Alice, 16 anni, è morta il 3 ottobre nel bagno degli uomini della stazione di Udine, mentre il padre la aspettava in auto. Poche ore dopo i carabinieri hanno trovato il corpo senza vita di Carmela nella casa popolare in cui conviveva con il suo ragazzo a Zafferana, sulle pendici dell’Etna. È stata una telefonata anonima al 112, lo scorso 20 ottobre, a informare che Desirée si era sentita male in uno stabile disabitato di San Lorenzo, a Roma. Prima di morire, sarebbe stata violentata da quattro persone. Avevano 16 anni a testa. Sono tre delle 203 vittime registrate dal 1 gennaio su GeOverdose, portale creato dalla Società Italiana Tossicodipendenze per tracciare in tempo reale una mappa dei decessi correlati all’assunzione di droghe in Italia. Lo scorso an- no erano stati 196, a loro volta in aumento del 9,7% rispetto ai 12 mesi precedenti.
«L’età media delle morti è di 38 anni e il rapporto tra maschi e femmine è circa di 5 a 1. La cronaca ci sta dunque mettendo di fronte a una modifica del fenomeno, ed è bene lanciare l’allarme», dice Salvatore Giancane. «Per anni ci hanno detto che l’eroina era stata sconfitta, che era roba per vecchi reduci. Io non sono mai stato d’accordo, purtroppo avevo ragione». Medico tossicologo, coordina il Ser.T di Bologna – città che vanta il primato di 18 overdose nei primi 10 mesi del 2018 – e cura il progetto GeOverdose assieme al collega Ernesto De Bernardis. «L’eroina non era scomparsa, era solo diventata meno visibile», racconta quest’ultimo, che lavora al Ser.T di Lentini, in Sicilia. «Ha mutato aspetto, come un criminale che fa la plastica facciale. Se usi il vecchio identikit per dargli la caccia, non lo troverai mai», aggiunge Giancane.
Attorno al 2000 si è diffusa l’abitudine di fumare l’eroina: si mette in una stagnola, si scalda da sotto con un accendino e si inala tramite una cannuccia. Una pratica di consumo (in gergo chiamata Chasing Dragon, ndr) più sicura, perché in questo modo se ne assume una quantità minore, insufficiente a fermare cuore e respiro. Inoltre, senza i vistosi buchi alle braccia lasciati dalle siringhe, lo stigma sociale è di gran lunga ridotto. «Tanti giovani e giovani adulti (dai 15 ai 34 anni, ndr), spesso ragazzi senza particolari disagi, hanno iniziato così. Solo che poi il grado di dipendenza aumenta, e se c’è meno droga sul mercato prima o dopo si passa al buco, che garantisce minor spesa e massima resa», prosegue De Bernardis. «Quello cui stiamo assistendo potrebbe essere l’assaggio di un passaggio generazionale: i cosiddetti stagnolari che ora optano per la somministrazione endovenosa, con conseguente aumento dei rischi». Soprattutto quando a premere lo stantuffo è un ragazzino. «Negli ultimi anni ho preso in carico un sacco di 15 o 16enni», spiega il collega bolognese. «Dicono di farsi da due o tre anni, e non di rado hanno iniziato direttamente con l’eroina».
Morire per 5 euro
Dal 1996, anno del record assoluto di 1556 italiani morti per overdose, tutto quanto è cambiato. Anzitutto il prezzo della sostanza. «Allora costava sulle 100mila lire al grammo: per fartene uno al giorno dovevi aver in tasca 3 milioni ogni mese. Da medico alle prime armi, guadagnavo circa la metà», dice Giancane. Così i furti e il carcere diventavano una trafila quasi inevitabile. «Oggi una dose costa 5 euro e il metadone si trova anche online. Con 3 o 400 euro si può tranquillamente mantenere una dipendenza». In tutto, sui 14 miliardi annui ipotizzati dall’Istat nel 2014 come giro di affari degli stupefacenti, 2,2 sono in capo all’eroina.
Più di un indicatore conferma l’aumento, nemmeno troppo contenuto, dei consumi negli ultimi anni. Ai dati va aggiunto un sommerso tutt’altro che marginale. «Soprattutto ora che i Ser.T (dove il 70% circa dei pazienti è in cura per l’uso di oppiacei, ndr) hanno perso centralità: un tempo un tossico se non veniva da noi era finito, oggi non è più così». La riduzione della domanda di trattamento è stato uno dei criteri per cui in passato si è veicolata l’idea che l’eroina fosse fuori gioco. «Abbiamo iniziato a curare alcool e dipendenza, tanto quella sfida era vinta. Fu un autogol», dice Giancane. Nel momento in cui le morti di tre adolescenti hanno ridato vigore a un dibattito banalizzato e strumentale sul tema, il medico individua responsabilità politiche che risalgono nel tempo: «L’errore fatale è stato affermare che tutte le droghe fanno male allo stesso modo, un messaggio che i ragazzini hanno frainteso. Se mi dici che le canne sono dannose e io vedo che invece fumo e vado alla grande, sarò portato a pensare che lo stesso vale anche per le altre sostanze. Si voleva alzare il livello di attenzione sulle droghe leggere, si è finiti per abbassare quello sulle pesanti».
