Mi è appena arrivato un messaggio. È la fotografia del figlio di uno dei miei più cari amici. Ha due anni, è all’Arco della Pace di Milano e tiene in mano due fogli di carta velina: uno giallo, l’altro blu. La piazza è piena di striscioni e famiglie. Come in tutta Italia in queste settimane: ho visto bandiere ucraine fuori da bar e ristoranti. Disegni fuori dalle scuole elementari. Punti raccolta per farmaci e vestiti destinati a Kiev. Tutti sperano nella pace. Ma cosa significa oggi volere la pace?
Poco prima che la Russia invadesse l’Ucraina, un importante giornalista italiano, Domenico Quirico, ha scritto su La Stampa della «strana scomparsa dei pacifisti» in Italia, chiedendosi se fosse perché la guerra ormai non facesse più paura. Qui, diceva Quirico, sta per scoppiare un conflitto e non c’è nessuno in piazza. Io avrei voluto rispondergli che nessuno teneva la bandiera della pace nell’armadio non perché avesse cambiato idea sui colori arcobaleno, ma semplicemente per distrazione: non ci eravamo accorti di quello che stava per succedere, persi tra Covid e Novax.
E ora che le piazze si sono riempite, però, sta succedendo un’altra cosa: c’è che non sappiamo più cosa significhi davvero questa bandiera che teniamo sulle spalle. È bastato un mese di conflitto per perdere la bussola. A chi dice che le armi portano solo armi, qualcuno risponde: «allora vuoi che si arrendano gli ucraini?».
E le conversazioni da bar rispolverano la Resistenza raccontata dai nonni, ma anche il Latino e tutte quelle citazioni e quel Si vis pacem, para bellum che non si usava più dal liceo. Non sorprende che la Camera abbia approvato, praticamente all’unanimità, l’incremento delle nostre spese militari da 25 a 38 miliardi di euro l’anno. O che una lettera inviata dallo Stato maggiore dell’esercito ai comandi, diventata pubblica solo qualche giorno fa, chieda ai nostri soldati di valutare con cura le richieste di congedo anticipato, insomma dica loro che si devono tenere pronti a qualsiasi evenienza.
Non solo: a partire dalla denuncia di un sindacato di Pisa, siamo venuti a sapere che i lavoratori dell’aeroporto «si sono trovati davanti armi e munizioni» in partenza per il fronte sotto il nome di «aiuti umanitari». E anche i principali quotidiani italiani e i partiti fino a ieri in linea con la nostra Costituzione, quella che «ripudia la guerra» senza se e senza ma, oggi si sono messi l’elmetto: «Se ti bussano alla porta di casa con un coltello – dicono – tu devi arrenderti e farti ammazzare?».
«Noi non vogliamo girarci dall’altra parte», continuano, giustificando l’invio di armi italiane per la guerra. Un punto di vista che risuona anche negli ultimi interventi di Mario Draghi. Il presidente del Consiglio questa settimana ha ascoltato il discorso in aula di Volodymyr Zelensky, il suo omologo ucraino che ha parlato in Parlamento, e poi gli ha risposto, ribadendo la posizione del Governo: «Dobbiamo rispondere con aiuti anche militari alla resistenza ucraina». Aiuti anche militari. Applausi dell’Aula. Meno seguito l’ha avuto chi invece provava a dire che al posto della “No fly zone” chiesta in ogni occasione dall’Ucraina, la nostra classe politica e perfino il Papa, sarebbero dovuti andare in Ucraina a “sfidare” l’invasione russa con i propri corpi. Insomma, una “No fly zone” umana, perché a quel punto Putin non avrebbe osato bombardare sui civili.
È quello che in un certo senso hanno fatto i primi ministri di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia che hanno voluto incontrare la scorsa settimana a Kiev il presidente Zelensky. Ma dopo di loro nessuno in Europa si è fatto più avanti. E in questa guerra che si combatte anche sui social, con la propaganda che viaggia tra Tiktok e Telegram, forse c’è bisogno di questo: di un pacifismo da blockbuster, di un gesto eclatante tanto da sembrare scritto dagli sceneggiatori che lavorano con Zelensky, quel presidente diventato realmente il “Servitore del popolo”, e che fino a ieri era solo il titolo di una fiction in cui aveva recitato.
È solo l’ennesima suggestione da divano e popcorn, me ne rendo conto, perché non so se si possa ottenere la pace con la diplomazia o le sanzioni. E non so nemmeno se la si possa ottenere con le armi. So solo che in Italia c’è un’intera generazione che per la prima volta si trova la guerra così vicino da avere paura della pace, se pace significa rimanere con le mani in mano. E la cosa mi spaventa. Mi spaventa che improvvisamente sia così difficile essere pacifisti. Perché lo siamo ancora un Paese pacifista, anche se tutte le nostre azioni politiche parlano solo di guerra?