L’esplosione che ha ucciso il blogger filo–putiniano Vladlen Tatarsky – pseudonimo di Maksim Fomin – è destinata a far discutere a lungo: in tanti hanno letto nell’attentato di San Pietroburgo di domenica un parallelismo con la detonazione che, lo scorso 20 agosto, ha portato alla morte di Darya Dugina, figlia del filosofo ultra–nazionalista Aleksandr Dugin – in quel caso, l’intelligence statunitense ha parlato di un coinvolgimento dell’Ucraina, coinvolgimento che il governo Zelensky ha sempre negato.
I video diffusi sui social e su Telegram evidenziano un dettaglio: poco prima dell’esplosione, Tatarsky – che stava tenendo un discorso pubblico presso lo Street Food Bar # 1, un locale nel centro di San Pietroburgo che in quel momento stava ospitando un evento in suo onore organizzato dai membri del canale Telegram filorusso “Cyber Front Z” – ha ricevuto una piccola statua ricreata a sua immagine e somiglianza. Un’agenzia di stampa locale indipendente, Fontanka, ha citato un testimone secondo cui il blogger avrebbe ricevuto la statuetta come dono da una donna che si era presentata come una scultrice di nome Nastya, diminutivo di Anastasia.
Tracciare un profilo attendibile di Tatarsky è un compito difficile: la stampa internazionale ne parla, soprattutto, come di un megafono consapevole della propaganda del Cremlino, un facilitatore simbolicamente importante anche da un punto di vista biografico: nato nel 1982 a Makiivka, nell’Oblast di Donetsk, nel 2011 fu arrestato in Ucraina per una rapina in banca. Quando, tre anni dopo, scoppiò la guerra nel Donbas, Fomin colse l’occasione per evadere dalla prigione e unirsi alle forze militari della Repubblica popolare di Donetsk, sostenuta da Putin. Successivamente, fu catturato e infine imprigionato di nuovo, ma riuscì a ottenere la grazia di Alexander Zakharchenko, il capo della Repubblica popolare di Donetsk, che gli diede l’opportunità di combattere contro l’esercito ucraino insieme al battaglione Vostok durante la guerra del Donbas. Dopo aver prestato servizio militare, ha iniziato a scrivere sul blog con lo pseudonimo di Vladlen Tatarsky.
Nel 2019 si è trasferito a Mosca, entrando in contatto e posta foto con la summenzionata Darya Dugina. Lo scorso settembre Putin lo ha invitato alla cerimonia di annessione delle quattro regioni ucraine occupate. In quell’occasione ha registrato un video, poi diffuso sui social, in cui ha affermato: «Sconfiggeremo chiunque, uccideremo tutti, ruberemo tutti coloro a cui dobbiamo rubare. Tutto sarà come vogliamo noi. Andiamo, Dio ci assiste». Fomin gravita nell’orbita di Evgeny Prigozhin e della Brigata mercenaria Wagner. Come il fondatore, si lamenta spesso del ministro della Difesa, delle operazioni militari condotte dallo Stato maggiore e dell’efficienza dell’arsenale russo. Inneggia al genocidio ucraino e invoca lo sterminio degli inermi. «Bisogna colpire le infrastrutture civili, in particolare le centrali elettriche. Gli ospedali smetteranno di funzionare e tanti ucraini creperanno sui tavoli operatori», scriveva. Il governo di Kyjiv lo ha sanzionato, gli ha confiscato la casa e gli ha vietato per dieci anni di rientrare nel Paese.
Si ha qualche informazione anche in relazione all’origine dello pseudonimo: il nome un’allusione sia a Lenin che al romanzo d’esordio del satirico russo Viktor Pelevin , Generation P, il cui protagonista si chiama Vavilen Tatarsky (Babylen Tatarsky nella traduzione inglese).
Tatarsky poteva contare su una platea di riferimento vastissima: il suo canale Telegram era seguito da più di 560mila persone ed era noto, in primis, per le sue opinioni intransigenti, che spesso giungevano a criticare i comandanti militari russi e Vladimir Putin per il loro approccio troppo morbido in relazione all’offensiva in Ucraina. Tanto per rendere conto del suo livello di radicalismo, ha sostenuto a gran voce la necessità di intensificare gli attacchi alle infrastrutture ucraine e ha definito l’Ucraina uno “stato terrorista”.
A causa delle sue opinioni e del coinvolgimento nel conflitto, Tatarsky è stato sanzionato dall’Ucraina: gli è stato vietato l’ingresso nel Paese per dieci anni e tutti i suoi beni sono stati confiscati. Nonostante queste sanzioni, Tatarsky ha continuato a promuovere le sue opinioni e convinzioni attraverso il suo blog e il canale Telegram.
Sul mandante dell’assassinio di Tatarsky non si hanno certezze: il suo omicidio potrebbe rivelare ulteriori fratture all’interno del Cremlino e della sua cerchia ristretta. Lo scrive nel suo ultimo report il think tank statunitense Isw (Institute for the study of the war). Gli analisti dell’Isw definiscono «strana» la dichiarazione di Prigozhin (capo del gruppo Wagner), il quale ha detto che non avrebbe «incolpato il regime di Kiev» per la morte di Fomin e di Darya Dugina (assassinata in agosto) indicando come responsabile un gruppo di radicali russi.
Secondo l’Isw l’attacco al bar di San Pietroburgo «potrebbe anche essere un tentativo d’intimidire altri blogger militari affiliati a Wagner». Non solo: «È possibile che i funzionari russi intendano usare l’assassinio di Fomin per spingere l’autocensura della società civile russa che mette in discussione i progressi della guerra nei bar».