Affrontare l’emergenza sanitaria legata al coronavirus è dura per chiunque, la quarantena forzata è quanto di più lontano ci sia dalla vita cui eravamo abituati fino ad appena poche settimane fa – immaginiamoci cosa possa significare per chi soffre di dipendenza da sostanze stupefacenti. E poco conta l’opinione di chi pensa che questo sarebbe il minore dei problemi in un momento del genere: imbattersi nella notizia di un ragazzo denunciato dalla polizia perché sull’autocertificazione aveva scritto “cerco droga” può strappare una risata a qualcuno, ma ci sono situazioni da non sottovalutare e su cui è bene riflettere anche in vista di ciò che ci attende. Lo suggeriscono gli stessi operatori del settore, pur se da diversi punti di vista.
Un dato arriva dallo IEuD, Istituto Europeo per il trattamento delle Dipendenze, tra le prime realtà a introdurre, circa un anno fa, l’assistenza online a partire dal presupposto che una logistica semplificata – il paziente non deve recarsi in alcun luogo – abbatte la prima barriera di resistenza tra chi desidera sottoporsi a un trattamento e il timore e la vergogna che glielo impediscono. Nell’ultimo mese le visite al sito IstitutoEuropeoDipendenze.it hanno registrato un’impennata, in tutte le regioni, con il 29,5% dei contatti che proviene dalla Lombardia.
“In questo periodo di quarantena forzata stiamo ricevendo molte chiamate da parte di uomini e di donne in uguale percentuale, con un’età media dai 30 ai 50 anni”, spiega a Rolling Stone Raffaele Lovaste, direttore di IEuD. “La mia convinzione è che la solitudine e l’isolamento di questi giorni favoriscano una consapevolezza dei pericoli cui si va incontro se si soffre di dipendenze ed è per questo che le richieste di aiuto sono aumentate. Con il sostegno online noi proponiamo un programma di incontri periodici da concordare tramite un software progettato ad hoc, ma se prima della pandemia lo facevamo per intercettare il bisogno di persone da tutta Italia, dato che la nostra unica sede è a Milano, con l’esplosione del COVID-19 ci siamo resi conto di quanto tali terapie a distanza possano rivelarsi utili indipendentemente dal fatto che il soggetto che si rivolge a noi abbia la possibilità di incontri di persona o meno”.
Alla base del ragionamento, una constatazione: c’è ancora uno stigma forte nella nostra società contro chi soffre di queste patologie, che dunque porta a cercare di nascondersi e a non affrontare il problema. “La terapia online può essere di supporto in tal senso, perché consente a chi è affetto da una dipendenza di mantenere un’assoluta privacy”, aggiunge Lovaste. “Ecco perché credo che dopo quest’esperienza drammatica saranno sempre più le realtà che la introdurranno in qualche variante e la implementeranno”. Lo IEuD si occupa di dipendenze di vario genere – sia da droghe e farmaci, sia da sesso e affettive – ma Lovaste sostiene che il trattamento via Internet potrebbe essere adatto “soprattutto per i soggetti che soffrono di dipendenza da cocaina, solitamente inseriti nel tessuto sociale e dunque particolarmente propensi a celare il loro problema, e per gli alcolisti, perché quella da alcol è un’astinenza particolarmente pericolosa che nessuno può permettersi di affrontare da solo”.
Vero è che l’alcol, essendo legale, è facilmente reperibile anche in questo momento. La questione è diversa se si rivolge lo sguardo, per esempio, al mondo della dipendenza da eroina: qui l’attività sul territorio svolta dai Ser.D (Servizi per le dipendenze patologiche) e dalle altre realtà che assistono i tossicodipendenti gioca un ruolo essenziale e se non ci sono saracinesche abbassate bisogna pur riconoscere che l’esigenza di limitare le occasioni di contagio ha modificato in parte le modalità di accoglienza e assistenza.
