Quello dei Kennedy è un cognome pesante che negli Stati Uniti d’America si traduce con una sola parola: politica. La famiglia cattolica di origini irlandesi è considerata l’unica vera dinastia che ha attraversato la storia recente americana, una quasi aristocrazia che ha preso parte ai principali eventi del Novecento anche solo sfiorandoli. L’omicidio di John Fitzgerald Kennedy a Dallas nel 1963 è l’evento tragico per eccellenza della storia statunitense, la fine improvvisa di uno dei presidenti più apprezzati dall’opinione pubblica la cui morte ha generato un’ondata di cordoglio bipartisan e una serie infinita di dietrologie che continua ininterrotta da sessant’anni.
Nel ’68 viene ucciso il fratello di JFK, il senatore democratico Robert F. Kennedy, durante le celebrazioni per la vittoria delle primarie presidenziali nello stato della California. Come già avvenuto cinque anni prima, l’omicidio non fa che cementificare il mito che accompagna la famiglia e rafforza le teorie del complotto sulla “maledizione dei Kennedy” e che a periodi alterni sostengono una diversa matrice dietro l’eliminazione sistematica dei suoi membri (la CIA, gli ebrei, ma anche i rettiliani). Un cognome che fonde lo status symbol all’investitura regale – anche il repubblicano Arnold Schwarzenegger ha beneficiato di questa tradizione durante la sua elezione a governatore della California, essendo sposato all’epoca con la nipote di JFK, Maria Shriver – e dopo la morte di Ted Kennedy nel 2009 è sembrato che la dinastia politica più importante degli USA fosse giunta alla sua fine naturale. Poi è arrivato Robert F. Kennedy junior.
Il figlio del senatore omonimo ha sempre tenuto un basso profilo per la maggior parte della sua carriera: avvocato ambientalista noto principalmente per le sue battaglie legali contro l’inquinamento e a tutela del paesaggio naturale, negli anni Novanta ha impedito la costruzione di dighe in Québec e in Cile oltre a far condannare la multinazionale della chimica DuPont al pagamento di una cifra che si aggira attorno i quattrocento milioni di dollari, come tutti i principali membri della famiglia anche RFK jr. è un esponente del Partito Democratico statunitense, un militante di lungo corso tanto da essere stato uno dei principali finanziatori della candidatura di Hillary Clinton alle primarie del 2008.
Un curriculum degno del suo cognome pesante. Tuttavia, ad ostacolare le ambizioni del delfino democratico – e dei tanti che all’epoca avrebbero visto bene una sua eventuale discesa in politica – c’è un particolare difficilmente ignorabile: Robert F. Kennedy jr. è un fervente sostenitore della teoria del complotto sulla correlazione vaccini-autismo, un rapporto causa effetto ampiamente smentito dalla comunità scientifica che però continua a trovare spazio mediatico da decenni. Una macchia su un pedigree di tutto rispetto che per un semplice militante si sarebbe potuta (cinicamente) ignorare.
Ma nel 2020 scoppia la pandemia di Covid-19 e il rampollo Kennedy parte all’attacco. RFK jr. conquista il movimento No Vax, sostenendo le teorie del complotto più diffuse sul controllo globale operato per mezzo della vaccinazione. Nel 2021 mette nero su bianco il suo manifesto politico antiscientifico pubblicando il libro The Real Anthony Fauci: Bill Gates, Big Pharma, and the Global War on Democracy and Public Health, un’accusa diretta verso l’immunologo Fauci, all’epoca capo della task force governativa contro il virus, e Bill Gates, nemico pubblico per eccellenza di tutte le tesi complottiste che hanno preso piede negli ultimi anni (non è ancora dato sapere perché il fondatore di Microsoft sia il nuovo demiurgo del grande cospirazione globale, ma tant’è). Persino il think thank conservatore Claremont Institute ha condannato l’opera letteraria di Kennedy, sostenendo che il libro avesse “la stessa obiettività dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion”, il falso storico che ha dato il via all’antisemitismo moderno.
L’analogia acquista ancora più valore dopo che RFK jr. ha sostenuto che il Covid fosse stato “programmato etnicamente” per colpire tutti meno che gli ebrei. Le uscite deliranti di Kennedy gli hanno garantito l’appoggio del mondo QAnon, l’area più radicale del movimento Make America Great Again, e questa alleanza tanto surreale quanto prevedibile è appoggiata dallo stesso politico di Washington D.C. come testimoniato da una recente intervista sul canale di Tucker Carlson – il giornalista trumpiano cacciato da Fox News per le sue posizioni troppo estreme anche per la nuova destra americana – in cui ha espresso le sue farneticazioni sul conflitto in Ucraina, sostenendo la teoria avallata dalla propaganda putiniana dei “bio lab” nascosti dal governo di Kyiv, e sui “reali mandanti dietro la morte dello zio”. Ciò nonostante, nessun cambio di casacca.
Per quanto buona parte del pubblico si aspettasse un passaggio di RFK jr. tra le fila del Partito Repubblicano di Donald Trump, Kennedy ha deciso di candidarsi alle primarie democratiche per le elezioni presidenziali del 2024 sfidando apertamente Joe Biden. Esclusa quella dell’attivista Marianne Williamson, quella di Robert F. Kennedy jr. è l’unica candidatura presentata contro il presidente in carica, un’operazione morta in partenza vista la decisione unanime del partito di schierarsi in blocco con l’attuale leader democratico. Un recente sondaggio ha comunque riconosciuto una fetta di voti non indifferente per il candidato ultra-complottista e buona parte degli intervistati ha dichiarato che, tra le ragioni principali dietro questo sostegno, il cognome Kennedy pesa sulla scelta di sostenere la sua avventura elettorale. Basta una conoscenza superficiale del sistema americano per sapere che questa candidatura non porterà a nulla, ma la storia in sé dimostra, ancora una volta, la tendenza al ridicolo della politica statunitense. Una deriva surreale e pericolosa.