Ci siamo già passati: l’uso politico dei bambini da Mussolini a Salvini | Rolling Stone Italia
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Ci siamo già passati: l’uso politico dei bambini da Mussolini a Salvini

Mamma Italia e papà Vittorio Emanuele III, il duce e i balilla, le piccole donne della DC: storia della pedopolitica italiana

Ci siamo già passati: l’uso politico dei bambini da Mussolini a Salvini

Salvini ospite in tv a spiegare il sovranismo a una classe delle elementari! Orrore e raccapriccio sui social! Indignazione sullo “sfruttamento” dell’infanzia a fini politici. Si dovrebbe, si legge su molte pagine su Facebook e Twitter, lasciar fuori i bambini dall’agone politico. Preservare il loro essere unici e con tutta la vita davanti. Eppure, c’è stato un tempo in cui essere bambini non era nulla di speciale. L’infanzia, lungi dall’essere un’età in cui tutto era permesso, da ricordare con nostalgia, era un periodo della vita umana dove ai piccoli uomini e donne era chiesto, appunto, di comportarsi già da adulti, di non disturbare e di conformarsi in fretta al mondo dei grandi. E di farlo in fretta.

Complice anche l’alta mortalità infantile, quegli anni venivano trascorsi in fretta, in un brutale addestramento alla maturità. Questo fino all’inizio del Novecento, quando i nuovi studi su psicanalisi e pedagogia misero in luce le peculiarità di quella stagione dello sviluppo umano. Dopo la pubblicità, fu la politica ad accorgersi del potenziale da sfruttare di quell’età. E l’occasione migliore fu la Prima Guerra Mondiale, come evidenziato dallo storico Antonio Gibelli nel suo volume Il popolo bambino: l’infanzia, raffigurata su migliaia di manifesti e stampe, finì per incarnare la Nazione italiana in varie vesti. A cominciare da quella, scontata, dei figli da difendere dalla barbarie austrotedesca, per passare a quella dei soldati bambini fino ai putti disegnati da Aurelio Bertiglia nelle sue cartoline, metafora dei rapporti tra le nazioni, con i bimbi Italia, Francia, Gran Bretagna e Russia che sconfiggono quei cattivoni di Austria-Ungheria, Germania e Turchia.

Questo tipo di propaganda non faceva appello soltanto alle emozioni superficiali di molti padri, per lo più soggetti urbanizzati e con una preparazione intellettuale superiore alla media, che andavano in trincea motivati dai racconti che leggevano sui quotidiani sugli orrori dell’occupazione tedesca in Belgio e nella Francia settentrionale. Ma imponeva sottilmente una narrazione profonda, che avrebbe minato alla base il fragile stato liberale italiano che avviava in quegli anni i suoi timidi passi in direzione di una piena democrazia. Il racconto che il governo e lo stato maggiore volevano imporre, è che la guerra era una circostanza che rendeva i cittadini non più critici e liberi di pensare, ma li faceva recedere a uno stato infantile, dove la mamma Italia e il papà Vittorio Emanuele III avrebbero deciso cos’era meglio per loro. E in questo dovevano tutti fare la propria parte per difendere la loro Patria, che in questo scenario diventava una sorta di famiglia allargata. E i bambini cattivi, disertori, socialisti e cattolici, andavano severamente puniti.

In questa fase, complice ancora uno sviluppo embrionale dei mezzi di comunicazione di massa, i bambini erano solo questi. Immaginari. Per uno sfruttamento ancora più spregiudicato dei bambini in carne ed ossa bisognerà aspettare l’erede di questa stagione politica, il capo del fascismo Benito Mussolini, andato al potere non solo per le condizioni politico-sociali derivanti dalla Grande Guerra, ma anche grazie ai precedenti giuridici forniti dal progressivo slittamento autoritario dei governi liberali, durante il conflitto sempre più occhiuti repressori del dissenso. Il nuovo regime, poneva molta attenzione alla formazione dei nuovi italiani sin dalla primissima infanzia, inquadrandoli nell’Opera Nazionale Balilla. Non solo: Mussolini amava fotografarsi in mezzo ai bambini, in ogni occasione possibile, accreditandosi come il nuovo Padre di una nazione che si avviava a un processo di rigenerazione. Si può leggere in quest’ottica anche la riforma Gentile, volta a formare un’elite di studiosi classici pronti per prendere le redini del governo. Ma per quanto riguarda l’uso spregiudicato dei minori, durante la Repubblica di Salò Mussolini si superò, reclutando minorenni nelle Brigate Nere, ricorrendo a misure estreme come lo svuotamento dei riformatori.

Durante gli anni di governo della Democrazia Cristiana invece, più che ai bambini, si pensava alle bambine, intese quali piccole donne, da proteggere nella loro purezza virginale dalla brutalità del comunismo, che secondo la vulgata democristiana le voleva espropriare della loro peculiarità femminile e delle loro “qualità sponsali” per distruggere il cristianesimo e la civiltà occidentali. In questo senso è straordinaria la foto di un’inaugurazione in Basilicata in cui il ministro Emilio Colombo, già padre costituente, accarezza una bambina sotto il mento, come un bonario padre prima di accompagnarla all’altare. Non scordiamoci il “nonno Craxi” in copertina su un numero del Venerdì di Repubblica del 1988 o il Berlusconi che, in pausa dalle sue tante metamorfosi, si godeva i nipoti e la sua numerosa famiglia. Per questo poco deve stupire l’apparizione di Matteo Salvini nel programma di Raitre “Alla Lavagna”: un ministro che spesso fa riferimento al suo essere un papà non può che essere in perfetta continuità con la narrazione degli italiani quali componenti di un Popolo Bambino.