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Repressione, minacce e rimpatri: le stazioni di polizia cinesi che operano in Italia

Sono mascherate da uffici amministrativi e servono a reprimere l'attività dei dissidenti scavalcando le normali procedure di estradizione, stanando i fuggitivi e costringendoli al ritorno in Cina con la forza. Diverse inchieste ne stanno mettendo in luce le ambiguità

Foto di Emanuele Cremaschi/Getty Images

In Italia opererebbero una decina di stazioni di polizia cinesi mascherate da uffici per il disbrigo di pratiche amministrative, aperte senza chiedere alcun tipo di autorizzazione al governo locale. Questi presidi, parte dell’operazione denominata “Overseas 110”, eserciterebbero una funzione di ordine pubblico in uno Stato terzo e, di conseguenza, la loro attività sarebbe da considerarsi illegale.

La presenza delle stazioni di polizia cinesi è funzionale a un duplice obiettivo: da un lato, controllare la fedeltà della popolazione cinese che vive e lavora in Italia; dall’altro, reprimere il più possibile l’attività dei dissidenti bypassando le normali procedure di estradizione, anche facendo ricorso a minacce a parenti e amici rimasti in Cina.

Quello italiano non è un caso isolato: stando a quanto riportato da un’indagine dell’ONG spagnola Safeguard Defenser, la presenza di stazioni di polizia al di fuori dei confini nazionali cinesi sarebbe infatti parecchio capillare: si parla di ben 54 stazioni di polizia stanziate in 21 Paesi. L’inchiesta, coordinata dall’attivista per i diritti umani Laura Hart, menziona dei numeri – difficili da confermare, data la provenienza – che lasciano poco spazio all’immaginazione: secondo quanto dichiarato dal Ministero per la Pubblica Sicurezza, dall’aprile 2021 al luglio 2020 230.000 cinesi residenti all’estero ed accusati di frode, anche online, sono stati “convinti” dal governo a fare ritorno in Patria e a consegnarsi, non si sa quanto spontaneamente, alla giustizia cinese. Safeguard Defenser menziona anche anche una serie di misure che la polizia sarebbe stata incaricata di adottare: minacce di molestie, detenzione o addirittura reclusione di membri della famiglia in Cina operate al fine di convincere tutti gli obiettivi restii a conformarsi.

Secondo quanto riportato da un’inchiesta de l’Espresso, le stazioni identificate sinora sono sparse su tutto il territorio nazionale, da Bolzano fino alla Sicilia (qui è possibile visionare la mappa). Tra le città coinvolte ci sono Venezia, Firenze e Prato, tutti luoghi importanti per la comunità cinese in Italia. Il caso della cittadina toscana è paradigmatico, dato che ospita la più grande comunità cinese d’Europa, attratta intorno al Duemila dal florido tessuto produttivo tessile. E proprio a Prato, come rivelato da un articolo de Il Foglio, è stata costituita la stazione di servizio di polizia d’oltremare di Fuzhou.

La stazione si trova in via degli Orti del Pero, centro amministrativo e del business della comunità cinese di Prato, e la sua apertura non è stata comunicata ufficialmente alle autorità italiane. La polizia, contattata dal quotidiano a settembre, ha infatti fatto sapere che l’ufficio non ha destato particolare preoccupazione perché «si occupa solo di pratiche amministrative e non di pubblica sicurezza» – anche perché, come anticipato, in questo secondo caso sarebbero illegali – è doveroso specificare che, già nel 2018, arrivarono in città fisicamente i poliziotti cinesi, con tanto di divisa, in un contesto pienamente regolare: la loro presenza, infatti, era il frutto di un accordo firmato tre anni prima tra le rispettive Forze dell’ordine, che prevedeva il pattugliamento congiunto delle aree frequentate da cittadini cinesi per turismo.

Anche se diventata di pubblico dominio soltanto di recente nel contesto domestico, la questione delle “stazioni di polizia d’oltremare” tiene banco da anni: ad esempio, un articolo pubblicato su People’s Public Security News nel 2019 parlava già apertamente della «innovativa creazione di centri di servizio di polizia d’oltremare” dell’Ufficio di pubblica sicurezza della contea di Qingtian, le quali forniscono “servizi convenienti per il vasto numero di cinesi d’oltremare» in 21 città citate in 15 Paesi, e per le quali hanno assunto «135 leader cinesi d’oltremare nati a Qingtian e leader di gruppi cinesi d’oltremare», «costruendo una squadra di oltre mille persone” coordinata da un “centro di collegamento domestico».

I Paesi interessati dalla presenza delle stazioni di polizia cinesi hanno avviato un’inchiesta per far luce sulle attività. Ad esempio, in Olanda è stata già chiusa qualche struttura, soprattutto in seguito alla pubblicazione di un’inchiesta realizzata dai media olandesi RTL Nieuws e Follow the Money, che hanno raccolto anche una testimonianza del giovane dissidente Wang Jingyu, da tempo perseguito dal governo cinese per aver espresso critiche al regime per gli scontri avvenuti nell’estate del 2020 con le truppe indiane lungo il confine himalayano. Wang, che ha ottenuto asilo politico in Olanda, ha raccontato di essere stato oggetto di telefonate minatorie «da parte di qualcuno che sosteneva di chiamare da una stazione di polizia cinese di Rotterdam invitandomi a tornare a casa a risolvere i miei problemi e pensare ai miei genitori. Pensavo di essere al sicuro qui, ma mi seguono ovunque». La risposta di Pechino ha prestato il fianco a qualche ambiguità: ad esempio, l’ambasciata cinese nei Paesi Bassi, interpellata da RTL Nieuws, ha negato di essere a conoscenza dell’esistenza di queste stazioni di polizia. Il ministero degli Esteri ha invece riconosciuto l’esistenza di questi uffici, spiegando però che il loro scopo è aiutare i cittadini cinesi d’oltremare, che non hanno potuto tornare a casa a causa della pandemia di Covid-19, «a rinnovare la patente di guida e ricevere esami medici» – una risposta simile a quella fornita dalle autorità italiane.

Regno Unito, Portogallo, Spagna, Irlanda e Canada sono gli altri stati che hanno aperto un’indagine ufficiale. In Portogallo è accertata la presenza di «3 stazioni di polizia illegali» come le ha definite il quotidiano portoghese Expresso. L‘Irlanda ha già ordinato alla Cina di chiudere il proprio centro, aperto all’inizio del 2022 come centro per il rinnovo delle patenti di guida, in Gran Bretagna vi sarebbero due sedi a Londra e una Glasgow.

Nel nostro Paese, finora, ha regnato il silenzio più assoluto, ma la speranza è che le inchieste possano incentivare una discussione pubblica sul tema. «L’Italia è l’unico Paese europeo in cui la reazione alla nostra indagine è stata molto fredda», ha detto Laura Harth, campaign director di Safeguard Defenders, a l’Espresso, che questa mattina ha in copertina un’inchiesta interamente dedicata al tema. «Sarebbe il caso che il nuovo governo italiano mostrasse la ferma volontà di cambiare passo e investigare seriamente la questione, ivi inclusa l’esposizione complessiva del Paese alle interferenze di Pechino, visto che è proprio dall’Italia che è partito tutto», ha aggiunto.

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