“Nascondete subito crostatine, flauti, cornetti e bonbon: arriva la tassa sulle merendine!!!”. Il post – da leggere con il tono di voce di Matteo Salvini in modalità turgidissimo, tipo quando dice “bacioni alla Boldrini” – si conclude con una lunga sequenza di emoji dolciari, e con un terrificante meme di Giuseppe Conte pronto a trangugiare un gigantesco snack (chissà se la scelta del Flauto ci svela qualcosa sulle abitudini alimentari di Matteo Salvini o dei suoi figli, se alla base ci sono studi di marketing o un uso sineddotico del prodotto Mulino Bianco, se non valga la pena consultare un professionista freudiano).
Dopo aver battagliato contro Idris e Alba Parietti in tv, la controffensiva dell’ex ministro dell’Interno autodetronizzatosi prosegue con questo veemente attacco al presidente del Consiglio, che dimostra tutto il talento e la versatilità di Salvini nel mandare in vacca ogni tema. Se in altri campi – tipo l’immigrazione – quasi ci si stupisce che possa essere detta la verità, la “caciara fiscale” è un ambito ancora relativamente poco esplorato dalla politica di casa nostra.
Torniamo alle merendine. L’idea è stata lanciata qualche settimana fa dal ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, che ha proposto un sovrapprezzo sugli snack dolci e le bibite gasate, una sorta di imposta di scopo per recuperare due miliardi nella prossima legge di Bilancio, da destinare a ricerca e formazione. Il principio è quello di tassare un’abitudine alimentare dannosa per la salute come il consumo di zuccheri, a beneficio delle casse pubbliche. Giusto? Sbagliato? Ognuno si faccia la sua idea, Conte per ora è possibilista.
Di certo non è la follia che Matteo Salvini vorrebbe dipingere con il suo dileggio, e i precedenti in giro per il mondo lo dimostrano, a meno di non voler considerare impazziti tutti quanti. Una sugar tax, infatti, esiste già in Gran Bretagna, Francia, Messico e Stati Uniti. Vero è che temi come alimentazione e obesità da noi non sono centrali come in altri Paesi (a Washington soprattutto durante la presidenza Obama), anche perché fortunatamente da queste parti mangiare sano non costa un decimo che ingollare schifezze tutto il giorno (per ora).
Ma definire con sprezzo la misura una “tassa sulle merendine”, per veicolare il messaggio di un governo che non sa più cosa inventarsi per succhiare soldi ai cittadini, è la solita mossa fuorviante, scorretta. In tal senso le merendine si prestano alla grande al giochino – ricordate l’espressione “scienza delle merendine” per prendere in giro i laureati in Comunicazione? –, quello di portare al livello più basso possibile (quello dei bambini che fanno merenda, non a caso) un tema di cui molti non capiscono una mazza, come il fisco.
Non stupisce più di tanto, in un Paese che pochi mesi fa insorgeva dopo aver scoperto di dover pagare un paio di centesimi per i sacchetti usati per imbustare frutta e verdura al supermercato. Anche in quel caso dietro alla misura c’erano ragioni culturali – l’abbandono definitivo della plastica a favore di materiali biodegradabili –, anche in quel caso la notizia fu spogliata di ogni complessità ed elemento più politico, e rivomitata ai cittadini come l’ennesima assurda gabella imposta da uno Stato succhiasoldi ai suoi cittadini. Colpiti nella panza, perché a tutti quanti tocca mangiare un paio di volte al giorno.
Perché oggi, e purtroppo i politici di casa nostra (soprattutto quando non sono al governo) lo sanno bene, il motore più potente della nostra società non sono di certo la conoscenza o il ragionamento, ma l’indignazione. Che sta bene con tutto, dalla casta ai migranti, fino ai plum cake.