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“Ci hanno messe con le spalle al muro” – intervista alla leader del movimento femminista polacco

Strajk Kobiet (Women's Strike) è nato per lottare contro una legge che vuole rendere di fatto impossibile l'aborto, ma sta diventando molto di più. Abbiamo parlato con la sua leader, Marta Lempart

Attila Husejnow/SOPA Images/LightRocket via Getty Images

Insulti alle forze dell’ordine, appoggio al vandalismo nelle chiese e organizzazione di manifestazioni di piazza in violazione delle norme anti-Covid. Sono le accuse con cui a inizio febbraio Marta Lempart, leader del movimento Strajk Kobiet – da noi noto come Women’s Strike – è stata incriminata dalla procura di Varsavia. Impegnata sin dal 2016 nelle proteste contro l’inasprimento della legge sull’aborto in Polonia, inasprimento effettivamente imposto a gennaio dall’attuale governo di destra, l’attivista, classe 1979, rischia ora fino a otto anni di reclusione per aver, tra le altre cose, favorito la diffusione della pandemia di coronavirus. Ma in videochiamata su Skype fa capire di non aver alcuna intenzione di rinunciare alla sua battaglia: “In Argentina le donne hanno fallito nove volte prima di vedere l’aborto legalizzato, ma alla fine ce l’hanno fatta. In Polonia usiamo i loro stessi colori, portiamo avanti le loro stesse campagne, siamo all’inizio, ma vinceremo come hanno vinto loro. E il governo lo sa”.

Il governo è quello guidato dai sovranisti-clericali del partito Legge e Giustizia o PiS, che a gennaio ha pubblicato in Gazzetta ufficiale la sentenza con cui lo scorso ottobre la Corte costituzionale definiva illecito l’aborto in caso di malformazione del feto. In questo modo hanno ottenuto che in Polonia l’aborto è ora lecito solo in caso di pericolo di vita per la donna o di gravidanza dovuta a incesto o stupro.
Ma la verità è che nessuna nuova legge è stata approvata, c’è solo una sentenza pubblicata in Gazzetta ufficiale da una Corte costituzionale non legittima, visto che comprende almeno tre persone che non sono giudici e che l’attuale presidente Julia Przyłębska non è stata nominata per quel ruolo secondo l’iter richiesto dalla nostra costituzione, bensì è stata nominata direttamente dal Presidente della Repubblica.

Andrzej Duda, che sostiene l’attuale maggioranza.
Esatto. Quindi non c’è nessuna legge, abbiamo solo una sentenza di una Corte costituzionale non valida che il governo sta imponendo alla popolazione polacca come se fosse una legge, sia chiamandola così, sia imponendo ai medici negli ospedali di non praticare aborti perché incorrerebbero in sanzioni o altro.

Che cosa sta accadendo nel concreto?
Come dichiarato da Natalia Broniarczyk dell’Abortion Dream Team, “ci hanno messi spalle al muro, ma non lasceremo nessuno senza aiuto”. È stato attivato un numero verde per aiutare le donne che vogliono abortire per anomalie fetali, possono chiamare per capire come muoversi e quel numero è scritto ovunque: su muri, su manifesti, persino in televisione, visto che ci sono politici dell’opposizione che lo mostrano ogni volta che partecipano a un programma. Insomma, la situazione è assurda. Da una parte c’è una pseudolegge che vieta l’aborto persino quando il nascituro è destinato a morire e che oltretutto mette sotto pressione i medici, inducendo molti di loro ad aver paura di sottoporre a esami pre-natali alle donne incinte, perché poi come ti comporti? Dall’altra c’è un’iniziativa parallela ormai conosciuta dalle donne di tutto il Paese, nata per contrastare la pseudolegge di cui sopra. Ed è tragico, visto che parliamo di gravidanze desiderate e già in stato avanzato, che si decide di interrompere per motivi di salute, e visto che gli aborti legali resi necessari da malformazioni del feto erano la maggior parte in Polonia.

Nel 2019 sono stati 1074 su 1100. Poi ci sono tra le 100 e le 200 mila donne che ogni anno sono costrette, dato il quasi totale divieto di aborto, a interrompere la gravidanza clandestinamente o all’estero, in Slovacchia, Repubblica Ceca, Germania, Ucraina.
Gli aborti clandestini sono la terribile conseguenza di ogni legge che non regoli l’interruzione di gravidanza, ma sono fiduciosa, perché come dicevo il governo non ha seguito un iter legale e sono sicura che la sua incompetenza ci salverà. Adesso abbiamo l’appoggio anche del partito di opposizione più importante in Polonia, Platforma Obywatelska: hanno una proposta un po’ datata, ma il fatto che ci sostengano è qualcosa di enorme.

