Anche se in Italia se ne sta parlando – incomprensibilmente – pochissimo, da domenica non si hanno più notizie di Bruno Pereira, attivista ed ex membro del FUNAI (Dipartimento brasiliano agli Affari Indigeni) e del giornalista del Guardian Dom Phillips, che da molti anni racconta il Brasile, l’Amazzonia e l’offensiva della lobby locale dell’agri-business, conosciuta come “bancada ruralista”, nei confronti dei diritti delle popolazioni indigene – un’offensiva che, dal 2018, con l’approdo del presidente ultraconservatore Jair Bolsonaro a Palácio da Alvorada, è diventata sempre più pervasiva.
Pereira e Phillips sono stati avvistati l’ultima volta nella regione di Javari, parte dello stato di Amazonas, una vasta area di fiumi e foreste pluviali vicina al confine con il Perù: secondo quanto dichiarato dai leader indigeni locali, i due viaggiavano a bordo di una barca sul fiume Itaquaí ed erano impegnati in una missione di segnalazione di battute di pesca ed estrazioni illegali nella rete dei fiumi intorno alla città di Atalaia do Norte, il punto di ingresso nella riserva di Javari – inoltre, il Guardian ha fatto sapere che il giornalista stava raccogliendo del materiale per realizzare un libro-reportage sull’Amazzonia.
Al momento, le indagini sono in una fase di stallo: ieri alcuni funzionari della polizia di stato hanno fatto sapere di avere interrogato un profilo sospetto che, domenica, stava seguendo Phillips e Pereira a bordo di un motoscafo verde con un rattoppo della Nike sul fianco; ma la sensazione più diffusa è che le autorità governative stiano volutamente sottostimando la questione – dello stesso avviso anche Leonardo Lenin Santos, membro dell’Osservatorio dei diritti umani per i popoli indigeni isolati, secondo il quale il governo avrebbe “mentito” parlando di una “grande operazione” nella regione: in realtà, allo stato attuale, le ricerche vengono portate avanti soprattutto da gruppi indipendenti di indigeni.
La loro scomparsa sta facendo discutere soprattutto perché, nel corso degli anni, i due hanno ricevuto minacce e pressioni, ricollegate in primis alla loro attività lavorativa. Entrambi sono personalità invise all’establishment di potere di Bolsonaro: da quando è stato eletto, il leader del Partido Social Liberal – sostenuto in Congresso dai rappresentanti dei grossi potentati dell’agricoltura – ha adottato ogni mezzo possibile per accelerare sul fronte della liberalizzazione delle terre indigene e delle aree protette dell’Amazzonia, duramente colpite dalla deforestazione e dalle miniere illegali, agevolando lo sfruttamento delle risorse e aprendo il polmone della Terra alle meraviglie del libero mercato.
Pereira è considerato uno dei massimi esperti di popolazioni incontattate del Paese: nel 2018 è stato nominato Coordinatore Generale del FUNAI; in questa veste ha organizzato la più grande spedizione di monitoraggio degli ultimi 20 anni, contribuendo allo smantellamento di una delle più grandi miniere illegali nella regione amazzonica. L’anno dopo, con l’avvento di Bolsonaro, il potenziale d’azione del FUNAI è stato ridotto all’osso per agevolare il percorso delle privatizzazioni: nel gennaio del 2019, il dipartimento è stato trasferito dal ministero della Giustizia a un dicastero fantoccio e privo di un reale potenziale d’azione – quello che la nuova giunta ha denominato genericamente come ministero dei Diritti umani, della famiglia e delle donne. Successivamente, uno dei compiti più importanti svolti dal FUNAI – l’identificazione degli habitat tradizionali degli indigeni e la loro designazione come territori inviolabili protetti, funzione attribuita al dipartimento direttamente dalla Costituzione brasiliana – è stata trasferita al Ministero dell’Agricoltura. Il terzo tassello delle strategia di indebolimento del FUNAI è stata proprio l’estromissione di Pereira, sostituito da Marcelo Xavier da Silva, un ex agente di polizia federale fortemente legato ai grossi latifondisti locali – un profilo che, a detta dell’ex presidente dell’ente Gen Franklimberg de Freitas, «spuma odio» per gli indigeni, percependoli «un ostacolo allo sviluppo nazionale».
Phillips vive in Brasile dal 2007, ed è il giornalista occidentale più addentro alle vicende delle popolazioni indigene: le sue inchieste, pubblicate su testate come Guardian, New York Times e Washington Post, hanno contribuito a scoperchiare un vaso di Pandora, rivelando l’agenda eco-cida e anti-indigena portata avanti da Bolsonaro. Ad esempio, ha raccontato nel dettaglio la trasformazione che il FUNAI ha subito con la consolidazione della “dottrina Da Silva” e il rimpastone ordinato da Bolsonaro, che ha autorizzato la registrazione e la vendita di terreni su territori indigeni non ratificati o non registrati, aprendo la strada a una compravendita che avrebbe potuto interessare 237 riserve dislocate in 24 stati – per fortuna, a evitare questo esito disastroso ha pensato il procuratore generale dello Stato del Mato Grosso, che due mesi dopo ha presentato un’istanza di annullamento.
Nelle ultime ore sono stati pubblicati diversi appelli per intensificare le attività di ricerca, su tutti quello di Pelé.
Fiona Watson, Direttrice del Dipartimento Ricerca e Advocacy di Survival International, ha visitato più volte la Valle Javari negli ultimi trent’anni e conosce bene sia Bruno Pereira sia Dom Phillips. «Survival è profondamente preoccupata per la sicurezza di Bruno e Dom, entrambi sono colleghi stimati con cui lavoriamo da anni” ha dichiarato Watson. «Le violenze e le minacce ai popoli indigeni della Valle Javari sono in aumento, in particolare da quando il FUNAI e altre autorità sono ormai quasi del tutto assenti dal territorio che dovrebbero proteggere. Il clima di illegalità che vige nella regione durante questo periodo pre-elettorale è molto preoccupante ed evidenzia quanto sia cruciale che il FUNAI metta in atto un programma di protezione efficace e sul lungo periodo. Survival ha sollecitato le autorità ad avviare ricerche a tappeto».