L’ultima partita
«L’eroina gialla è un’invenzione giornalistica», afferma Carlo Locatelli, direttore del Centro Nazionale di Informazione Tossicologica della Maugeri di Pavia, punto di riferimento per gli avvelenamenti e le intossicazioni per tutti i pronto soccorso d’Italia. «Non ha alcun senso additare sostanze killer senza un responso del patologo forense, che richiede tempi lunghi». «Per favore smettiamola di parlare di questo o quel colore. È eroina, e in quanto tale uccide», aggiunge Giancane. Ha da poco scritto un libro sul traffico degli oppiacei nel mondo, e si sente in dovere di dare un po’ di nozioni.
«In commercio se ne trovano due varietà. Quella di tipo 3, o brown, che è ideale da fumare, perché non si scioglie bene in acqua e va scaldata col cucchiaino. Quella di tipo 4, il cloridrato di eroina, è bianca e si dissolve nei liquidi come se fosse zucchero». Quest’ultima è tipica del triangolo d’oro Birmania-Laos-Thailandia, mentre la prima arriva dall’Afghanistan, un narcostato in cui lo scorso anno si è raggiunto il record storico delle 9mila tonnellate di oppio prodotte. Da una decina d’anni anche a queste latitudini si produce l’eroina 4, «solo che mancano i solventi, e quindi è difficile che venga lavata bene: il colore giallo dipende da questo». La bianca thailandese, da noi quasi introvabile, è inarrivabile per purezza – fino al 98% –, quella della provincia afghana di Helmand si attesta attorno all’80, mentre la “vecchia” brown si ferma a un 5-10% in meno. «Che la presunta eroina gialla sia di una purezza mai vista prima è una balla. Vero è che il principio attivo della sostanza è in aumento in tutto il mondo da anni, perché c’è talmente tanta disponibilità che c’è meno bisogno di tagliarla».
Se, come si legge nella Relazione annuale al parlamento sullo tossicodipendenze, ci sono scostamenti anche del 90% del grado di purezza delle sostanze trovate in strada, è perché dalla fonte al consumatore i passaggi sono parecchi. «In Italia le mafie hanno preferito puntare sulla cocaina, e così il traffico è finito in mani a gruppi nigeriani – che utilizzano i cosiddetti ovulatori, capaci di trasportare più di un chilo nell’intestino –, pakistani e albanesi. Loro muovono le quantità maggiori, ma nulla a che vedere con i container della ’ndrangheta a Gioia Tauro», dice Giancane, che ricorda come oggi gli oppiacei rappresentino lo 0,7% del totale dei sequestri. Ancora una volta siamo davanti a numeri in aumento (+28% sull’anno precedente, ndr). «Gli albanesi portano la droga passando dai Balcani via terra, e a ogni tappa ciascuno opera un taglio. Gli africani fanno un solo scalo, dall’Afghanistan al deposito in Nigeria, e quindi la roba risulta meno trattata».
Una volta approdata in Italia invade le piazze, e qualcuno ha la peggio. A volte ci sono focolai di morti più virulenti, come le quattro overdose registrate in 20 giorni a Ferrara un anno fa. Peggio ancora è capitato a Mestre, dove nel 2017 ci sono state 18 morti: in quel caso un giudice accusò la mafia nigeriana di aver immesso sul mercato una sostanza molto concentrata e adulterata con metorfano, un oppioide analgesico. Anche allora si parlò di eroina gialla, o “piscia di gatto”. «Io quello che dico è: smettiamo la di cercare la partita impazzita, perché ormai sono tutte impazzite», sostiene De Bernardis. Ha una lettura diversa dalla vulgata corrente, secondo cui sarebbero la potenza e il grado di contaminazione delle sostanze presenti sul territorio a condizionare il numero di overdose. «Noi interpretiamo i boom di morti semplicemente come l’arrivo di un carico e il suo esaurimento. La purezza è un fattore secondario rispetto alla disponibilità, persino il prezzo incide maggiormente». Se compro una dose a 5 euro sarò propenso a esagerare, a pensare “con così poco, cosa vuoi che mi succeda?”. Anche le modalità di spaccio incidono sui decessi. «Il nigeriano ti allunga una busta in mano e scappa via; mancano gli avvertimenti minimi. Molto fanno anche le informazioni che circolano tra i tossicodipendenti: a volte possono salvarti la vita. Non è un caso che a un certo punto a Mestre i residenti abbiano smesso di morire, e a finire nei guai siano rimasti i “pendolari” che arrivavano da fuori per gli acquisti».
