detto sopra, dalla Corte d’Appello, contro cui Sunak ha fatto ricorso.

Nonostante il Ruanda sia stato giudicato “paese terzo non sicuro’” per via di un sistema di asilo carente e rischioso, la partita è ancora aperta. Così come la chiatta, in attesa di “accogliere” le prime persone.

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