È iniziato oggi il primo sciopero al mondo dell’intera filiera di Amazon – che coinvolge sia chi lavora nei magazzini e nei centri di smistamento, sia chi lavora nelle aziende di trasporti. Chi prepara i pacchi, chi li smista e chi li consegna. I lavoratori potenzialmente coinvolti sono circa 40mila, di cui circa 9mila sono dipendenti diretti di Amazon Italia Logistica, ma non è chiaro quante saranno le adesioni e se ci saranno rallentamenti e ritardi nelle operazioni di Amazon – l’ultimo sciopero di Amazon in Italia, a Piacenza, riguardò solo il 18% dei lavoratori.
Ma perché questo sciopero? I sindacati (in primis Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti) chiedono maggiori diritti e tutele per i lavoratori – a partire dall’apertura di una trattativa sugli orari e sui ritmi di lavoro e dalla stabilizzazione dei contratti a tempo determinato e dei lavoratori interinali. Allo sciopero si sarebbe arrivati perché, secondo i sindacati, Amazon non ha voluto nemmeno sedersi a un tavolo a negoziare con loro su questi punti – anche se l’azienda smentisce.
Repubblica ha raccolto alcune testimonianze di lavoratori Amazon che hanno scelto di scioperare. Francesca, 30 anni, racconta di dolore fisico provocato dalla ripetitività del lavoro: “Quando sei adetto al ‘piccaggio’ [dall’inglese ‘to pick’, raccogliere] devi fare lo stesso movimento per otto ore, dentro una specie di gabbia. Non ci sono alternative. Nel giro di qualche giorno arrivano dolori alle braccia, alla schiena, alle ginocchia. Il terzo giorno di lavoro una persona addetta al pick non riesce a camminare per il dolore alle gambe: altro che squat in palestra. Dopo un mese, invece, iniziano a far male i tendini dei polsi. Ogni tanto qualcuno sviene”.
Anche Gianpaolo, 38 anni, racconta di un’esperienza simile. “Con il ‘pick’ devi andare a prendere i pacchi da una parte all’altra e questo significa che mediamente percorri 20 chilometri a turno. Con il ‘pack’ [la preparazione dei pacchi] invece se ne vanno schiena, spalle, braccia, polsi. Io stesso ho un tutore alla caviglia”.
C’è poi la questione del controllo e della disciplina dei lavoratori, gestiti dai capi reparto con l’aiuto della tecnologia. “Il sistema è guidato da un algoritmo, che chiede numeri. A chi sta sopra non interessa se quei numeri siano ottenuti con le buone o con le cattive. Il potere è nelle mani di questi manager, ragazzi di 25-30 anni appena laureati, che a volte decidono di usarlo anche in modo intransigente e pericoloso”.
Di fronte a queste testimonianze, Amazon ribatte affermando di pagare gli stipendi più alti del settore. Da parte dei sindacati, invece, arriva l’invito ai consumatori a fare la loro parte supportando i lavoratori in sciopero e a non ordinare su Amazon. “Se tutti gli italiani lunedì non facessero ordini ad Amazon, ma li facessero anche solo il 23, arriverebbe un segnale fortissimo. I profitti sono legittimi, ci mancherebbe altro, ma non sulla pelle dei lavoratori”. E annunciano che se Amazon non vorrà sedersi al tavolo a discutere, proclameranno altre giornate di sciopero.