Non si tratta solo di una battaglia delle donne per le donne, giusto?
La nostra è una battaglia per la libertà e in Polonia ormai sappiamo che l’unica via per vincerla è far cadere il governo attualmente al potere. La Corte costituzionale non è più indipendente dall’esecutivo, ma abbiamo ancora l’indipendenza giudiziaria a livello locale e, dunque, buone possibilità che a un certo punto una donna costretta a partorire vincerà una causa che andrà a costituire un precedente. Oppure una qualche donna potrebbe vincere davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, per lo stesso motivo. È solo questione di tempo. E no, non è solo un problema delle donne, in ballo c’è l’indipendenza dei poteri, la democrazia.

Il 24 febbraio ho seguito un dibattito sulle leggi che regolano l’aborto e sul caso polacco tenutosi presso il Parlamento Europeo. Tra i partecipanti, oltre a te e altri, c’era Dorota Bojemska in rappresentanza del Ministero polacco della Famiglia e delle Politiche Sociali: sosteneva addirittura che il movimento Women’s Strike distrugge le chiese.
Non m’interessa cosa dice quella gente, è tutta propaganda governativa, mentono sempre, non fanno che mentire, e non ho tempo da perdere nell’ascoltarli.

Che cosa ti aspetti, però, dall’Unione Europea?
Se l’Unione Europea volesse davvero aiutarci, porterebbe il governo polacco di fronte alla Corte di Giustizia Europea, l’organo che ha il compito di verificare e garantire l’applicazione dei trattati della stessa Unione da parte degli Stati membri. Peccato che alla UE non freghi niente di tutto questo, tant’è che continua a mettere la questione sul tavolo come se fosse una faccenda unicamente femminile, ed è un errore. Fanno proclami a parole, ma non ce ne facciamo niente di dichiarazioni di vicinanza alle donne polacche diffuse via social o in qualche intervista.

Ti sei data una spiegazione sul motivo per cui il governo polacco ha avviato la sua azione proprio attaccando le donne e la comunità LGBTQ+? Quanto c’entra l’ingerenza sull’azione di governo da parte della Chiesa e di Ordo Iuris, organizzazione fondamentalista cattolica che ha membri nella maggioranza?
Quello della chiesa polacca è il tipico caso di istituzione religiosa che si mette a fianco della dittatura, che si comporta lealmente con un governo che è suo alleato nel diffondere odio contro le donne così come contro i gay e tutta la comunità LGBTQ+. Sono arroganti e ignoranti, ma noi siamo per uno Stato laico e non solo noi, la maggior parte dei polacchi lo è: più i vescovi parlano, più la chiesa perde terreno; anzi, sarà proprio grazie ai vescovi che in Polonia avremo uno Stato laico una volta per tutte.

Sei così ottimista?
Non è ottimismo, lo dicono i sondaggi, che i giovani polacchi credono che gli esponenti della chiesa siano solo dei pazzi. Pare che i giovani che stanno lasciando la chiesa siano tanti soprattutto in Polonia, abbiamo il record in Europa e sono felicissima di questo. In futuro la Chiesa cattolica sarà fuori dai giochi e faremo in modo che non riceverà più nemmeno un euro dallo Stato, perché i soldi che si sta facendo mettere in tasca da quella che di fatto è una dittatura, li stanno rubando a noi cittadini.