Una pericolosa sintesi
Eppure oggi c’è una minaccia ancora più grave dell’eroina. Si chiama Fentanyl (o fentanile, ndr), un oppioide sintetico fino a 500 volte più forte. «Per ora è solo una minaccia, appunto», spiega De Bernardis. «E paradossalmente rimaniamo “aggrappati” alla droga naturale, che almeno sappiamo curare. Nel caso questo analgesico invadesse davvero il mercato sarebbero guai seri, perché rischieremmo di fare la fine degli Stati Uniti». Dove metà dell’incredibile cifra di 72mila morti per overdose dello scorso anno (fonte il National Center for Health Statistics, ndr) era dovuta a questo antidolorifico. In Europa la prima allerta sull’arrivo della sostanza era stato lanciato cinque anni fa, e oggi il Guardian parla di almeno 46 morti nel Regno Unito nel 2017. Al fenomeno sono interessati tutti i Paesi scandinavi (la Svezia in particolare), l’Ungheria, la Polonia e la Germania.
Da noi il primo caso certificato di morte da Fentanyl risale all’aprile 2017: un uomo di 39 anni ritrovato senza vita nella sua abitazione milanese. Ci è voluto più di un anno per stabilire che a ucciderlo era stato l’ocfentanil (divenuto per la stampa “eroina sintetica”, altra definizione che trova scettici gli addetti ai lavori, ndr), uno dei tanti derivati del painkiller. Solo nel 2017, sostiene lo European Drug Report dell’emcDDa – l’osservatorio sulle droghe con sede a Lisbona –, ne sono stati osservati cinque, “disponibili in forme nuove, inclusi gli spray nasali, e talora mescolate con altri stupefacenti, con la conseguenza che spesso i consumatori non sono consapevoli di consumare la sostanza”. «Probabilmente è andata così anche nel caso da noi studiato», racconta Marica Orioli, direttrice del laboratorio di tossicologia forense dell’università di Milano, che ha analizzato il decesso della prima vittima italiana. «Il fatto è che le indagini sulle nuove molecole, come questa, richiedono tempo, perché vengono fatte al buio. Finché una cosa non si conosce, non la si può vedere. Anche se c’è». Nel frattempo i decessi da oppiodi sintetici sono diventati tre: un 42enne di Torino che aveva acquistato online delle pillole di U47700, e un abitante di Varese vittima del furanilfentanil.
Per queste sostanze vale la regola del “sono legali finché nessuno le dichiara illegali”, quando avviene basta aggiungere un metile (CH3) che modifica la molecola – senza agire sugli effetti – e questo la fa tornare nell’alveo di ciò che si può fare. Spesso i fentanili e gli altri prodotti di sintesi sono scarti delle industrie chimiche e farmaceutiche, che vengono messi da parte durante la lavorazione perché tossici. Poi, miracolosamente, saltano fuori da qualche parte del mondo (in estremo Oriente, secondo recenti indagini, e poi stoccati tra l’Inghilterra e l’Olanda, ndr) e venduti su Silk Road – ora oscurato – o altri portali. «Nell’ambito di un progetto con il Dipartimento politiche antidroga, ho acquistato online uno psicostimolante e un narcotico: mi sono arrivati a casa con il francobollo di Sua Maestà la Regina. Ho pagato circa 40 euro l’uno per un paio di grammi», racconta Luigi Cervo dell’Istituto Mario Negri. Per analizzarli, come da prassi, ha comprato degli standard realizzati da un’azienda chimica. «Cinque mg di molecola, da comparare con quelle prese sul Web, sono costati 400 euro, e non si può mai avere la certezza che sia quella giusta. Le indagini sono lunghe e costose, nel frattempo il mercato è già stato rifornito di decine di nuovi prodotti. Fuori controllo e letali».
Supermarket droga
«Il problema è che le nostre lenti non riescono più a mettere a fuoco la questione», esordisce Riccardo Gatti, direttore del dipartimento Dipendenze dell’aSl di Milano. «Se fino a poco tempo fa ti dicevo “camicia bianca e Suv, di cosa si fa?”, la risposta era “cocaina”. “Rasta e bicicletta?”, “Cannabis”. Ora gli stereotipi sono saltati, e tutti possono usare la sostanza che vogliono all’interno di uno stile di vita perfettamente conformista». A vincere, come sempre, è stato il mercato. «Che, tramite Internet e i progressi della chimica, nel frattempo è diventato low cost, come i voli per le capitali europee. Ma se si riduce il prezzo, devono aumentare i consumatori». Da qui la continua ricerca di una fidelizzazione dei consumatori attraverso prodotti nuovi e più potenti, che sia l’eroina oppure il Fentanyl. E pazienza se ogni tanto capita un incidente di percorso. «Oggi le auto vanno a 200 all’ora e i telefonini hanno giga illimitati, lo stesso vale per la droga. Oltretutto gli acquirenti sono gli stessi, visto che ormai il consumo è uscito dal ristretto ambito della devianza».
Per questo, secondo Gatti, è arrivato il tempo di ripensare il sistema della cura, impostato solo sulle sostanze. «Dobbiamo cavalcare una contemporaneità multimediale e interconnessa, aiutare le persone a imparare a usare gli stimoli e non negarglieli, come avviene nei rehab». Mica facile, ma cosa lo è? «Siamo di fronte a un vuoto culturale simile a quello del passaggio dalla società contadina a quella industriale. Allora Pasolini preconizzò il trionfo dell’eroina, e così fu. Sta capitando di nuovo, ma siccome oggi il mondo è variegato, ci sono più sostanze a prometter- ci di colmare l’abisso».