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Salviamo le medicine psichedeliche dai manicomi

Piero Cipriano fa dialogare Franco Basaglia e il suo gemello un po' matto Timothy Leary per rispondere a una domanda: cosa accadrebbe se la psichedelia venisse (maldestramente) utilizzata da psichiatri non esperti?

Foto via Getty

Con Pierpaolo Capovilla abbiamo iniziato un tour lento, pigro, ma inesorabile. Di cui non si sanno le date, come fosse un fungo che spunta all’improvviso e non sai dove, fino al giorno o pochi giorni prima. Qualche anno fa già ci siamo cimentati con un discorso critico su psichiatria e dintorni. Lui un comunista io un anarchico. La strana coppia. Delle volte perfino in reading, io leggevo Le conferenze brasiliane di Franco Basaglia lui gli Scritti di Rodez di Antonin Artaud. Anche archetipicamente rassomigliamo allo psichiatra che si autodistrugge come soggetto di sapere-potere e all’artista che si autodistrugge dopo aver scritto lettere ai direttori dei manicomi, ai rettori delle università europee, eccetera.

Il tour stavolta nasce da due libri che ho pubblicato a stretto giro, Ayahuasca e cura del mondo (Politi Seganfreddo Editore) e Vita breve della psichiatria dal manicomio alla psichedelia – Storia di internamenti e antipsichiatria, pillole tristi e piante magiche (Luca Sossella Editore). Il primo libro è più entusiasta, com’è giusto che sia, entusiasta di psichedelia, medicine ancestrali e stati di coscienza espansi. Il secondo libro aggiusta il tiro, torno a essere psichiatria critico, radicale, e… anticipazionista.

Pierpaolo Capovilla e Piero Cipriano

Mi ingaggio in Vita breve in una spericolata e – per quanto ne so – inedita storia della psichiatria dove l’inizio è quello che tutti sanno: il manicomio. Il manicomio concentrazionario. Il manicomio dell’immaginario collettivo. Quello rappresentato in Qualcuno volo sul nido del cuculo di Miloš Forman o in Morire di classe di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin. Psichiatria e manicomio, d’altra parte, sono sorella e fratello. Inseparabili. Un secolo e mezzo, per tutto l’800 e metà 900 almeno, la psichiatria sa declinarsi solo nel manicomio. Non si fugge. Il manicomio, con i suoi tre elementi (reclusione, isolamento e dominio) è la terapia. Perfino la psicanalisi che fa capolino ai primi del 900 con la sua borghese gentilezza si arrende, si prende con sé i nevrotici e abbienti, e scarica gli psicotici e miserabili. C’è il manicomio, per gli esclusi dalla psicanalisi.

Da una parte interminabili confessioni pretesche – il gioco, scrive Michael Foucault, del confessore e del confessionale – dall’altra lobotomia malarioterapia docce gelate legamenti elettrochoc.

Negli anni ’50 e ’60 del Novecento si gioca una doppia partita, contemporaneamente, la giocano però attori diversi che sfortunatamente non si sono mai incontrati, altrimenti la storia sarebbe andata diversamente. Pensa solo se chi giocava, con ruolo di protagonista, la partita della lotta contro il manicomio – Franco Basaglia – avesse incontrato, conosciuto, fatto alleanza con chi giocava, con ruolo da protagonista, dall’altra parte del mondo, la partita della terapia più efficace e trasformativa che la psichiatria abbia mai avuto – Timothy Leary.

La partita del distruggere il manicomio – che il manicomio non è terapia ma anti-terapia – la gioca soprattutto in Italia Franco Basaglia, che nonostante l’arretratezza in quegli anni di una psichiatria italiana del tutto lobrosiana (Cesare Lombroso aveva fatto scuola suggerendo che follia e delinquenza avessero una radice comune), importa il modello della comunità terapeutica anglosassone nei manicomi che si trova a dirigere – prima Gorizia poi Trieste – e lo radicalizza. Qui – dice Basaglia – “il direttore del manicomio è diventato l’internato”. Solo un direttore di manicomio (anarchico) come Basaglia può osare dire che “la distruzione del manicomio è un fatto urgentemente necessario se non semplicemente ovvio”. Non l’ha mai detto (neanche pensato) nessuno fino a quel momento. Tanto fa, questo Chisciotte, che nel 1978 in Italia i manicomi sono eliminati per legge.
Nel 1979 Basaglia si trova in Brasile, un ciclo di conferenze, gli chiedono: Cos’è terapia? E lui: È lotta contro la miseria. Uno sguardo davvero lungo. Vuol dire: dare alle persone sofferenti case e non letti, lavoro vero e non ergoterapie. Relazioni e non psicoterapie o farmacoterapie ad libitum.

