Rolling Stone Italia

Cos’è questa storia di Di Maio contrabbandiere di vaccini?

Il premier albanese Edi Rama ha raccontato di come il ministro degli Esteri italiano abbia fatto avere al suo Paese una fornitura di vaccini in maniera non ufficiale. Non bibitaro capitato per caso al vertice delle istituzioni, ma insolito uomo di Stato, l'ex leader del M5s esce dalla politica a testa alta

Foto: Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

Sembra l’inizio di una barzelletta: «C’erano un napoletano e un albanese alle prese con loschi traffici…». In realtà quella raccontata ieri dal premier albanese Edi Rama sulla fornitura di vaccini inviati da Luigi Di Maio per interposti servizi segreti apre un inedito squarcio di luce nel racconto della complicatissima gestione della pandemia in Europa.

Edi Rama, pittore, socialista, ex sindaco di Tirana, primo ministro dell’Albania dal 2013, durante un convegno intitolato «La cultura salverà il mondo» che si è svolto a Bergamo domenica 9 ottobre, davanti al quasi ex ministro degli Esteri Di Maio, ha raccontato un retroscena inedito sui giorni cupi della prima ondata di Covid, quando i vaccini arrivavano a singhiozzo e centinaia di milioni di persone nel mondo non potevano uscire di casa.

«Se io sono un albanese-italiano, Di Maio è un napoletano-albanese, abbiamo fatto insieme un’operazione di contrabbando. Che italiano o albanese sei, se sei sempre in linea con la legge?», ha attaccato Rama attirando a sé l’interesse della platea, che probabilmente si aspettava una battuta di spirito e non un aneddoto reale.

«Non avevamo nessun vaccino e la pressione era altissima», ha proseguito il premier albanese. «La gente aveva paura di morire come pesci fuori dall’acqua ma non potevamo avere il vaccino. Ho chiesto a Luigi: ci potete dare un quantitativo simbolico ma per noi importante per cominciare a fare i vaccini a medici e infermieri?». Da qui, socialista vero, un attacco a Pfizer: «Pfizer aveva un contratto imperialista, capitalista: io do i vaccini a te ma tu non li puoi dare a nessuno. Una cosa tutt’altro che cristiana. Luigi ha detto: non possiamo farlo perché facciamo una cosa gravissima. Ma l’abbiamo fatto tramite un’operazione con i servizi segreti. Una cosa incredibile, il ministro degli Esteri dell’Italia e il primo ministro dell’Albania che passavano della merce di contrabbando per salvare delle persone».

Sembra effettivamente una vicenda d’altri tempi, novecentesca: una scena girata con un cromatismo vicino al seppia, uomini in cappotto lungo e borsalino che si scambiano occhiate d’intesa nei piazzali degli aeroporti, nessuna stretta di mano, chi s’è visto s’è visto. Un film di spionaggio, praticamente. Poi, diciamocelo, il contrabbando è tra le attività criminali la più romantica di tutte: i romanzieri e gli sceneggiatori sanno benissimo che, quando si vuole creare il personaggio del malvivente buono, è quello il settore che bisogna coinvolgere.

«Poi non potevamo nascondere i vaccini, dovevamo pure somministrarli – così prosegue il racconto di Rama -. Gli avvocati di Pfizer minacciavano cause e volevano sapere come li avevamo avuti, ma noi dicevamo solo: da un Paese amico. E quando chiedevano quale Paese, io ho detto: sapete, abbiamo imparato dai napoletani che non bisogna mai mollare un amico davanti alla polizia e così io non mollo l’amico». Consapevole che la cosa avrebbe potuto sobillare gli ormai ex nemici – per sopravvenuta scomparsa politica – di Di Maio, il primo ministro di Tirana ha chiuso così: «Adesso avrai i giornali che diranno addirittura un contrabbandiere, ma Luigi, ormai sei un uomo libero».

Ecco, quanto Luigi voglia davvero essere un uomo libero, posto che l’impegno istituzionale sia una prigione, non è dato sapere. Anzi, il sospetto che Di Maio avrebbe volentieri continuato a girare sulla giostra delle istituzioni appare più che fondato, ma se le elezioni non gli fossero andate malissimo, con ogni probabilità, non avremmo mai ascoltato questa storia. Giggino o’ contrabbandiere, comunque, non ha commentato. Praticamente non parla più dal giorno dopo le elezioni, e con ogni probabilità lascerà passare un bel po’ di tempo prima di tornare a farlo in pubblico.

L’Albania è stato il primo paese europeo dell’est a varare un lockdown. Era il 2 aprile del 2020 quando Edi Rama venne intervistato da Enrico Mentana all’interno del telegiornale di La7. L’Albania aveva appena mandato trenta sanitari in Italia per dare una mano e Rama aveva anche diffuso un appello (in italiano) alla solidarietà internazionale in un momento tanto difficile per tutti. Un altro gesto che sa di socialismo novecentesco, quello che non guarda ai confini ma all’umanità, e su questa base si muove come può. E come deve. Nell’intervista a Mentana, comunque, Rama sottolinea come negli anni ’90, quando il fenomeno dell’emigrazione albanese era imponente, «l’Italia è sempre stata vicina a noi» e che, dunque, tra i due popoli «c’è un sentimento di forte amicizia».

Nel novembre del 2020, poi, Di Maio si recò in Albania in visita ufficiale: niente di eccezionale, soliti incontri ufficiali, una comparsata in televisione, discorsi per lo più incentrati sulla vicinanza tra il popolo italiano e quello albanese. Una formalità all’apparenza. Adesso sappiamo che probabilmente c’era di più.

E c’è di più ancora, poi, in verità. Alla fine dello scorso luglio, Di Maio, commentando l’apertura del negoziato per l’adesione all’Unione Europea di Albania e Macedonia del Nord, aveva parlato di «una buona notizia che l’Italia rivendica». Ed è vero: il governo italiano ha di molto favorito in sede europea l’inizio di questo percorso. Sono notizie che per lo più sfuggono, che affogano nel mare della cronaca e non vengono considerate importanti. Il lavoro di ministro degli Esteri è delicato e, benché tutti lo considerano di assoluta importanza, non gode quasi mai di grande interesse da parte dell’opinione pubblica. In altri tempi alla Farnesina ci finiva l’uomo politico più importante che però, per motivi vari, non poteva fare il presidente del consiglio (Andreotti era un assiduo, per esempio). Di Maio, a conti fatti, dagli inizi come incendiario e fustigatore della politica tradizionale ha chiuso (per ora) la sua carriera da uomo delle istituzioni profondamente ancorato ai rituali e alle tradizioni repubblicane. Anche qui viene in soccorso la letteratura: i troppo pentiti affondano sempre. La storia del contrabbando di vaccini con l’Albania in parte raccontano un Di Maio diverso dal solito: non l’ex bibitaro capitato per caso al vertice delle istituzioni, ma un insolito uomo di stato che, in quanto tale, fa sempre il suo. E i cui meriti vengono riconosciuti soltanto dopo la parola fine.

Iscriviti