Così l’Italia è diventata una filiale della Casaleggio Associati | Rolling Stone Italia
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Così l’Italia è diventata una filiale della Casaleggio Associati

"Il sistema Casaleggio" è un atto d'accusa verso il M5S e il suo fondatore. Scritto da ex dirigenti del Movimento, il libro racconta come un'azienda piena di debiti sia divenuta forza egemone. Sotto il nostro naso

Così l’Italia è diventata una filiale della Casaleggio Associati

Giovanni Favia, Federico Pizzarotti, Gregorio De Falco. Sono tre nomi di personaggi che negli ultimi 10 anni hanno attraversato la storia del Movimento e che, una volta usciti (o più spesso cacciati), sono finiti in mezzo alla macchina degli schiaffoni a 5 Stelle. Anche Marco Canestrari e Nicola Biondo hanno avuto a che fare con l’attuale azionista di maggioranza del governo e anche loro, da posizioni del tutto diverse rispetto ai politici citati in precedenza, se ne sono andati senza mascherare il proprio dissenso. Eppure nessuno ha avuto da ridire.

Sarà che smentire le loro accuse è sempre stato complicato per i pentastellati. Canestrari, classe 1983, programmatore informatico che oggi vive a Londra, è stato dal 2007 al 2010, in una fase seminale per il Movimento, il numero 2 di Gianroberto Casaleggio, trait d’union tra lo staff del portale di Grillo e i meet-up locali, le future sezioni locali del partito. Nicola Biondo (1970) ha curato l’ufficio stampa dei 5 Stelle alla Camera tra il 2013 e il 2014, ai tempi della prima apparizione in parlamento. I due ora firmano insieme Il sistema Casaleggio, libro edito da Ponte alle grazie che racconta dall’interno l’incredibile esperienza di una piccola azienda a conduzione familiare (e con non pochi debiti) che si è presa l’Italia.

V-day, ci sei o non ci sei

Hai capito esattamente perché negli scorsi giorni il Garante per la privacy ha multato Rousseau?
CANESTRARI Recuperando le carte relative all’ispezione presso gli uffici di Rousseau, abbiamo scoperto che uno dei motivi della sanzione è stato “suggerito” al Garante proprio da Casaleggio. L’autorità aveva ordinato dei test sulla sicurezza della piattaforma, compito che è stato affidato dalla Casaleggio Associati a delle società terze, a pagamento. Sono state loro a stabilire che la piattaforma non è in alcun modo sicura, e che erano state violate le normative sul trattamento dei dati personali. Una notizia quasi di colore, ma che dà perfettamente l’idea di come spesso si procede lì dentro.

Perché è una questione di democrazia e non solo tecnico/tecnologica?
CANESTRARI Perché la piattaforma è stata usate per stabilire se un ministro dovesse andare a processo o meno: una volta che una decisione così importante viene subappaltata a un simile processo diventa inevitabilmente una questione di democrazia.

Nella nostra intervista (la potete trovare nel podcast qui sotto) Nicola Biondo dice che per Casaleggio tutto è marketing. E che questo è un problema serio quando si tratta di politica.
CANESTRARI La logica “marketing first” ha sempre prevalso nell’azienda, con una notevole accelerazione quando il timone è stato preso da Davide Casaleggio. Gianroberto aveva una sua utopia, per quanto assurda e sbagliata potesse essere, e un bagaglio culturale importante, mentre il figlio è uno che come prima mossa da leader ha salvato i conti della società. Quando è stato fondato Rousseau un dipendente della Casaleggio Associati è stato subito spostato nella nuova associazione, in modo che a pagarlo non fosse più l’azienda, che era in perdita. Poi, con incredibile fretta, tutte le attività sono state spostate da una realtà all’altra. Questo è il motivo per cui a pagare la multa ora sarà Rousseau, con i soldi dei parlamentari, e non Casaleggio.

Quindi gli elettori 5 Stelle, molti dei quali mossi anzitutto dal rifiuto di un ventennio berlusconiano, con il loro voto hanno salvato un’azienda…

CANESTRARI Sì, è successo. Ma rispetto a 25 anni fa c’è una “scusante” per gli elettori: di Berlusconi si sapeva tutto già all’epoca, mentre su Casaleggio c’è stata un’opera di distrazione molto significativa. Due giorni prima del V-Day a Bologna, per fare un esempio che ricordo bene, indicemmo una conferenza stampa a cui non si presentò nessuno, tanto che la cancellammo. Sotto il palco c’era solo la troupe di Santoro. Il nostro libro è stato necessario proprio per questo: non esisteva alcun testo che raccontasse l’uomo che amministra il principale partito di governo, un’anomalia non da poco.

Come sono stati i tuoi anni alla Casaleggio Associati?
CANESTRARI Sono stato cooptato alla Casaleggio da Gianroberto, che avevo conosciuto a un incontro dell’Italia dei valori, della cui comunicazione si occupava ai tempi. Sono stato con lui tre anni e mezzo ed è stata un’esperienza incredibile da un punto di vista umano e professionale. C’erano però anche molti lati negativi, soprattutto per quel che riguarda la mole e la qualità del lavoro. Molti processi venivano gestiti con una leggerezza e superficialità quasi sconcertante, la stessa che oggi vediamo nelle vicende che riguardano Rousseau. La Casaleggio era e rimane un’azienda gestita a livello familiare, con tutti i limiti che questo comporta.

Il Movimento a volte sembra una setta. Ha preso questo aspetto dalla Casaleggio Associati?
CANESTRARI Il Movimento non è una setta, ma utilizza alcuni metodi tipici delle sette. Gianroberto Casaleggio era ossessionato dalla riservatezza e aspettò fino al 2012 per dichiararsi come cofondatore dei 5 Stelle: questo terrore nell’esporsi pubblicamente è stato trasferito al partito, che è stato plasmato a immagine e somiglianza del suo creatore, con tutti i suoi difetti. Ancora adesso è di fatto vietato parlare di Casaleggio, nessuno è autorizzato a metterlo in discussione.

Tu e Nicola lo avete fatto. E di solito i fuoriusciti dal Movimento non sono stati trattati bene…

CANESTRARI In questi tre anni e mezzo, da quando abbiamo iniziato a raccontare cosa è diventato il Movimento (il loro primo libro è stato Supernova, ndr), la strategia è sempre stata quella di ignorarci, di cercare di non darci visibilità. So da fonti certe che è stata pianificata a tavolino. 

Perché conduci questa battaglia civile contro il tuo “ex datore di lavoro”?
CANESTRARI Quando mi sono licenziato avevo 26 anni e un contratto a tempo indeterminato, nel pieno della crisi economica. Non è stato semplice mollare. I motivi allora erano professionali, riguardavano il modo in cui veniva concepito il lavoro in quel posto. Con il tempo mi sono reso conto che grazie all’esperienza maturata in quegli anni – e lo stesso valeva per Nicola Biondo –possedevo delle chiavi di decrittazione dell’ambiente che altri non potevano avere. Per questo mi sembrava importante metterle a disposizione del pubblico.