Purtroppo, Basaglia nel 1980 muore e non fa in tempo ad accorgersi che la psichiatria – statunitense soprattutto – sostituisce il manicomio concentrazionario con un manicomio chimico fatto di farmaci da assumere ogni giorno, per mesi anni o per tutta la vita.

Eppure, una possibilità, davvero terapeutica, la psichiatria l’aveva avuta. Negli anni 50 – contemporaneamente alla lotta per eliminare i manicomi – era iniziata un’altra partita, tra molecole che si affrontarono darwinianamente per essere lo psicofarmaco che – fino a quel momento – era mancato alla psichiatria.

Alexander Shulgin così le schematizzava: molecole up (antidepressivi), molecole down (neurolettici, benzodiazepine, stabilizzatori), molecole stella (Lsd, mescalina, psilocibina). Dopo vent’anni di furore le molecole stellari della super coscienza spaventarono prima gli psichiatri poi il potere, il governo degli Stati Uniti le mette fuori legge nel 1966 e nel 1971 i paesi dell’ONU stipulano una Convenzione sulle sostanze psicotrope, dove le molecole stella sono tutte riposte nella tabella 1, tra le sostanze più pericolose e di nessuna utilità medica. È questa, d’altra parte, la strana sorte di piante e molecole, che per decisioni politiche più che scientifiche oggi sono farmaci e domani droghe, o viceversa. Se no che dire di alcol tabacco caffè?

La colpa della loro estromissione cadde sul doppelgänger di Franco Basaglia, il suo gemello un po’ matto Timothy Leary.
Dunque, negli anni ’70 la psichiatria cambia, si libera delle sue parti estreme, l’alfa, il manicomio – per un secolo e mezzo considerato terapia poi abolito perché anti-terapeutico – e l’omega, le terapie psichedeliche, per due decenni considerate terapie prodigiose poi diventate droghe. E a partire dagli anni ’80 la psichiatria si riedifica in senso organicista grazie all’operazione di partnership tra l’American Psychiatric Association, Big Pharma e il National Institute of Mental Health. Che concorrono a dimostrare l’argomento di Nancy Andreasen in The broken brain del 1984: il cervello dei malati psichici è rotto, e lo si può aggiustare solo con gli psicofarmaci (ovviamente quelli che hanno vinto la partita degli anni 60 contro le molecole psichedeliche).

E però per convincere gli umani ad assumere – il più delle volte per anni o per sempre – psicofarmaci, bisogna persuaderli di avere una malattia psichiatrica ovvero una malattia vera e propria. Ecco la diffusione dei manuali diagnostici DSM che da un’edizione all’altra moltiplicano le diagnosi e a maglie sempre più strette, fino a patologizzare anche molti vissuti che un tempo erano ritenuti fisiologici. Dalle 106 diagnosi del DSM-I del 1952 alle 370 diagnosi del DSM-5 del 2013. Disease mongering, lo si definisce. Invenzione di malattie per vendere farmaci.
Passano dunque quarant’anni di farmaci intelligenti, nonostante i quali le patologie psichiche aumentano: 400 milioni di depressi nel mondo e tutti sotto terapia antidepressiva vorrà pur dire qualcosa.

Ritornano in sordina gli studi e le ricerche psichedeliche. Dal nuovo secolo esplode il cosiddetto rinascimento psichedelico. Ancora una volta dagli Stati Uniti. La psichedelia – dice Ben Sessa pochi giorni fa dallo Psychedelic Science 2023 di Denver – è il gran distruttore, è Shiva che non solo distrugge l’ego, ma distrugge la psichiatria.

Lo pensavo pure io. Fino a un anno fa ero molto più ottimista. Ottimista e ingenuo. Poi ho cominciato a vedere un po’ i lati deboli, o preoccupanti, o perfino allarmanti, di questo enfatizzato rinascimento psichedelico. Provo a elencare alcuni punti, solo alcuni e in estrema sintesi.

Uno. È chiaro che la psichiatria che oggi si declina in un manicomio chimico da assumere tutti i giorni per tutta la vita non vorrà certo morire come quarant’anni fa non voleva morire il manicomio murario, concentrazionario.

Due. Metterà in campo molte contromosse per salvarsi. La prima è quella di depotenziare le molecole psichedeliche. Attenuarne la dirompenza. Come? Preferendo il microdosing o il mediodosing (dosaggio psicolitico) piuttosto che il macrodosing (la posologia psichedelica). Il misticismo o l’estasi rappresentano un problema per la scienza. Eventualmente saranno sintetizzate una psilocibina o una ayahuasca – o meglio, farmahuasca, ché l’ayahuasca vera non è alla portata della medicina occidentale – non visionarie o poco visionarie.

