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Chi era Lyndon Larouche, che ha insegnato il sospetto ai populisti moderni

Aveva dato del nazista a Obama ed era a capo di un'organizzazione contro "mondialisti", "governo liberale", neri ed ebrei, anticipando l'attuale cultura del sospetto, comprese le "manine" e i complotti contro l'Italia

Lyndon Larouche, scomparso il 12 febbraio all’età di 96 anni, era un giovane attivista di estrema sinistra diventato un guru politico con strategie da capo setta nella sua organizzazione, il Movimento di Larouche. E che inventa l’applicazione di uno dei pilastri del populismo moderno, la teoria del complotto, applicata a una lettura della realtà totalizzante. Per citare un suo compagno di cella durante gli anni: “Dire che Lyndon era leggermente paranoico era come sostenere che il Titanic avesse una piccola falla nello scafo”. Eppure la sua storia è una vicenda di successo americano, come quella di Andrew Carnegie o di John D. Rockefeller. Quella di una persona che diventa ammirata da pochi e detestata da moltissimi, ma con un potere forte sui propri seguaci.

Niente male per uno che ha lasciato l’università nel 1942 perché gli insegnanti “non gli trasmettevano sapere con la dovuta umiltà”. E certo non temeva l’impopolarità: dal 1948 al 1963 fu membro del Socialist Worker Party, un piccolo partitino di estrema sinistra, negli anni in cui l’anticomunismo in America era moneta di scambio comune tra democratici e repubblicani. Forse fu anche questo a sviluppare in lui i tratti paranoidi. Tratti che però nascondeva sotto un discorso politico tutto sommato ragionevole: difendere l’economia reale contro la speculazione finanziaria e proteggere i diritti civili, diffondendo nel contempo una cultura della solidarietà. Questa concezione irenica che lo portò a iscriversi al partito democratico americano nel 1979 nascondeva una visione del mondo profondamente paranoica: chi voleva impedire questo sviluppo positivo per la pace mondiale erano gli ambientalisti, che volevano limitare la crescita della popolazione utilizzando teorie neomalthusiane, in combutta con l’imperialismo britannico e i sauditi. Oltreché, naturalmente, i sionisti e gli ebrei. Per questo Larouche, nel movimento da lui fondato, addestrava i militanti alle arti marziali e alla guerriglia per preparare attacchi contro l’estrema sinistra per far sì che i lavoratori americani avessero una leadership “competente, quando sarà il momento”.

Ma questa sua visione cospirazionista lo portò gradualmente a evolversi verso l’estrema destra, tanto da trovare alleati in gruppi suprematisti bianchi, nella Nation of Islam e in oppositori violenti al diritto di aborto. Questo non mancò di far sì che i suoi candidati che gareggiavano nelle primarie democratiche potessero ottenere successi strepitosi: nel 1986 ottennero la candidatura di vicegovernatore e di segretario di stato dell’Illinois. Ma questo fece a tal punto infuriare il candidato principale, Adlai Stevenson, che preferì dimettersi dal partito e farsi sconfiggere dai repubblicani piuttosto che correre insieme a candidati da lui definiti “neonazisti”.

E i suoi candidati ottennero successi fino ad anni recenti. Kesha Rogers, un’attivista texana, è riuscita nel 2010 e nel 2012 a ottenere la nomination democratica nel 22esimo distretto del Congresso, venendo sconfitta in entrambi i casi e andò vicinissima all’ottenimento della nomination per il Senato nel 2014. Battaglie perdenti, certo, in un collegio pesantemente repubblicano. Ma significative della presa di un certo movimento e della sua capacità di combattere efficacemente battaglie impegnative con meno di 3mila militanti negli Stati Uniti. Peraltro, in un periodo in cui Larouche chiedeva l’impeachment per Obama il “nazista”, autore di un piano di sterminio degli americani anziani grazie alla sua sanità socialista. Tanto da brevettare lo slogan “Obama is a nazi”.

La sua morte certo non lascia molti a piangerlo, nel mainstream politico. Ma fa sì che in molti adottino toni cospiratori, basti pensare alla “sostituzione etnica” da parte dei migranti o al certificato di nascita di Obama su cui l’attuale presidente americano ha posto le basi per la sua ascesa politica. Nel suo piccolo, Larouche ha lasciato un’impronta fortemente negativa. Cavalcare le bufale a volte paga. E può portare alla Casa Bianca. Non in prima persona, nonostante Larouche ci avesse provato per otto volte dal 1976 al 2004. Ma qualcuno in grado di adottare un tono simile. E anche altrove, basti pensare all’evocazioni di “manine” o di “complotti contro l’Italia”, questo complottismo avrebbe dimostrato di fare ancora presa.

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