Si parla spesso di greenwashing, il così detto ecologismo di facciata, molto comune tra imprese, istituzioni e politici che vogliano ristrutturare la propria immagine sotto il profilo ambientalista. Con il voto alle porte, sembrerebbe che i partiti italiani ne stiano giusto brevettando una nuova variante: lo youthwashing. Dopo l’ennesima legislatura che ha relegato i giovani ai margini dell’agenda, leader e leaderini sono tornati all’attacco e puntano a far cassa in vista delle politiche. Da tutti gli schieramenti adesso ci si sbraccia per promuovere i punti programmatici dedicati alle politiche giovanili: ricette fantasiose, promesse ardite, poche coperture e qualche balla. Un vero e proprio bestiario elettorale a misura di Millennial e Gen Z.
Tra le proposte più colorite, dal milione di alberi l’anno all’apertura delle scuole alle 10 del mattino, un posto d’onore spetta alla famosa leva obbligatoria di Salvini. Il segretario della Lega ne caldeggia la reintroduzione da tempo, non tanto nella speranza di raccattare qualche voto tra i diretti interessati (a quello ci dovrebbe pensare TikTok) ma piuttosto con l’idea di compiacere i tanti boomer che quotidianamente si danno appuntamento sulla sua pagina Facebook per commentare indignati la bravata del giovane “deviato” di turno. La naja leghista però non solo non raccoglie il favore degli alleati, con Berlusconi che ne rivendica (a torto) la sospensione e Giorgia Meloni da sempre contraria, ma si dimostra una costosa operazione propagandistica di facciata. Nel programma ufficiale, infatti, si legge che ai «giovani viene chiesto di scegliere liberamente il settore in cui svolgere il servizio obbligatorio, tra difesa, protezione civile e soccorso pubblico». Dunque, nonostante le continue sparate del fu Capitano, pare che nessuno verrà poi effettivamente costretto a imbracciare le armi, almeno sulla carta. Una riedizione velleitaria che comunque riuscirebbe a far danni, appesantendo di qualche altro miliardo il bilancio pubblico e allontanando ulteriormente l’ingresso nel mondo del lavoro.
Niente paura. La congiuntura il centrodestra la trova nell’accordo quadro di programma, che sotto la voce “Giovani” recita: «valutazione dell’impatto generazionale delle leggi e dei provvedimenti a tutela delle future generazioni». Una bella dichiarazione d’intenti, tanto nobile quanto fumosa. Nella pratica si va a rispolverare un grande classico (ora rilanciato pure dal sedicente Terzo Polo): giù le tasse per incentivare l’imprenditoria giovanile. Mette mano al portafoglio anche il MoVimento di Giuseppe Conte, che pone all’ordine del giorno Pensione Garanzia Giovani e Riscatto gratuito della laurea. Lodevole certo, peccato per il dettaglio delle coperture mancanti, che nel lungo programma di ben 22 punti e 13 pagine proprio non trovano posto. Al povero Enrico Letta, invece, almeno questo va riconosciuto: la sua contestata dote ai diciottenni sa già dove pescare i soldi. A pagare i diecimila euro sarà quell’imposta sulle successioni sopra i 5 milioni che tanto fa arrabbiare.
Su alcuni punti (pochi) i partiti sono addirittura d’accordo. Gli unici, forse, che avranno una qualche chance di essere attuati. Per il sostegno agli affitti si stringono la mano soltanto Letta e Salvini, sulle agevolazioni ai mutui ci sono tutti. Forza Italia propone di aumentare quanto già previsto dal Decreto Sostegni Bis e dalla finanziaria, Meloni di ridurre le imposte sull’acquisto della prima casa e rafforzare il fondo di garanzia statale, trovandosi per una volta allineata con il Pd. Al seguito M5S, Di Maio, Noi Moderati e persino Paragone. Sostegno bipartisan anche a un generico contrasto alla “fuga dei cervelli”, declinato in proposte più o meno vaghe.
Per sapere chi si aggiudicherà l’Oscar ai migliori effetti speciali c’è da attendere il 25 settembre, quando si consumerà il finale pirotecnico della campagna elettorale più pazza del mondo. Al momento bisogna accontentarsi dei sondaggi, che pure restituiscono un dato interessante: Fratelli d’Italia, vincitore annunciato, sembra fare peggio proprio con l’elettorato tra i 18 e i 24 anni, ancora fedele a PD e 5 Stelle. Meloni conquisterebbe appena il 5%, per poi toccare il diciannove solo tra gli under 34. Sempre un passo dietro a Conte che, almeno tra i giovani, punta a replicare l’exploit del Movimento della prima ora.