Tre. Un altro limite dell’ideologia rinascimentalpsichedelica è di essere figlia – acritica – delle vecchie dicotomie sia kraepeliniana (per Emil Kraepelin i depressi guariscono, mentre gli psicotici no) sia freudiana (per Sigmund Freud i nevrotici sono analizzabili, mentre gli psicotici no), per cui una scienza moderna ma senza una visione storica di cos’è la psichiatria e quali ideologie si porta dentro (a volte senza saperlo) è destinata a ripetere gli errori del passato. Dunque, gli scienziati o i terapeuti rinascimentalpsichedelici sembrano aver scelto tra i sommersi (gli psicotici che non sono idonei per le molecole psichedeliche) e i salvati (depressi, ossessivi, traumatizzati eccetera, insomma tutti coloro che sono recuperabili alla società performativa e devono tornare al lavoro). I sommersi saranno curati con i neurolettici depot, i salvati con le terapie psichedeliche. Vecchie divisioni sempre attuali.

Quattro. L’uso pro-neuroenhancement. Microdosing per tutti i genietti delle migliaia di Silicon Valley disseminate per il pianeta. Non espansione coscienziale ma cocaina psichedelica per performare i futuri Elon Musk.

Cinque. Quando allo Psychedelic Science 2023 di Denver assistiamo alla dichiarazione d’amore tra Rick Perry ex governatore repubblicano del Texas verso Rick Doblin il fondatore di MAPS entusiasta della Mdma, c’è qualcosa che non torna. Ma i destrorsi non erano – perfino ottusamente – per principio contro le droghe? Che cos’è successo? Di questo passo pure la nostra premier si convertirà sulla via dell’ecstasy. È successo che la Mdma di cui Doblin è promotore sta dimostrando di essere efficace nel curare il Disturbo Post Traumatico da Stress. E chi è affetto da PTSD? I veterani delle centinaia di guerre che gli USA ingaggiano nel mondo. Non è urgente, dunque, scongiurare le guerre, mandare a morire persone, se poi i sopravvissuti li si potrà curare dal trauma con terapie psichedeliche o simili.

Sei (e poi mi fermo qui, ma si potrebbe continuare ancora). Insomma l’onda psichedelica sta arrivando e gli psichiatri – soprattutto italiani – non sono per niente pronti. Duecentomila psichiatri nel mondo. Dodicimila in Italia. Alimentati negli ultimi decenni con un brainwashing il cui unico scopo era renderli psichedelofobici. Ancora oggi il 90% di loro pensa che queste molecole brucino il cervello. Il 90% di loro si è analizzato l’inconscio con psicanalisi o una delle centinaia di psicoterapie, accrescendo di un 5% la conoscenza del proprio inconscio, ma non ha mai fatto un’esperienza di espansione della coscienza. Questo è un problema. Perché Big Pharma sta portando le molecole psichedeliche nel prontuario degli psichiatri. Abbiamo appena iniziato – in Italia siamo molto indietro – con l’esketamina, tra poco arriverà Mdma, poi psilocibina. Stavolta l’Italia non è avanguardia ma fanalino di coda. Ebbene, come pensate che migliaia di psichiatri possano accompagnare persone a fare esperienze che loro, in prima persona, non hanno mai fatto? Al primo bad trip ce li vedo a somministrare Tavor Depakin e Talofen piuttosto che usare tecniche di bajada – direbbero gli spagnoli. E sì, la rivoluzione psichedelica, se mai avverrà, impone che anche gli psichiatri curino e si curino in un altro modo. Non è possibile accompagnare persone – pazienti – in spazi dove tu terapeuta non sei già stato.

Parlo di psichiatri e non di psicoterapeuti non medici, perché – si sappia – anche se gli psicoterapeuti non medici in molti casi sono più preparati dei medici psichiatri nell’accompagnare sessioni psichedeliche, non saranno loro a gestire questi farmaci.

Il caso Emanuel Carrère in Francia è paradigmatico e sintomatico. Il manicomio francese – lì sono nati i manicomi e lì lottano più tenacemente per non morire – ha accolto e curato Carrère il depresso suicidario mettendo in campo tutto l’armamentario terapeutico a disposizione: dagli attuali antidepressivi Prozac simili, alla Ketamina come psichedelico, infine recuperando l’elettrochoc.

Ecco il rischio della psichedelia, se verrà maldestramente usata da psichiatri non esperti: diventare una terapia equivalente a farmaci tradizionali e elettrochoc. Quando parlo di scongiurare la possibilità infausta di un manicomio psichedelico questo intendo. Salvare la psichedelia dalla psichiatria e dal manicomio. Il mio controintuitivo punto di vista è che, se questo sarà il suo uso maldestro, meglio allora che le medicine psichedeliche rimangano fuori legge, ancestrali, e clandestine.

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