Ci sono cose che non passano mai, tipo la difesa a oltranza delle forze dell’ordine da parte della destra. È una battaglia talmente identitaria che le parole di Mattarella sulle cariche degli agenti sugli studenti a Pisa – le sappiamo: «l’autorevolezza non si misura sui manganelli» – hanno mandato in bestia Salvini, guardiano dell’onore delle forze dell’ordine pure ora che non è Ministro dell’Interno, e gli esponenti di Fratelli d’Italia, pur nel silenzio di Meloni. Ma anche i più moderati di Forza Italia hanno avuto da ridire. Tutti, insomma, dalla parte della polizia, convinti che quello del Presidente della Repubblica sia stato un attacco personale, alla vigilia, tra l’altro, delle elezioni in Sardegna. Il punto infatti è che è la destra a legarsi alle forze dell’ordine, prima che il contrario – i sindacati di polizia, com’è noto, stanno dalla parte di chi li difende in base alle opportunità, vanno un po’ dove tira il vento.
E tutto questo, insomma, anche a rischio di dire eventuali falsità, negare l’evidenza, non ammettere nemmeno che le cariche siano state eccessive, e le scene di violenza e di accanimento, perlomeno, gratuite e pessime da vedere in un paese come il nostro. Tant’è che, secondo i retroscena, venerdì notte perfino il Ministro dell’Interno Piantedosi era rimasto allibito dalle immagini. «Ma che hanno combinato?», gli era scappato durante una riunione in Viminale. Poi la telefonata con Mattarella, in realtà conciliante. E infine, però, il cambio di rotta: «Siamo intervenuti per difendere la Sinagoga di Pisa. Non dimentichiamoci che si è agito per proteggere obiettivi sensibili». Il governo, infatti, aveva imposto la linea dura a ogni costo. E così, secondo quanto ha ricostruito oggi Repubblica, il Ministro se ne sarebbe uscito con una menzogna: il fatto che gli studenti fossero diretti verso la Sinagoga al momento in cui sono partite le cariche era tutto da dimostrare; non era nella mappa del corteo, tant’è che anche le forze dell’ordine non stavano presidiando quella piazza (se si esclude una piccola unità, di routine in un’area comunque così turistica).
Intorno a lui, intanto, la solita retorica del “giù le mani dalle forze dell’ordine”. Tra i tanti, il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Tommaso Foti, intervistato oggi su La Stampa, per il quale «sono stati commessi degli errori, ma la polizia non va attaccata»; oppure il vice-capogruppo di Forza Italia Raffele Nevi, secondo cui «le forze di polizia vanno difese senza se e senza ma». Ma il vero mattatore, ovviamente, è Salvini: «Se uno va in piazza con tutti i permessi, senza sputare, insultare, minacciare, non ha nessun tipo di problemi»; «non posso accettare la messa all’indice della polizia italiana come un corpo di biechi torturatori»; e soprattutto «chi mette le mani addosso a un poliziotto è un delinquente», soprassedendo al fatto che gran parte dei manifestanti fossero minorenni non armati. Se si fa la conta, le frasi di biasimo nei confronti della polizia – che possa, insomma, anche solo aver esagerato, viste le scene con gli studenti a terra, il sangue e i manganelli – sono pochissime rispetto a quelle che colpevolizzano i manifestanti.
Mentre è comunque partita un’indagine su ciò che è successo, la preoccupazione di Mattarella – che ha telefonato anche a Meloni – è che scene del genere possano ripetersi al G7 che si svolgerà in Puglia il prossimo giugno, in una macabra riproposizione di quanto era accaduto a Genova nel 2001. E mentre le opposizioni parlano di una «deriva autoritaria» e di difficoltà a esprimere il dissenso, la Lega in particolare sembra più interessata a difendere le forze dell’ordine piuttosto che lo stesso Piantedosi, di cui il PD (ma non il Quirinale) ha chiesto le dimissioni.
Perché? Più che il calcolo elettorale – il voto, banalmente, dei poliziotti – è una questione d’istinto. Se i movimenti di estrema destra, per esempio, sono spesso ostili alle forze dell’ordine per via di scontri avvenuti, anche nel loro caso, in piazza, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia cercano di rispondere piuttosto a quel bisogno di ordine che in tanti, evidentemente, sentono dentro. Quel pensiero, insomma, per cui manifestare è sempre un po’ sbagliato, chi scende in piazza in fondo se la cerca, ed è meglio un regime tranquillo a una democrazia instabile. Meglio non esprimere il dissenso, anche fosse nostro, che mettere in discussione tutto. Il fascismo, alla fine, nacque così, da questa stessa esigenza di tranquillità.