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Ornella Vanoni & Co., viva i vecchi che dicono tutto (e si divertono)

Lei, Gino Paoli, e tutti gli altri: sono di più, sono oltre, sono anziani saggi con la libertà, però, dei bambini. E dimostrano che, anche a “una certa età”, si può ancora stare al centro della scena. Ridendo (consapevolmente) della morte

Foto press

Sono qualcosa di più dei venerati maestri: per età e meriti, hanno superato perfino quella fase. Sono di più, sono oltre, anziani saggi con la libertà, però, dei bambini. Non contano più neanche le uscite discografiche, i concerti e il resto; conta come li vivono, ciò che raccontano, il fatto che il mondo voglia metterli su un piedistallo e loro non ci stiano, sul piedistallo. O ci stiano a modo loro: male cioè, storti, di traverso. Ma senza malafede. E per questo la gente gli vuole bene.

Prendiamo per esempio Ornella Vanoni, capostipite di questo circolo esclusivo di grandi vecchi che, presentando i due live che terrà a Milano di qui a poco per due sere di fila, a Che tempo che fa si è limitata a un «così me la rischio, speriamo che non muoia». Risata. O come dice stamattina in un’intervista su Repubblica – ed è qui il punto – «la vecchiaia è una rottura, ma ora mi diverto». Ecco, si diverte.

Non è l’unica: di fianco c’è il collega/compagno/amico di una vita (perlomeno nell’immaginario collettivo) Gino Paoli, anche se ha un rapporto più antagonista con l’età, ma ci sta anche quello; e in posizione più defilata, quasi sulla soglia, c’è Gianni Morandi, da quando anni fa ha cominciato a usare i social in una maniera così pura da fare invidia agli stessi influencer; e più giù c’è perfino Adriano Celentano, messo fuori gioco dai deliri d’onnipotenza della serie tv Adrian. A volte serve dimostrarsi fuori dal tempo, per starci dentro.

È un gioco delle parti, chiaramente inconsapevole, in cui Vanoni e Paoli giocano il ruolo di assoluti protagonisti. Lei è il poliziotto buono, lui quello cattivo. Lui, se si tratta di nuovi artisti, li bastona pressoché tutti, tipo dicendo che «sono canzoni di merda». Lei invece ha sempre una buona parola, ma non è ruffianeria e, anzi, non è mai una parola banale: «Tu usi il corpo in maniera intelligente, ed è questo che fa la differenza», aveva detto Elodie. C’è spazio per entrambi.

Per Paoli, che è stato praticamente una rockstar prima delle rockstar, che nella vita ha visto di tutto e oggi sta qui a raccontarlo senza filtri, tra un «cazzo» e un altro, neanche fossero i «fuckin’» di Liam Gallagher, che però ha quarant’anni in meno. Uno così ci vuole, e i suoi aneddoti sono quelli di chi è passato per un tentato suicidio: il fatto che ormai non abbia freni inibitori, e possa pure permetterselo, ci riconcilia con la parte più pura di noi; si può essere anche così, diciamo, ruvidi, se lo si è con la purezza che lui difende. Quando l’anno scorso era stato ospite a Sanremo, Morandi gli aveva raccontato di come lui e la sua generazione, da giovani, gli andassero dietro e cercassero di frequentarlo il più possibile, «in modo da imparare la vita». «Ma che cazzo volevate imparare da me…».

Vanoni è anche di più, è la parte migliore di noi stessi: quella che nella vita ha sofferto e si è sudata tutto, e adesso più che trincerarsi dispensa perle. Sempre dall’intervista di Repubblica: «non sono stata libera per anni»; «non avevo un pubblico femminile dalla mia parte, le donne sono arrivate dopo»; «la pazienza è una conquista». Anche lei, spesso, in tv non si tiene, è un cortocircuito nei salotti buoni. Ma c’è più vita nelle sue uscite improvvisate, senza freni inibitori anche qui, che in tante frasi di circostanza figlie della diplomazia, dell’eterna promozione, del non ferire nessuno. Anche perché, al contrario di tanti tromboni, Vanoni dice spesso la cosa giusta.

Per questo ci piacciono, questi anziani saggi: perché ci fanno stare bene, sereni, in pace con noi stessi; ci dicono che la vecchiaia porta cose positive, può essere vissuta in maniera proattiva, può essere un’età in cui stare ancora al centro del dibattito e avere delle cose da dire, ma senza per questo suonare arroganti, presuntuosi, fuori dal tempo; con ironia («lo sono sempre stata, il divismo mi manca») e umiltà, ma anche con leggerezza, accettando lo scorrere del tempo che, se preso nel verso giusto, significa libertà e sorpresa. Nessuno si aspetta più tanto da una novantenne? Vanoni li stupisce.

Il risultato è una generale sensazione d’accoglienza, come quella che di solito garantiscono i nonni, che non giudicano, ma danno consigli. In fondo, dire la verità è un privilegio concesso solo ai bambini e agli anziani: hanno la stessa purezza, ma quella di Vanoni e soci vale ovviamente di più; e il fatto che loro, protetti da questa specie di privilegio, si permettano di dire semplicemente ciò che pensano, che poi è ciò che pensiamo noi ma non possiamo ancora ammettere, ce li fa amare.

Non è l’unica, lei, ovviamente. Ci sono pochi, grandi vecchi che ci sono riusciti, in tutti i campi. Nell’underground italiano ci sono le poesie di Remo Remotti, che racconta la sua gioia per il sesso a ottant’anni. In America, i «taccuini di un vecchio sporcaccione» di Bukowski. O pensiamo a Marco Pannella con il codino, le cravatte psichedeliche e l’aria da sciamano, mentre intorno è una gara, per gli altri politici, a tingersi e tirarsi la pelle. «Io oggi sono sola, la libertà è un prezzo», ha detto sempre stamattina Vanoni. «Mi piacerebbe avere qualcuno accanto, ma poi penso che sarebbe un vecchio scaramuffo. Il toy-boy non mi interessa. Stiamo bene io e la mia cagnolina, Ondina». L’opposto di ciò che si sente vedendo i supergiovani, chi non vuole rassegnarsi al tempo che passa. Vanoni, ecco, il suo tempo lo cavalca.

I prossimi? Forse Celentano e Morandi, che sono già instradati. Anche se Vanoni, probabilmente, per come sta vivendo la sua età resta imbattibile. A noi non rimane che ammirarli, percepirli come personaggi di casa, che hanno molto da dirci su cosa sarà la vecchiaia e su come affrontarla. Il trucco – uno degli ultimi della loro carriera – è farci però credere, con la loro semplicità, che sia una cosa facile, che ci riguarda tutti; che, insomma, possiamo anche noi. Ma in realtà si parla piuttosto di splendide eccezioni.

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