Berlusconi evoca le dimissioni di Mattarella e rivela, una volta per tutte, che tipo di Italia ha in mente la destra | Rolling Stone Italia
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Berlusconi evoca le dimissioni di Mattarella e rivela, una volta per tutte, che tipo di Italia ha in mente la destra

In un'intervista concessa a 'Radio Capital', il cavaliere ha provato a far passare come desiderabile una possibile deriva autoritaria del Paese, parlando di presidenzialismo e dimissioni del Capo dello Stato

Berlusconi evoca le dimissioni di Mattarella e rivela, una volta per tutte, che tipo di Italia ha in mente la destra

Foto: PIERO CRUCIATTI/AFP via Getty Images

In un clima surreale dal retrogusto di revival anni Novanta, Berlusconi è tornato a far parlare di sé a causa di alcune dichiarazioni rilasciate in un’intervista a Radio Capital.

Il cavaliere ha infatti spiegato di vedere favorevolmente un’eventuale riforma costituzionale che possa ridisegnare la forma di governo del Paese e condurlo al presidenzialismo e, quindi, all’elezione diretta del Presidente della Repubblica.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, infatti, quando ci rechiamo alle urne non eleggiamo il primo ministro, ma soltanto i membri delle due Camere che compongono il Parlamento: l’individuazione del premier avviene in un secondo momento, quello delle consultazioni, quando il Presidente della Repubblica conferisce un mandato a una personalità politica ritenuta abbastanza conciliante da dare forma a una maggioranza che possa sostenere il governo – questo è il fraintendimento su cui buona parte della nostra politica gioca per fare propaganda spicciola e capitalizzare sulla nostra ignoranza: mettetevelo in testa una volta per tutte, quando si utilizzano argomenti come “presidente non eletto da nessuno” vi stanno prendendo in giro nella maniera più ignobile possibile, per il semplice fatto che, in Italia, da dettato costituzionale, il premier non viene effettivamente eletto da nessuno; e non si tratta di un non meglio precisato abuso di potere, ma della regola.

Tornando a Berlusconi, nella summenzionata intervista ha spiegato di appoggiare una riforma in senso presidenziale almeno dal 1995, dato che si tratterebbe di un «sistema perfettamente democratico che la democrazia la esalta consentendo al popolo di scegliere direttamente da chi essere governato» e che «se la riforma entrasse in vigore sarebbero necessarie le dimissioni» di Mattarella, «per andare all’elezione diretta del capo dello Stato».

Ora: anche soltanto pensare di mettere in discussione una figura come quella di Mattarella è un assurdo che non meriterebbe alcun commento. E, tuttavia, la chiave di lettura data da alcuni avversari politici è fuorviante. Ad esempio, il Partito Democratico ha scritto che «Se oggi esiste un punto di unità nel Paese è il Presidente Mattarella. Le destre, dopo aver fatto cadere Draghi, vogliono far cadere lui. Scegliendo di iniziare la campagna elettorale con le dimissioni del Capo dello Stato, la destra dimostra quanto sia pericolosa per l’Italia».

In realtà, Berlusconi ha fatto anche peggio: non ha attaccato direttamente Mattarella, ma l’istituzione che incarna, la presidenza della Repubblica, nell’ottica di trasformarla in qualcosa di diverso e snaturarne le funzioni che i padri costituenti le hanno attribuito. Quella del Capo dello Stato, infatti, è una figura di importanza cruciale per un paese politicamente frammentato come l’Italia, capace di esercitare una serie di contrappesi in grado di scongiurare derive potenzialmente pericolose e accentramenti di potere. È, insomma, una figura pensata per essere intrinsecamente super partes, rappresentare l’unità nazionale ed esercitare il ruolo di garante della Costituzione al di là di ogni partigianeria.

Non è un caso se, in un sistema come quello italiano, il presidenzialismo è spesso associato al pericolo di derive autoritarie. Ad esempio, intervistato da Repubblica, Gustavo Zagrebelsky, maestro di diritto costituzionale ed ex presidente della Consulta, ha commentato il testo della proposta di legge costituzionale presentato da Fratelli d’Italia (e appoggiato, appunto, da Berlusconi) spiegando che «Io non sono contrario al modello presidenzialista in sé, ma alle conseguenze che potrebbe avere in Italia. Ogni forma di governo è come un abito che deve essere indossato: bisogna tenere conto delle caratteristiche specifiche del corpo di una nazione, anche dei suoi difetti» e che «Il presidenzialismo proposto da Giorgia Meloni potrebbe tradursi in un regime autoritario sul genere di quello di Orbán, dove il presidente della Repubblica perde il ruolo di garante della Costituzione perché non è più una figura super partes. E sotto il suo potere – o sotto il potere del Partito del Presidente – il Parlamento rischierebbe di rimanere schiacciato, in una condizione di ricatto permanente».

Secondo il costituzionalista, «Gli italiani devono scegliere: se vogliono una democrazia con il vincitore – un regime autoritario alla Orbán – o una democrazia senza vincitori e vinti ma dove ogni parte politica, nella misura del consenso che ha ottenuto, lo spende in una dinamica quotidiana nel rispetto della partecipazione di tutti». Ed è questo il vero interrogativo: continuare a includere tutti, nel bene o nel male, o assumersi il rischio di consegnare l’agenda nelle mani di una sola persona, con tutti i problemi che una scelta del genere potrebbe comportare.