Ieri sera, i leader dei Talebani afghani sono entrati nel palazzo presidenziale dell’Afghanistan, a Kabul, da dove hanno concesso un’intervista esclusiva ad al-Jazeera. Di fatto quello è stato il loro primo atto ufficiale a capo del Paese. Per tutta la giornata infatti c’erano state trattative tra i Talebani e il governo afghano del presidente Ashraf Ghani, che solo il giorno prima aveva promesso che la città non si sarebbe arresa senza combattere e che invece nel tardo pomeriggio ha ceduto il potere ed è fuggito.
La conquista dell’Afghanistan da parte dei Talebani riporta così la situazione del Paese indietro di 20 anni – esattamente a quel 2001 in cui il loro governo fu rovesciato dall’invasione americana successiva all’attentato dell’Undici Settembre. Ma soprattutto arriva dopo un’offensiva che ha letteralmente travolto le forze di sicurezza afghane, per vent’anni addestrate e armate dagli Stati Uniti, e riportato tutto il Paese nelle loro mani appena un mese dopo la partenza delle truppe americane. L’offensiva è stata così veloce da prendere in contropiede la stessa intelligence americana, che ancora pochi giorni fa stimava che Kabul non fosse “immediatamente minacciata” e che il governo Ghani potesse resistere almeno un mese.
La conquista talebana dell’Afghanistan è stata molto ordinata. Nella maggior parte delle grandi città, così come nella capitale Kabul, l’esercito governativo si è arreso senza combattere, a testimonianza di quanto poco sostegno avesse il governo, o si è dato alla fuga – sono stati segnalati casi di interi reparti che hanno passato il confine con l’Iran o con l’Uzbekistan in cerca di riparo. Il crollo è stato anche il frutto di un effetto valanga: la caduta in mano talebana due giorni fa di sei capitali provinciali (tra cui le grandi città di Herat e Kandahar) in un solo giorno ha fatto capire un po’ a tutti da che parte tirava il vento, accelerando il processo di disgregazione dello Stato afghano.
Ma se è stata una conquista pacifica, non è stata una conquista indolore. Dopo 20 anni di un governo sì corrotto e problematico ma anche laico e occidentalizzato, la popolazione di Kabul è stata presa dal panico quando ha visto approssimarsi la conquista talebana. Si sono viste scene disperate nei centri visti, affollati di persone che cercavano di ottenere i documenti necessari per lasciare il Paese, e all’aeroporto internazionale di Kabul, dove erano in corso le evacuazioni di diplomatici e cittadini stranieri.
Dal canto loro, i Talebani hanno promesso che daranno “serenità” al Paese e che cercheranno di “migliorare le vite” di tutti gli afghani. Da un altro punto di vista, infatti, oggi non è solo il primo giorno di vita nel nuovo Emirato Islamico dell’Afghanistan – così si chiama il Paese sotto il governo talebano – ma è anche il primo giorno che l’Afghanistan non è in stato di guerra o di guerra civile da 40 anni a questa parte.
Per quanto ieri sia stata una giornata campale e gli eventi negli ultimi giorni in Afghanistan siano precipitati rapidamente, nulla di quanto successo è stato una sorpresa. Che il Paese sarebbe caduto nuovamente in mano ai Talebani era infatti qualcosa che tutti gli esperti e gli analisti avevano predetto da tempo – almeno dall’accordo di pace dell’anno scorso tra l’amministrazione Trump e i Talebani a Doha. Già in quell’occasione, infatti, gli Stati Uniti avevano trattato i Talebani come i virtuali detentori del potere in Afghanistan, firmando la pace con loro senza consultare il governo afghano. Il ritiro delle truppe, poi, è stato l’evento che ha precipitato la situazione, dimostrando quanta poca legittimità avesse il governo afghano, la cui esistenza si fondava sulla presenza nel Paese dei soldati americani.
La caduta dell’Afghanistan nuovamente in mani talebane ha stimolato paragoni storici. Le foto che mostrano l’evacuazione del personale diplomatico statunitense presente a Kabul tramite elicotteri militari fatti atterrare sul tetto dell’ambasciata hanno ricordato le stesse foto scattate durante la caduta di Saigon nel 1975, al termine della guerra del Vietnam. E come la guerra del Vietnam, anche la guerra in Afghanistan è uno spartiacque nella storia della potenza americana. 20 anni dopo l’invasione e dopo 20 anni di occupazione militare, la guerra voluta da Bush in nome della responsabilità di proteggere e dell’esportazione della democrazia si rivela un fallimento completo, che ha portato solo centinaia di migliaia di morti e di miliardi di dollari in spese militari.