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I 10 candidati peggiori alle prossime elezioni

Sottosegretari, presidenti, figli d'arte e anche i soliti che si candidano ovunque. Il 4 marzo è sempre più vicino, e guardando le liste dei vari partiti e movimenti non viene certo da entusiasmarsi.

Laura Boldrini e Maria Elena Boschi, foto insidefoto srl / Alamy / IPA

1. Stefano Parisi

Candidato presidente alla Regione Lazio. Romano di nascita, milanese d’adozione, noto ai più come “e mo’ questo chi cazzo è?”, ha risposto alle critiche sulla sua incongruenza meneghina nel ridente territorio laziale entrando subito nel vivo del dibattito politico romano con lapidarie affermazioni come “nell’amatriciana ce va er guanciale” e “per forza fa caldo, non c’è più er Ponentino”. Sul suo profilo Twitter scrive che Centrodestra e centrosinistra sono uguali, solo che lui è il candidato del Centrodestra, ma vabbè, ci siamo capiti, su, non state a fare i sofisti adesso, parliamo di uno che si candida praticamente alla qualunque, ieri era all’assemblea del mio condominio che voleva fare l’amministratore. E manco l’abbiamo votato.

2. Pierferdinando Casini

Classe 1955, sposa in prime nozze Roberta Lubich, dalla quale ha due stupende bimbe, Benedetta e Maria Carolina. Purtroppo si sa come vanno queste cose, l’amore è una cosa complicata, e insomma va a finire che nel 1998 piglia e si separa. Per fortuna, però, quando si chiude una porta si apre un portone e il nostro Pierferdinando trova di nuovo l’amore con Azzurra Caltagirone, che gli regala Caterina e Francesco, che si sa che quelli i figli sono un dono di Dio. Spirito irrequieto, Casini si separa anche dalla bella Azzurra e adesso è là in giro a far palpitare i cuoricini. Predilige austeri completi doppiopetto che sdrammatizza con una sbarazzina capigliatura sale e pepe che fa tanto DILF. In virtù di questo prestigioso curriculum, che lo pone di fatto all’estrema sinistra del panorama politico italiano, è candidato col PD a Bologna.

3. Dino Giarrusso

Catanese di nascita, romano di adozione, la simpatica Iena Dino (come lo chiamano i suoi fans, tutti e tre, parenti inclusi) prima dichiara di non volersi candidare al Parlamento (“Resterò a Le Iene, cercando di dare il mio meglio come sempre”, twitta deciso e perentorio), poi cede alle insistenze delle iene e decide di candidarsi, poi cambia di nuovo idea e si offre come terzino alla Spal, poi dice che si candida di nuovo ma forse con uno pseudonimo (Olga, o Luxor, a seconda). Le ultime voci lo danno ancora candidato, anche se notizie più certe le avremo solo quando uscirà dalla pizzeria al taglio sulla Nomentana (Dar Zozzone) nella quale è chiuso da tre giorni non riuscendo a decidersi se ordinare un supplì o un trancio di focaccia provola e prosciutto.

4. Emma Bonino

La coraggiosa leader radicale è impegnata su mille fronti, tipo i diritti civili o decidere se la sua lista si deve chiamare +Europa o piùEuropa, che metti che poi la gente non capisce e mette meno Europa, quelle così succedono le disgrazie. E insomma una che tiene tutte queste cose da fare non è che può perdere tempo a raccogliere le firme come fanno i pezzenti, che poi che educazione è, scusate, pare che stiamo a chiedere la carità, e allora Bruno Tabacci le ha prestato il suo simbolo del Centro democratico, così la Bonino e tutti gli altri sei membri del suo partito possono finalmente impegnarsi a saltare la fila alle poste, al supermercato e soprattutto al macellaio che se non arrivi entro le nove per farti fare due fettine fetenti come minimo si fa mezzogiorno.

5. Giorgia Meloni

La coraggiosa leader di Fratelli d’Italia, reduce dalla querela intentata agli ideatori dei falsi manifesti elettorali che vedono il suo nome associato al volto di Kim Basinger a diciannove anni, va all’assalto del seggio parlamentare in nome della famiglia tradizionale. Che non è quella nella quale, secondo Telefono Azzurro, si consumano il 70% delle violenze su donne e minori, è un’altra che non stiamo qui a dire, adesso non facciamo polemiche.

6. Tommaso Cerno

Giornalista di successo, nel 1995 si candida con la destra di AN per difendere i diritti civili e riabilitare Pasolini, poi si mette a tifare Juventus per protestare contro gli errori arbitrali e far dichiarare valido il gol di Turone. Da allora non si è più mosso dalla destra e infatti è candidato del PD.

7. Maria Elena Boschi

Che la sottosegretaria Boschi sia avvenente non si può dire se no è sessismo, e non si fa, è peccato, che non lo sia manco perché sarebbe bugia, e allora: la sottosegretaria ed ex ministro così così Maria Elena Boschi, è candidata praticamente ovunque tranne che nella natìa Arezzo, a dimostrazione di quanto gli aretini siano cattivi e ingrati. Il seggio blindato però è a Bolzano. Per l’occasione la nota esponente politica ha dichiarato che ha intenzione di imparare il tedesco, e questa, senza che ridete, in un partito in cui anche l’italiano è poco praticato, è una bella cosa. Suo sponsor principale è quella vecchia roccia di Messner, almeno finché qualcuno non gli spiega che Boschi non è una marca di acque oligominerali.

8. Giulia Bongiorno

Tutti si stupiscono della sua candidatura nella Lega, anche perché giustamente era stata eletta prima con An e poi con Berlusconi, noti baluardi della sinistra, nonché alla regione Lazio con quel rivoluzionario di Monti. Durante la conferenza stampa per la presentazione della sua candidatura, ha affermato che il suo leader, Matteo Salvini, è vittima di razzismo, e ha svelato di essere legata da parentela al famoso Mike, il re dei telequiz. Una delle due cose è perfino vera.

9. Piero De Luca

Sebbene sfornito del piglio autoritario e della verve oratoria del genitore, nel giovane Piero arde tuttavia il sacro fuoco della politica intesa come servizio da rendere agli altri, soprattutto ai più sfortunati tra loro, tipo gli homeless e i laureati in Scienza della Comunicazione. Anni di gavetta (uno e mezzo, quasi due) lo hanno temprato e reso impermeabile alle accuse di nepotismo, tanto da inalberarsi quando lo chiamano Junior, preferendo il più cordiale e amichevole mi raccomando, mi saluti tanto papà.

10. Laura Boldrini

La simpatica presidenta della Camera corre a Milano (per lei, Milana) sotto la bandiera di Liberi e Uguali, solo che lei lo chiama Libere e Uguali, anche se francamente quella benedetta i di Uguali un po’ di fastidio glielo provoca, ma se le date tempo e spago vedrete che prima o poi diventa Libere e Ugual*, anzi **** e ******, che quella la violenza sulle donne è un problema, ma se cominci a mettere tutte le finali in A e in E un passo in avanti lo fai, perché il maschio oppressore quando ti vuole opprimere leggere tutti quegli asterischi, si ferma a pensare che cazzo vogliano dire e la donna oppressa ha il tempo di chiamare la Polizia (che è buona perché finisce in A).

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