Alla Fondazione Villa Maraini, comunità terapeutica romana, gli psicologi che operano nell’ambito del T.I.A. (Trattamento Integrato Ambulatoriale) stanno offrendo consulenze in videochiamata – dopo un primo contatto telefonico al numero 06.65.75.30.59 – proprio per rispettare al massimo il distanziamento sociale imposto dalle misure restrittive diventate obbligatorie a causa della rapida diffusione del coronavirus. “Ma non vedo l’uso del mezzo digitale come sostitutivo di quello tradizionale”, precisa Massimo Barra, fondatore di Villa Maraini e Special Envoy on Health della Federazione di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. “Vi ricorriamo ora perché non possiamo fare altrimenti, però il rapporto vis-à-vis resterà sempre imprescindibile: non sono convinto che un incontro via computer o smartphone con uno psicoterapeuta sia la stessa cosa, avere uno schermo tra il terapeuta e l’interlocutore non consente lo stesso grado di empatia che si può raggiungere parlandosi di persona”.
Ciò detto, si fa quel che si può, e a Villa Maraini la maggior parte dei servizi sono attivi, pur se con le dovute precauzioni. “Li abbiamo adattati alla situazione in corso, per cui sono momentaneamente sospesi incontri di gruppo e simili, ossia i servizi di seconda fascia. Ma non quelli di prima fascia, in primis le terapie con metadone, che sono indispensabili e che stiamo portando avanti pur stando attenti alle regole stabilite dal governo: si utilizzano protezioni, si rispetta la distanza di sicurezza tra le persone, gli ambienti vengono sanificati, la somministrazione di metadone avviene senza passaggi nelle mani”.
Proprio a Roma, tra il 26 marzo e il 4 aprile, cinque persone sono finite in overdose in un parco a Tor Bella Monaca, salvandosi grazie all’intervento degli operatori dell’Unità di Strada di Villa Maraini-CRI. “Per l’attività antidroga della Croce Rossa il contesto non è così cambiato”, afferma Barra. “Il canale distributivo era illegale prima ed è illegale adesso, e per mia esperienza posso affermare che non si è fermato. L’approvvigionamento continua e il motivo è che le politiche repressive vigenti riescono a eliminare soltanto il 10% della droga che viene spacciata. Ad ogni modo, al cervello del tossicodipendente interessa poco se la sostanza di cui non riesce a fare a meno è illegale o no. Il dibattito su liberalizzazione versus proibizionismo interessa alla politica, agli economisti, ma io da terapeuta mi preoccupo delle situazioni dei singoli e questi singoli noi di certo non li abbandoniamo”. Tradotto: ad oggi tutto procede più o meno come prima.
Per la cronaca, nel 2019 le unità mobili di Villa Maraini hanno preso in carico 1909 utenti, somministrato 107.282 dosi di metadone e oltre 20mila terapie farmacologiche. Oggi si procede sulla stessa strada: un aiuto non si nega a nessuno, semplicemente laddove non lo si può dare di persona si passa alla via telematica. “Ma non generalizzerei sull’efficacia del mezzo digitale”, osserva Antonio Iudici, docente di Psicologia e Psicoterapia presso l’Università degli Studi di Padova e alla Cattolica di Milano, e supervisore per alcune comunità che seguono consumatori di sostanze stupefacenti nel lodigiano. “Si tratta di uno strumento e nessuno strumento è mai efficace in sé. Stabilirne l’efficacia è un problema epistemologico e di analisi e dato che la situazione in cui ci troviamo è nuova non esiste una letteratura clinica e scientifica su cui possiamo basarci per esprimere un giudizio”. Idem per la quarantena: attenzione a descriverla come un dramma tout court. Secondo Iudici, infatti, “alcuni possono anche cogliere questa situazione complicata per stare lontani dalle sostanze da cui sono dipendenti”. E continua: “il rischio in questi casi è di reificare e oggettivare cose che non sono categorizzabili: possiamo categorizzare le sostanze, non le persone, altrimenti si cade in stereotipi”.
