Mentre gli editorialisti perennemente indignati fanno le pulci a Bruce Springsteen per il concerto (nella zona verde) di Ferrara nell’Emilia alluvionati, un’altra vacca sacra del rock é finita nell’occhio del ciclone, ma per ora non si odono reprimenda dai suddetti opinionisti. Qui peró si parla di un guaio giudiziario, anzi di un reato di opinione, materia perlappunto opinabile, nonché scivolosa, che può sfociare anche nella censura, a meno non si tratti di offese razziste. Ma come noto l’ex Pink Floyd è stato messo sotto inchiesta dalla polizia tedesca per l’ipotesi di “glorificare o giustificare il regime nazionalsocialista”, in relazione alla divisa da simil SS indossata dal musicista durante lo show del 17 maggio alla Mercedes Benz di Berlino, con delle fasce rosse al braccio con martelli incrociati al posto delle svastiche.
Una messinscena già vista in tutte le tappe del ‘This is not a Drill’ tour, passato anche da Milano e Bologna ad aprile, nel quale Waters impersona una rockstar narcisista protagonista come nel film di The Wall, in delirio di onnipotenza che vuole diventare un dittatore. Una performance artistica quindi, come replica lui. E su questo siamo d’accordo, pur trovandola di dubbio gusto e un po’ pacchiana. “Attacchi in malafede da parte di coloro che vogliono diffamarmi e mettermi a tacere perché non sono d’accordo con le mie opinioni politiche e i miei principi morali”, è la difesa affidata a un post social con toni un po’ tromboni, manco fosse una dichiarazione di un parlamentare italiano sulla polemichetta politica di giornata. E poi ancora rivendica di essersi battuto per tutta la vita contro ogni forma di “oppressione e autoritarismo”. Magari però chiudendo un occhio sulle gesta di Vladimir Putin, la cui invasione dell’Ucraina viene considerata da Waters sì “illegale” ma “provocata”, come spiegato in un intervento all’Onu dove era stato invitato, guarda caso, dal governo russo. Insomma la classica tesi propinata nei salotti tv dagli Orsini e dai Santoro, condita con il no all’invio delle armi a Kiev, naturalmente in nome della “pace”, perché serve solo “ad arricchire le industrie belliche”. L’armamentario ideologico sposato da una parte della sinistra e dalle destre sovraniste, in quel guazzabuglio trasversale che prende il nome di rossobrunismo.
Ma torniamo alle accuse allo show watersiano, ricordando che in Germania l’apologia del nazismo è punita con leggi ben più severe e stringenti di quelle applicate in Italia al reato omologo legato al fascismo. Sul palco nella parte dedicata ad Animals volteggia un maiale gonfiabile con vari simboli “totalitari” tra i quali la Stella di Davide, una scelta che aveva già fatto infuriare le comunità ebraiche. “Non avete capito niente, è un messaggio di pace”, spiega Waters. Sarà. Sugli schermi in un Pantheon un po’ confuso sfilano i nomi di vittime dell’autoritarismo. Ci sono Anne Frank, Mahsa Amini, la ragazza iraniana morta nelle prigioni della polizia morale di Teheran per non aver indossato correttamente il velo ma anche Shireen Abu Akleh, la giornalista palestinese rimasta uccisa dal fuoco israeliano durante un scontro armato tra i soldati e i miliziani in un raid in Cisgiordania nel maggio 2022 e Rachel Corrie, una attivista americana morta dopo essere stata schiacciata da un bulldozer dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza nel 2003 mentre tentava di impedire un’operazione di bonifica. Un incidente secondo Israele, un’azione volontaria secondo gli attivisti, tesi sposata naturalmente da Waters, che si inserisce nella sua crociata contro uno stato che definisce di “apartheid”.
“Buongiorno a tutti quelli, tranne Roger Waters, che hanno passato la serata a Berlino (sì Berlino) dissacrando la memoria di Anne Frank e di 6 milioni di ebrei assassinati durante l’Olocausto”, twitta il ministero degli Esteri israeliano dopo lo show nella capitale tedesca mentre a Francoforte il concerto del 28 maggio annullato dal consiglio comunale perché Waters “antisemita” ottiene il via libera da un tribunale dopo il ricorso dell’artista. Sullo stage alla fine farà irruzione un uomo con una bandiera di Israele, come protesta contro la narrazione del musicista inglese. Ma il Nostro sembra non essere amato molto neanche a Colonia, dove però nonostante le proteste il concerto si é tenuto lo stesso. “L’antisemitismo non ha posto a Colonia. Non lo tolleriamo. Non lo tolleriamo quando è apertamente espresso o sottinteso”, era stato il messaggio di benvenuto all’ex Pink Floyd della sindaca Cdu della città renana, Henriette Reker.
#HERO! This brave man rushes the stage where antisemite Roger Waters was just playing in Frankfurt and waves Israeli flag. Meantime, you hear supporters chant "Am Yisrael Chai" (People of Israel live). 💪🇮🇱 pic.twitter.com/xWfBGMNvMR
— Arsen Ostrovsky (@Ostrov_A) May 28, 2023
La “lobby” degli hater di Waters sembra non aver fine. “Purtroppo, Roger Waters, sei un antisemita marcio fino al midollo. Oltre a giustificare Putin, essere un bugiardo, un ladro, un ipocrita, un evasore fiscale, uno che canta in playback, un misogino, megalomane invidioso. Ne ho abbastanza del tuo nonsense”, cinguetta su Twitter in febbraio, non proprio benevola, Polly Samson, moglie del chitarrista dei Pink Floyd, David Gilmour, ai ferri corti con l’ex compagno di band. Derubrichiamolo quindi pure a vecchi dissapori mai sopiti ma alle richieste di Waters e altri musicisti ai colleghi di non esibirsi in Israele, in una campagna permanente del Bds (Boycott, disinvest and sanctions), un movimento internazionale contro lo Stato ebraico di cui Roger è un grande supporter e che in Italia vanta tra i sostenitori il cuoco tv pro-palestinese Chef Rubio, arrivano risposte piuttosto piccate. Sentite Nick Cave: “I musicisti che si esibiscono in Israele sono costretti a passare attraverso una sorta di umiliazione pubblica da parte di Roger Waters and co. La decisione di esibirsi a Tel Aviv è quindi una posizione di principio contro chiunque tenti di censurare e silenziare i musicisti”. Proprio quello per cui dice di battersi il musicista britannico di fronte alle richiesta di annullare i suoi concerti da parte di vari sindaci tedeschi e associazioni ebraiche.
Più cortese la risposta di Thom Yorke dei Radiohead. “Suonare in un paese non significa supportare il suo governo. La musica e l’arte devono superare i confini, non crearne di nuovi. Noi ci occupiamo di menti aperte e non chiuse, di storie condivise, di dialogo e libertà d’espressione”, il tweet del leader della band di Oxford che si esibì regolarmente a Tel Aviv nel luglio 2017. “È decisamente irrispettoso presumere che non siamo informati su quanto accade o che siamo ritardati al punto di non riuscire a prendere delle decisioni da soli”, rincara poi la dose Yorke.
“C’è un giudice a Berlino”, potrà esultare il nostro se la procura archivierà le accuse della polizia ma il suo reato resterà quello di aver ridotto la grande musica visionaria dei Pink Floyd a un sottofondo dei suoi comizi e delle sue ossessioni. Ma per sua fortuna non esiste un Tribunale dell’arte anche se gli in ogni caso auguriamo di aver sempre la libertà di potersi esibire, anche, perché no, in un bel concerto a Tel Aviv.