Un approdo sicuro per le donne afghane. Almeno per quelle di “alto profilo”, che rappresentano la società democratica, soffocata dal ritorno al potere dei talebani, e che quindi sono più a rischio. La Grecia, da settembre, ha accolto più di 700 donne giudici, legislatrici, giornaliste e avvocate, insieme alle loro famiglie.
Sono arrivate con l’aiuto di Ong, gruppi di aiuto internazionali e individui che hanno esercitato pressioni sui leader greci per accogliere gli afghani in pericolo. Uno di questi filantropi, come racconta Politico, è l’americano Ahmed Khan, che si è coordinato con il governo greco per coprire i costi di vitto, alloggio e assicurazione sanitaria per gli sfollati e con il ministero della Migrazione per organizzare l’operazione. Lo scambio ha aperto un corridoio che Khan ha utilizzato per portare sempre più afghane in Grecia. Una “partnership impeccabile”, secondo lui, indice di un’apertura che “manca alle maggiori potenze economiche del mondo”.
Fra le prime operazioni di evacuazione, quella di ottobre, quando ventisei giudici e avvocate afghane e le loro famiglie sono arrivate ad Atene attraverso la capitale georgiana Tbilisi. Il 22 novembre un altro gruppo di 119 profughi afgani – tra cui un ex ministro – è volato ad Atene con un charter privato.
Tutte queste donne rimarranno in Grecia fino a quando non sarà completato l’iter per il loro trasferimento negli altri Paesi occidentali che hanno espresso la volontà di accoglierli. Lo ha assicurato il ministero greco degli Esteri in una nota, sottolineando che la Grecia è “impegnata a ospitare un numero simbolico di cittadini afghani che difendono i valori della libertà di espressione e dell’uguaglianza”. E, anche se la maggior parte delle donne accolte vorrebbe stabilirsi negli Stati Uniti, la Grecia, come ha precisato il ministro greco per l’immigrazione Mitarachis, è “disposta a fornire asilo a tutte loro, se i tentativi di trovare un altro alloggio non si materializzeranno”.
Intanto, ad Atene, le 28 parlamentari afghane che hanno trovato rifugio in Grecia continuano a combattere contro il regime che le ha esautorate. Una di loro, Shagufa Noorzai, ha avuto l’idea di un parlamento parallelo in esilio, insieme a un’altra deputata, Nazifa Yousufi Bek. “Voglio che le donne in Afghanistan pensino: “Shagufa non ci ha dimenticato: vuole fare qualcosa per noi””, ha detto. Così il 27 novembre le deputate afgane hanno annunciato il lancio del Parlamento delle donne in esilio ad Atene, che lavorerà “per mobilitare il sostegno dei compatrioti rimasti sotto il dominio dei talebani, per favorire il reinsediamento dei rifugiati afgani in tutto il mondo e per continuare a promuovere la tutela dei diritti delle donne e delle ragazze”, come spiega un comunicato stampa divulgato da Mina’s List, organizzazione no-profit che ha sede negli Stati Uniti e che finanzia l’iniziativa.
“Il nostro lavoro non è finito. Siamo state elette dal popolo afghano per rappresentarlo”, ha aggiunto Nazifa Yousufi Bek nel comunicato. “La nostra gente, in particolare donne e ragazze e coloro che vivono in povertà, stanno affrontando una grave crisi umanitaria e una repressione dei loro diritti da parte dei talebani. Continueremo a servirli ovunque ci troviamo”.
Certo, non tutti gli altri migranti sono stati accolti così positivamente dalla Grecia. Alla maggior parte di loro (persino ad altri afghani), l’accesso non è consentito: è bloccato da recinzioni e da apparecchiature di sorveglianza, e controllato da un esercito che pattuglia terra e mare. Il ministero greco della Migrazione ha anche lanciato una campagna mediatica che scoraggia gli afghani dallo spingersi fino in Grecia senza i necessari permessi, spiegando quanto siano austere le condizioni di vita nei campi dei migranti.
Un sistema a due livelli, che ha sollevato qualche interrogativo sulla buona volontà della Grecia nei confronti delle donne afgane.