Di certo c’è che, almeno in questa fase, il rischio di contagio da coronavirus ha trasformato Internet in uno strumento non risolutivo né miracoloso, ma conveniente. È l’opinione di Riccardo Gatti, direttore dell Dipartimento Interaziendale Prestazioni Erogate nell’Area Dipendenze (DIPEAD) della ASST Santi Paolo e Carlo, che opera su tutta la città di Milano. “Sin dall’inizio dell’epidemia abbiamo costituito con l’Agenzia di Tutela della Salute un comitato di crisi per il coordinamento dei Ser.D e del privato sociale,” spiega Gatti a Rolling Stone. “In sostanza ci si confronta man mano per fare il punto della situazione in itinere. Al momento l’attività medica e infermieristica di controllo e prosecuzione delle terapie prosegue, mentre l’attività psicologica e di sostegno ha subìto alcune limitazioni: ci sono pazienti che incontriamo su appuntamento, ma stando a distanza, con la mascherina e tutto il resto; altri con cui comunichiamo via Skype e affini. In più abbiamo attivato una helpline per tossicodipendenti attualmente non in cura, che hanno bisogno di supporto e non sanno a chi rivolgersi”.
Come si legge su Droga.net, sito web curato dallo stesso Gatti, gli appartenenti a questa categoria possono scrivere a dipead.milano@asst-santipaolocarlo.it o chiamare dalle 9 alle 16 nei giorni infrasettimanali il 02.81.84.54.12 o il 02.81.84.54.14 . “Il problema sarà come andare avanti se le misure restrittive dovessero continuare per tutta l’estate e nei mesi successivi, pur se in misura ridotta, perché poco per volta le scorte di sostanze disponibili sul mercato – parlo di droghe – diminuiranno. Cosa che per adesso non è ancora avvenuta solo perché il mercato dei consumi occasionali è fermo”, afferma Gatti. “A quel punto che cosa accadrà? Da un lato c’è il tema delle crisi d’astinenza, che nel caso degli oppiacei sono particolarmente pesanti. Dall’altro è probabile che chi consuma cocaina ed eroina – e ricordiamo che abbiamo consumatori inseriti nella società, quando si parla di droga non si parla solo di emarginazione, di situazioni limite o del bosco di Rogoredo – si metterà in cerca di mix di sostanze fatti ad hoc in un modo ancora più pericoloso del solito”.
Se la raccomandazione generale è quella di “cercare di ridurre i consumi e non aver paura di chiedere aiuto”, Gatti ritiene che come ogni altra impresa anche le organizzazioni criminali si stiano organizzando per la ripresa delle attività commerciali e ipotizza uno scenario possibile. “Le sostanze di origine naturale compiono un lungo viaggio prima di arrivare al consumatore finale e per tutto quel viaggio non sono droghe, ma moneta di scambio. Qualora gli scambi diventassero sempre più difficili, se non impossibili – penso all’eventuale chiusura di confini – è probabile che le organizzazioni criminali comincino a pensare di introdurre sul mercato, come stava accadendo negli Stati Uniti già prima del coronavirus e senza che ci fosse una specifica domanda, sostanze sintetiche, prodotte in laboratori, mischiate a droghe di origine naturale – quindi eroina o cocaina o metanfetamina mescolata con derivati del Fentanyl, potente oppiaceo che dà forte dipendenza ed è molto pericoloso”.
Non è un quadro rassicurante e la crisi economica che ci aspetta non aiuterà. “Tutte le prove difficili possono portare a qualcosa di buono, ma le prove difficili sono anche estremamente selettive e questa pandemia non è da meno: tanti, di tutte le età, perderanno il lavoro, si ritroveranno disperati, comprenderanno di non avere più la loro libertà e la prima cosa che potrebbero fare è darsi all’alcol, a farmaci non prescritti o ad altre droghe. Anche persone che finora non lo avevano mai fatto”.