Il 31 maggio del 2022 è morto a Milano Carlo Smuraglia, aveva 99 anni. Partigiano, parlamentare comunista, accademico e avvocato. La sua è stata una storia lunghissima che è cominciata nelle Marche dopo l’8 settembre del 1943, quando, giovane studente universitario al collegio Mussolini di Pisa (poi diventerà il Sant’Anna) rifiutò tutte le chiamate di leva dei fascisti della Repubblica Sociale Italiana e, sceso nella natia Ancona, raggruppò un pugno di comunisti e li portò nel Gruppo Cremona dell’esercito, unità sotto il controllo dell’Armata britannica. Con loro combatté sul fronte adriatico fino a Venezia, assistendo anche alla resa delle truppe nazifasciste in Italia.
Giovanissimo avvocato, docente a Milano e a Pavia, è stato assessore alla Giustizia della provincia di Pisa prima di diventare consigliere regionale comunista in Lombardia e, in seguito, parlamentare per un decennio con il Pds e i Ds.
Oltre all’attività politica, la sua vita è stata un insieme di battaglie in tribunale, sempre da un lato molto preciso della barricata. Era comunista, Smuraglia: ha sempre vissuto come tale e, al contrario di molti, non ha mai rinnegato il suo passato, fino a diventare uno dei simboli di quello che è stato il movimento operaio in Italia, una grande forza democratica in grado di strappare conquiste civili e sociali non meno che strabilianti.
La rassegna delle battaglie del partigiano Smuraglia comincia negli anni ’50, quando insieme a Lelio Basso si occupò della difesa di alcuni resistenti accusati di omicidio durante la guerra di Liberazione. Una questione di giustizia: condannare chi ha liberato questo paese dal nazifascismo sarebbe stato soprattutto un affronto alla neonata democrazia.
D’altra parte, Smuraglia ha sempre visto la Resistenza in un certo modo, non come un fatto personale ma come una grande epopea politica. «Non sono portato per il racconto autobiografico – ebbe a dire una volta Smuraglia –, per me parlare della Resistenza non è parlare della mia Resistenza. A me della Resistenza interessano soprattutto il contenuto, il significato, il processo formativo che è valso per me come per tanti altri».
Negli anni ’60, l’avvocato Smuraglia fa la parte civile al processo per la strage di Reggio Emilia del 7 luglio 1960, quando la polizia del governo Tambroni aprì il fuoco contro una manifestazione sindacale e morirono cinque civili inermi, tutti operai iscritti al Partito Comunista.
Nel 1966 un altro caso famosissimo, quello degli studenti del liceo Parini di Milano che diedero alle stampe sulla loro rivista, La Zanzara, il celeberrimo articolo intitolato Un dibattito sulla posizione della donna nella nostra società, cercando di esaminare i problemi del matrimonio, del lavoro femminile e del sesso (gli autori erano Marco De Poli, Claudia Beltramo Ceppi e Marco Sassano).
Le opinioni, allora ritenute «moderne», sull’educazione sessuale di chi è stato giovane prima del Sessantotto portarono ad accuse di oscenità, al fermo in questura degli studenti «per verificare la presenza di tare fisiche e psicologiche» e a un processo popolarissimo con oltre 400 giornalisti da tutto il mondo a seguirlo. Tra gli altri casi notevoli di Smuraglia, da ricordare le parti civili nei processi per la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli a Milano nel dicembre del 1969, per la fuga di diossina di Seveso del 1976 e per il sequestro e l’omicidio di Cristina Mazzotti da parte della ‘ndrangheta.
La lunga carriera politica di Smuraglia, sempre in prima linea soprattutto sui temi della giustizia, è culminata nel 2011 con la sua elezione a presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, esperienza finita solo nel 2017.
È questo il periodo in cui l’Anpi, sin lì dai più ritenuta un’associazione poco più che reducistica con qualche connotato culturale e comunque tendenzialmente slegata dal dibattito contemporaneo, torna a irrompere sulla scena politica con una serie di prese di posizione molto forti e in grado di riavvicinare tanti giovani all’associazione dei partigiani.
Nel 2016 il suo dualismo con il giovane segretario del Pd Matteo Renzi per il famigerato referendum costituzionale sfociò in un epico dibattito davanti a quattromila persone alla Festa dell’Unità di Bologna. Sembrava non dovesse esserci partita, l’anziano partigiano contro il brillante rottammatore, il nuovo che avanza contro il vecchio che è avanzato. E invece fu una lezione di stile e di politica del partigiano Smuraglia all’incauto capo del governo. Pioveva a dirotto quel giorno di settembre, il presidente dell’Anpi strappò applausi a ripetizione, mentre Renzi, al netto dell’ovvia claque, prese soltanto gli apprezzamenti «sportivi» quando, più volte, si ritrovò costretto a richiamare i suoi per la volgarità dei fischi e dei mormorii in cui si producevano mentre venivano messi davanti alla realtà delle cose: «Questa riforma stravolge il senso della Costituzione». L’epilogo politico, la sconfitta renziana nelle urne, dimostrò poi in maniera piuttosto plateale dove fosse la ragione e dove il torto.
L’ultima intervista di Smuraglia, rilasciata a Repubblica all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, è stata una lezione di politica che però, purtroppo, in un tempo di assenza della politica, è stata usata anche per attaccare l’Anpi e le sue posizioni pacifiste (peraltro sempre sostenute anche dallo stesso Smuraglia).
«Un popolo che si oppone a chi vuole dominarlo con poteri autoritari va aiutato a resistere anche con le armi», disse il partigiano. E poi ancora: «Questo aiuto deve avere un limite preciso: non deve comportare l’entrata in guerra dell’Italia. È un confine invalicabile». Sul confronto tra la difesa ucraina e la Resistenza italiana, infine, Smuraglia vedeva sì delle similitudini, ma anche delle differenze: «Siamo in un tempo e in un contesto completamente diversi, e questi paragoni storici sono sempre azzardati».
Nella notte lo hanno sempre guidato le stelle, lui che era sempre in grado di vederle.