Contrariamente a quanto si dice comunemente, i giochi sporchi nelle campagne politiche sono presenti sin da quando il voto è stato consentito in qualche forma e misura, pur con molte restrizioni. Già il giornalista John Beckley, ai tempi dell’elezione presidenziale americana del 1800, distorceva le notizie in pamphlet aggressivi per favorire la candidatura di Thomas Jefferson. Ma il comando e le leve dell’azione politica, quelle sì, rimanevano in mano ai politici. Provenienti dalla classe elevata e imbevuti di letture filosofiche, politiche e in qualche misura scientifiche (basti pensare alla preparazione in campo mineralogico di uno statista come Quintino Sella, stando a casa nostra), avevano una visione ben chiara delle cose, di quello che occorreva fare e di cosa invece bisognava evitare. Anche qualora avessero voluto sovvertire l’ordine costituzionale, questo era parte di un disegno da loro stessi tracciato.
Adesso questo rapporto di forza si è rovesciato. Prendiamo Boris Johnson, attuale premier britannico. La sua totale spregiudicatezza ideologica è evidente sin dai tempi del referendum sulla Brexit, quando inviò due editoriali separati, uno a favore della permanenza del Paese nell’Unione e l’altro per l’uscita. Scelse quest’ultimo perché, come afferma l’ex premier David Cameron nel suo ultimo libro For the Record “avrebbe aiutato la sua carriera”. E infatti il 24 luglio 2019, dopo anni di macchinazioni politiche, Johnson è riuscito a raggiungere la più alta carica politica del Regno. E ha nominato Dominic Cummings suo consigliere personale. E chi è Cummings? Semplicemente, la persona che ha aggiunto la parte ideologica al suo lavoro di spin doctor.
Già capo di gabinetto dell’esponente conservatore Michael Gove, prima all’opposizione poi come segretario dell’educazione nel governo Cameron, nel 2015 Cummings diventa direttore di Vote Leave, la campagna per portare il Regno Unito fuori dall’Unione Europea. Cummings non è un consulente neutrale. Pur non iscritto al partito, è un conservatore-liberista che ambisce a fare della Gran Bretagna una “tecnopoli meritocratica”, come da lui espresso in un breve paper pubblicato con il ruolo di consulente del ministero dell’educazione. Sua l’idea di legare la Brexit al concetto di “controllo” e di associarla a paure come l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea o all’immigrazione.
Lui nega che queste siano le sue posizioni personali, e sostiene che l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea possa limitare l’estremismo di destra in Patria. Ma non è andata così, anzi, da allora è esploso. Lo stesso è avvenuto per il potere di Cummings, che, diventato eminenza grigia del premier, ha lanciato Londra verso un’uscita senza accordo dall’Unione Europea. Nemmeno a dirlo, l’idea di sospendere i lavori parlamentari per cinque settimane è stata sua. Se questo lede molti precedenti ed è stato definito dallo storico Richard J. Evans come “l’incendio del Reichstag di Johnson“.
Dall’altra parte dell’Oceano, negli Stati Uniti, si è parlato molto di Steve Bannon. Come ha affermato Karl Rove, ex capo stratega di George W. Bush, la sua professionalità era molto scarsa, data la sua tendenza ad attribuirsi i meriti e a rilasciare spesso dichiarazioni alla stampa. Il focus va indirizzato invece su Stephen Miller. Classe 1985, già addetto stampa dei deputati repubblicani Michele Bachmann e John Shadegg, conosce il suo momento di svolta nel 2009, quando inizia a lavorare per il senatore repubblicano dell’Alabama Jeff Sessions: lì sviluppa un nuovo tipo di nazionalismo populista, in opposizione alla globalizzazione a all’immigrazione, che poi influenzerà la campagna di Donald Trump. Nel 2016 entra a far parte del team di transizione della nuova amministrazione repubblicana ed è lui l’autore del discorso inaugurale del 20 gennaio 2017, incentrato sui temi dell’America First.
Se Jeff Sessions era uno dei membri più conservatori del Senato, lo stesso non si può dire di Donald Trump, ex amico personale di Bill Clinton e finanziatore dei democratici newyorchesi, dei quali ha fatto parte fino al 2009. Anche in questo caso abbiamo un personaggio con forti ambizioni politiche e un consulente mediatico altrettanto spregiudicato. Il risultato è che Miller, consulente del presidente sulle questioni migratorie, è sopravvissuto al licenziamento di Sessions come procuratore generale ed è il fautore delle disumane condizioni dei migranti al confine con il Messico. Senza essere stato eletto da nessuno.
Torniamo all’Italia. Fiumi d’inchiostro sono stati versati per spiegare il rapporto di Matteo Salvini con Luca Morisi; nel frattempo erano sotto gli occhi di tutti gli effetti delle cavalcate dei vari sentiment sui social, a scapito della coesione sociale, solo perché questo avrebbe beneficiato il leader in qualche occasione. Fino alla decisione di agosto da parte del leader leghista di far cadere il governo, gli osservatori erano ammirati dalla trasformazione di questo oscuro esponente politico padano, noto per aver insultato Ciampi al Parlamento Europeo nel 2004 e per aver chiesto nel consiglio comunale di Milano di avere carrozze della metro “solo per i milanesi”.
La sua graduale trasformazione in leader nazionalista è passata per una spregiudicata liquidazione della simbologia e degli organi di stampa padani: via Radio Padania, che regalò a suo tempo una tessera di giornalista professionista a Salvini (iscritto all’albo dal 1999), via il quotidiano La Padania e via anche Tele Padania. Rimase solo il leader, diventato infine nazionale, con l’aiuto di post studiati con cura dal suo team di comunicazione, per intercettare quella fetta di elettorato disaffezionato legata a fenomeni social come il bomberismo o i buongiornissimi. Così si capiscono le case brutte e i piatti discutibili. Così come le vacanze nella riviera romagnola al Papeete Beach, simbolo del nazional popolare in modo quasi archetipico.
Mai porre dei limiti all’estremismo, per raccogliere tutto il consenso possibile. Mossa sulla quale è difficile non intravedere il timore di perdere fettine minime e categorie di cittadini trascurati da altri. E così si spiega anche la decisione di rompere con il governo di Giuseppe Conte. Decisione che, per ora, non ha portato bene al leader leghista, che comunque si è mostrato capace di risorgere dalle ceneri del partito bossiano, flagellato dalle inchieste. Ma anche nel suo caso, è arduo distinguere cosa è stato dettato dal suo profondo convincimento e cosa dai consulenti di comunicazione. Di sicuro sappiamo che la simbologia religiosa appare come posticcia, dato che in passato Salvini era iscritto ai “comunisti padani” e mostrava una certa simpatia per posizioni laiche all’interno dell’allora Lega Nord.
Dunque, che fare per arginare questa deriva e queste accoppiate infernali di leader ambiziosi e consulenti con pochi scrupoli e molta ideologia? Anzitutto sarebbe bene che anche gli elettori prendessero parte della loro responsabilità ed eleggessero politici con una chiara visione ideologica e di principio. A quel punto si potrebbero sostituire questi ambiziosi spin doctor con una versione più classica dei consiglieri politici di cui parla Antonio Funiciello nel suo Il metodo Machiavelli, edito da Rizzoli: un professionista ideologicamente affine al leader che sa restare nell’anonimato, senza ambizioni personali e che ha il coraggio di avvertirlo quando sbaglia senza temere di contrariarlo. Un obiettivo fuori portata, al momento.