Benché il 90% dei polacchi sia ufficialmente cattolico, secondo un recente sondaggio condotto da IBRiS per il giornale “Rzeczpospolita”, alla domanda “come valuterebbe il suo atteggiamento nei confronti della Chiesa cattolica in Polonia?” i 18-29enni hanno risposto per il 47% affermando di avere un’opinione negativa della Chiesa, per il 44% dichiarandosi neutrale e solo per il 9% valutando positivamente l’istituzione. Anche gli over 18 si sono spaccati: il 35% degli intervistati ha dichiarato di valutare positivamente l’azione della Chiesa, ma per il resto…
È così, in Polonia abbiamo avuto tanti casi di pedofilia e la chiesa ha sempre negato tutto anche quando c’erano evidenze, per cui è responsabile anche di quelli. Ci sono sacerdoti che fanno finta di non sapere cosa fare, dicono di essere preoccupati. Ma ve lo diciamo noi cosa fare, abbiamo tutti gli strumenti necessari per insegnarvi come protestare, per aiutarvi a scendere in piazza! No, nemmeno i preti che pensano di essere dei buoni cattolici muovono un dito, è tutta ipocrisia: sono tutti complici, perché sanno benissimo cosa sta accadendo alle donne così come sapevano benissimo cosa stava accadendo con i bambini violentati nelle parrocchie. E pazienza se c’è chi dice che ci sono anche preti buoni: certo che ci sono, e allora? C’erano anche tedeschi buoni a Dachau.

Perché ora dite che il governo polacco vuole legalizzare la violenza domestica sulle donne?
Perché sappiamo che stanno preparando questo disegno di legge. È la stessa cosa successa in Russia nel 2017, dove è passata una legge secondo cui il primo atto di violenza domestica non è reato e dove hanno cancellato anche parte del sistema di protezione per le donne vittime di violenza.

In Russia la legge del 2017 ha trasformato le percosse in famiglia, incluse quelle sui bambini, da reati penali a illeciti amministrativi, e il marito che picchia la moglie per la prima volta non viene nemmeno sottoposto ad arresto amministrativo, ma a una multa.
In Polonia vogliono fare lo stesso, ci stanno già provando dal 2018. Allo stesso modo, vogliono smantellare sia l’obbligo di tenere aggiornate le statistiche sulle violenze domestiche, sia i programmi di sostegno alle vittime. Abbiamo già protestato due anni fa contro questa deriva, se poi il discorso si è fermato è perché il governo ha capito che per imporre questa legge nel nostro Paese deve uscire dalla Convenzione di Istanbul, ma adesso potrebbero muoversi nuovamente in quella direzione usando la stessa strategia messa in campo per limitare ulteriormente la legge sull’aborto. E questa è la cosa che va combattuta con più forza, perché se la Polonia facesse una cosa del genere potrebbe essere seguita da altri Paesi europei guidati da fondamentalisti, potrebbero tutti dirsi che allora la Convenzione di Istanbul è reversibile.

Anche qui sarebbe essenziale l’intervento dell’Unione Europea.
Per fortuna almeno internamente la situazione ci è favorevole: da quando è al potere, il governo di destra guidato dal PiS ha visto erodersi il suo consenso, il 27% delle persone che lo hanno votato alle elezioni dello scorso luglio sono ora schierate con il movimento Women’s Strike. Si parla tanto di una polarizzazione, ma non è più vero che la Polonia è così polarizzata, il sentimento comune è di sostegno alle nostre proteste. La gente che aveva sostenuto il PiS si era illusa di dare un voto anti-establishment, ma ha capito di essere stata presa in giro. Oggi il 70 per cento dei polacchi supporta le nostre istanze e faremo di tutto perché questa percentuale cresca ancora. L’UE ha tutti gli strumenti per agire, però non lo fa, non vuole farlo, ma non rinunceremo alla nostra lotta per questo.

Prossime azioni?
Abbiamo tante proteste in corso in moltissime città polacche, negli ultimi mesi siamo passati da 150 a circa 600 località coinvolte. La più grande sarà il prossimo 8 marzo, per la Giornata Internazionale della Donna, quando festeggeremo quello che abbiamo chiamato il “Women’s Day without compromise”, perché “compromesso” è una parola che in Polonia si sta usando spesso in modo ambiguo per fare propaganda.

Il governo ha dichiarato che il quasi totale divieto di aborto che avrebbero approvato a gennaio sarebbe un compromesso; dal nostro punto di vista è il frutto non di un compromesso, ma di un accordo tra i vescovi cattolici e la politica. Quindi protesteremo, sì, scenderemo in piazza anche per raccogliere firme per la legge da noi auspicata, che prevede l’accesso all’aborto fino alla fine della dodicesima settimana di gravidanza: sarà la nostra Legal Abortion Without Compromise e sono fiera di dire che abbiamo l’appoggio di tantissimi consigli comunali in tutta la Polonia e di molti attivisti a livello locale. Per raccontare una cosa simbolica ma carina che sta succedendo, i sindaci di molti paesini e di molte piccole città, per onorare la nostra lotta, hanno cambiato il nome di alcune piazze in Women’s Rights Square. Varsavia non lo ha ancora fatto, ma è comunque un segnale che molte autorità locali sono al nostro fianco. E sono in arrivo altre iniziative.

