Sono nato il 21 febbraio del 1992, appena quattro giorni prima dell’arresto di Mario Chiesa nel suo ufficio di via Marostica 8, zona ovest di Milano.
Tangentopoli, in un certo senso, è iscritta nel mio codice genetico: i primi anni di vita di chi scrive sono coincisi con il mito del Pool di Mani Pulite, con la trasformazione di Di Pietro in una sorta di supereroe in abiti civili, con il lancio di monetine davanti all’Hotel Raphael, con i titoli d’apertura dei telegiornali pronti a dare notizia del suicidio dell’ennesimo imprenditore e con le urla di folle inferocite e affamate di una non meglio precisata “giustizia”, determinate a fare a brandelli ogni rimasuglio di garantismo.
Di conseguenza, ho sempre vissuto in un Paese rancoroso, turbo–indignato e accecato dal livore: non so neppure immaginarmela, un’Italia non massivamente arrabbiata.
Nelle ultime settimane, complice la crociata mediatica che ha travolto lo steamer Mirko Alessandrini, meglio conosciuto come CiccioGamer89, e il deputato in quota Verdi–Sinistra Aboubakar Soumahoro, quell’insopportabile sottofondo giustizialista è tornato a farsi sentire più forte che mai.
Per chi fosse poco avvezzo alla questione, ecco un breve riepilogo: Alessandrini – il cui canale YouTube conta più di 3,59 milioni di iscritti – è stato denunciato dalla Guardia di Finanza, che ha rivelato l’omesso versamento di imposte dirette per oltre 400mila euro e dell’IVA per circa 160mila euro. Non c’è ancora stato un processo – lo stesso Alessandrini ha dichiarato di essere “caduto dal pero” e di aver appreso la notizia dai giornali – eppure lo youtuber è già stato etichettato come “evasore” dal caro e vecchio tribunale social. In uno stato di diritto in cui vige la presunzione di innocenza, un concetto talmente abusato ma in fondo nobile e semplicissimo, casi come quello di Alessandrini dovrebbero essere trattati con le pinze.
Il principio è semplicissimo: ognuno è innocente fino a prova contraria. Per intenderci, è lo stesso che impedisce al vostro vicino di casa di affiggere un manifesto fuori dalla porta in cui è scritto che siete dei pedofili o a un giornalista come me di scrivere che vostro padre è un assassino. Grazie a quel principio, nessuno può essere definito un criminale senza la base di una fonte certa che lo confermi: una condanna definitiva, oppure una sua ammissione di colpevolezza. Di conseguenza, ed è assurdo anche soltanto doverlo ripetere, CiccioGamer non può essere considerato un evasore senza una sentenza, soltanto perché qualche titoletto di giornale ha deciso così.
Ma passiamo a Soumahoro: il parlamentare è finito nel tritacarne mediatico a causa di un’indagine – puramente esplorativa e per la quale, allo stato attuale, non si ipotizzano reati – avviata dalla procura Latina sulle cooperative Karibu e Consorzio Aid, nella cui gestione sono coinvolte la compagna, Liliane Murekatete, e la suocera, Therese Mukamitsindo.
L’indagine riguarda mancati pagamenti e presunti versamenti irregolari nei confronti di alcuni lavoratori impiegati nelle due cooperative che operano nell’agro pontino, oltre che presunti maltrattamenti subiti da ragazzi ospitati nelle strutture per migranti gestite dalla suocera.
Pur non avendo alcun ruolo nelle due cooperative e non essendo coinvolto a nessun titolo nell’inchiesta, Soumahoro è diventato oggetto di una vera e propria intifada mediatica scollegata da qualsiasi senso di realtà.
Alcuni quotidiani (soprattutto di destra, ma non solo) hanno colto l’occasione per scagliarsi contro il deputato e celebrare il loro personalissimo processo, spacciando denunce ancora da verificare – che, è il caso di ripeterlo, non riguardano neppure direttamente Soumahoro – in delle vere e proprie sentenze di condanna, sbandierando titoli del calibro di Gli schiavisti in casa sua e parlando senza troppi problemi di “sfruttamento di minori” e “immigrati maltrattati”.
Il culmine di questa spirale di follia, però, è stato raggiunto giovedì sera quando, ospite di Corrado Formigli su La7, Soumahoro ha dovuto addirittura rispondere ad alcune insinuazioni relative all’abbigliamento di sua moglie, che una certa schiera di osservatori nostrani, evidentemente colpiti nell’animo dalla circostanza che una donna non caucasica possa acquistare una borsetta di Vuitton, considera decisamente troppo costoso.
Il deputato e lo streamer sono diventati protagonisti dell’ennesima crociata mediatica anti–garantista: colpevoli senza processo, come spesso accade nel Paese del livore e delle gogne. Bentornato, 1992.