Da oggi 15 marzo fino a domenica 18 si vota in Russia, e no, alle urne non c’è un’opposizione vera e propria: è sicuro che vincerà Putin, resta da capire per quanto. Gli altri tre candidati sono fantocci del Cremlino, buoni a dare una parvenza di democraticità al tutto per quanto riguarda la percezione (giocoforza distorta) che ne hanno i cittadini russi, e rafforzare al contempo l’immagine dello stesso Putin; fanno discorsi qualunque e uguali tra loro, nei dibattiti tv – a cui il capo di Stato non partecipa mai perché «troppo impegnato» – non sono incisivi, sono lì giusto per rispondere pressioni, favori e minacce per le quali, come attori, si prestano a questa messa in scena. Fanno il gioco di Putin, un grande gioco delle parti, e se non bastasse sono tutti stati sanzionati a livello internazionale.
Gli antagonisti veri, come dimostra lo stesso caso Navalny, non hanno modo di partecipare al voto e vengono messi fuori gioco prima: alcuni sono estromessi tramite violenze e intimidazioni varie, altri direttamente arrestati e uccisi con processi farsa, altri ancora esclusi da una serie di organi e leggi istituiti di proposito nel corso degli anni, e che possono vietare la candidature in maniera pressoché arbitraria, appellandosi a cavilli burocratici. Come la giornalista e pacifista Yekaterina Duntsova, a cui è stato impedito di candidarsi e che adesso è una tra le anime dell’opposizione vera. Perché sì, un’opposizione vera esiste, per quanto divisa e diversa, e unita più che altro dalla voglia di vivere in un Paese liberale. Fa capo proprio a chi è stato escluso delle elezioni, ma c’è.
Lo dimostrano, per esempio, le migliaia di persone viste ai funerali di Navalny, e che i media di Stato hanno cercato di nascondere con fatica, o quelle che continuano a riempirne di fiori e omaggi la tomba, oltre trentamila nelle ultime settimane; gente che, evidentemente, non è allineata a Putin e adesso manifesta. Ma come vivono queste elezioni? Che faranno in questi giorni?
Per ora, la strategia è chiara: dimostrare di esistere, nel silenzio. Julija Navalnaya, la moglie di Navanly, ha raccolto la battaglia del marito e ha dato appuntamento a tutti ai seggi domenica alle 12. Insieme, nello stesso momento, per far capire di esserci. Sarà il cosiddetto «mezzogiorno contro Putin», che nelle sue intenzioni potrebbe sfociare in un nuovo movimento, ancor più largo di quello che finora aveva seguito il marito – va detto che la sua morte in un periodo del genere, in maniera paradossale, ne ha rafforzato l’immagine e compattato i nemici del regime, nonostante ovviamente non tutti fossero d’accordo con lui. «Siamo tanti e dobbiamo farci vedere», questo è l’appello. Pare non siano mai stati così compatti. Di per sé, “l’assalto” in massa potrebbe essere un segnale: se andrà come nei piani, ci s’immaginano lunghe code ai seggi, e sarà un colpo d’immagine.
Navalnaya non ha dato indicazioni di voto precise, a quelle ci ha pensato il resto dell’opposizione: siccome lasciare scheda bianca è rischioso, perché potrebbero essere manomesse e “compilate” in sede di scrutinio, l’idea è di invalidarle con scritte (la più gettonata potrebbe essere «Navanly») o barrando più candidati contemporaneamente; in questo modo la somma delle nulle rappresenterebbe una sorta di quinto candidato rispetto ai quattro di sorta imposti dal regime, su cui convergerebbero i voti dei manifestanti. Sarebbe un modo per far percepire a Putin quanti sono, a livello numerico. L’altra idea, che in realtà era stata rilanciata da Navanly prima di morire e che adesso appare meno percorribile, è quella di votare per uno degli altri tre: servirebbe a registrare l’ampiezza del dissenso, e sarebbe uno smacco per l’informazione del Cremlino e Putin stesso, che dovrebbe riscontrare un grande appoggio a dei politici deboli, tenuti lì dall’assenso del suo partito.
In questo senso, il personaggio buono può essere Davankov, quarant’anni ed ex candidato sindaco di Mosca, che i sondaggi – comunque sempre difficili da misurare in casi del genere – danno favorito tra gli sfidanti di Putin, attestato intorno al 6%. Da una parte, lo aiuta il fatto che gran parte dei concorrenti sia impresentabile, tra vecchi arnesi della prima Russia post sovietica e altri accusati di molestie sessuali (la selezione all’ingresso funziona al contrario). Dall’altra, è l’unico a esprimere una timida forma di dissenso, tipo promuovendo la pace, per quanto all’epoca si sia espresso per l’invasione dell’Ucraina, e sia tutt’altro che un pacifista.
Si vedrà. Intanto Putin sta continuando a combattere e infamare i personaggi pubblici, specie quelli del mondo della cultura, che hanno preso posizione contro di lui in un momento così delicato. La cantante Alla Pugachova rischia di perdere i diritti d’autore sulle sue canzoni, e ha fatto capire che ora che è all’estero non tornerà in Russia. Vale lo stesso per un altro esule illustre, il campione di scacchi Garry Kasparov, nemico giurato del Cremlino già dal 2013 e da poco messo ufficialmente fuorilegge.
Ma un modo per combattere, annuncia Navalnaya, c’è ancora, ed è quello della legalità che a lungo ha suggerito suo marito. Nei video che sta facendo girare sui social, e che dovrebbero guidare la protesta di domenica, spiega che bisognerà infilarsi nei vicoli delle leggi e percorre quelle strade che il regime ritiene ancora percorribili. O meglio: non può non ritenere ancora percorribili. Una sorta di disobbedienza civile, per mostrare come il sistema sia comunque vulnerabile. Per esempio: le autorità non possono impedire di recarsi alle urne allo stesso orario, e allora si parte da lì; e le autorità, ancora, non possono vietare che si voti scheda bianca, tra le tanti. Così come, per i prossimi giorni, sarà ancora possibile fare visita alla tomba di Navalny e lasciare omaggi. Senza rumori né gesti eclatanti. Questa opposizione si muove nel silenzio.