Tipo?
Stiamo raccogliendo fondi per finanziare programmi di educazione sessuale impostati in termini laici e procedure di fecondazione in vitro, oltre che per la distribuzione di assorbenti per le ragazze in condizioni di povertà. A livello locale gli amministratori possono fare molto, per esempio dedicare piazze al movimento, ma anche togliere i manifesti pro-life che mostrano feti danneggiati o appoggiare l’uso di cartelli e decorazioni create dalla comunità LGBTQ+. Dopodiché ci saranno le iniziative anti-governative, che stiamo organizzando in tre tappe previste per aprile, maggio e giugno, e lì protesteremo con chiunque voglia far cadere questa maggioranza: attivisti per i diritti umani, cittadini che si battono per le minoranze, sindacati, lavoratori, piccoli imprenditori, liberi professionisti, qualunque categoria. Per vincere abbiamo bisogno di una protesta allargata, è questo il nostro traguardo, e dobbiamo almeno provare a raggiungerlo: se non lo facciamo noi non lo farà nessun altro.

Lo scorso dicembre l’azienda petrolifera di Stato PKN Orlen ha annunciato l’acquisto del gruppo Polska Press dalla società tedesca Verlagsgruppe Passau, operazione che ha portato 20 dei 24 giornali regionali polacchi, quasi 120 settimanali locali e 500 siti web sotto il controllo statale. Quanto vi ostacola questo?
Diciamo che almeno per ora hanno in mano solo i media locali, non è come in Ungheria, in Polonia i media mainstream sono ancora indipendenti.

Però il Pis ha appena presentato in Parlamento una proposta di legge che introdurrebbe una nuova tassa sugli introiti pubblicitari che andrebbe a colpire soprattutto i grandi gruppi editoriali stranieri proprietari di organi di stampa e canali tv, salvaguardando le testate nazionali filo-governative.
Già, e in ogni caso già che abbiano in mano i media locali è terribile, non solo perché si tratta di potenziali strumenti di propaganda, quelli ci sono ovunque, ma anche perché i media possono diventare strumenti di molestie. L’ho provato sulla mia pelle, in questo periodo la tv pubblica polacca mi sta trattando come fu trattato Paweł Adamowicz, il sindaco di Danzica assassinato il 14 gennaio 2019. Ecco, quella stessa tv pubblica che per quel delitto ha le mani sporche di sangue, adesso sta puntando il dito contro di me nella speranza che qualcuno colga il messaggio e mi faccia fuori. E temo che la medesima strategia sarà utilizzata dai media locali contro chi organizza le proteste di Women’s Strike a livello locale. Ma stiamo raccogliendo fondi anche per questo, per querelare e portare in tribunale chiunque proverà a diffondere menzogne su di me e su tutti noi attivisti.

In tutto ciò la pandemia è diventata una “giustificazione” per colpire chiunque partecipi a una manifestazione di protesta?
Sì, ma non solo: le forze dell’ordine stanno cercando di incriminarci per vari tipi di reati minori, abbiamo circa 3000 manifestanti che sono stati accusati di questo o quell’altro reato, non ci sono solo io, e figuriamoci che uno dei reati ipotizzati consisterebbe nel distruggere l’ambiente usando megafoni in pubblico. È un modo per mettere pressione, perché il governo ci teme, e probabilmente rincareranno la dose, ce lo aspettiamo. Del resto è già successo che durante le proteste la polizia si sia messa a manganellare ragazzi a caso. Ma ormai i manifestanti si rifiutano anche di dare i documenti ai poliziotti, che di solito li chiedono per poter poi incriminare le persone in un secondo momento, e la ragione è che la maggior parte della gente ha capito che quella richiesta non è lecita, se non sei stato beccato in flagranza di reato. Una volta ci hanno tenuto in questura per otto ore, eravamo circa 500 e ci siamo tutti rifiutati di farci registrare, gli ridevamo in faccia. Non sto dicendo che non abbiamo paura, ma è questo che serve alla lotta ed è questa la nostra forza, a chi ci osteggia buona fortuna.

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