Faccio parte di quella porzione consistente di italiani (siamo 12 milioni: come with us, we have cookies) costretta a fare i conti con l’insonnia. Senza ripararmi nel recinto di cartone della finta modestia, posso tranquillamente spingermi ad affermare che, negli anni, ho acquisito una discreta competenza nel padroneggiare quel campionario di tecniche, diversivi ed escamotage indispensabili per sopravvivere durante le ore di buio senza impazzire.
Così, mentre la stragrande maggioranza dei miei “congiunti” (ricordate la wave da primo decreto Covid?) si abbandona perdutamente tra le braccia di Morfeo, mi destreggio tra i passatempi più disparati: documentari, rewatch ossessivo-compulsivi delle puntate più iconiche di Blu Notte, recupero di dischi a cui sono particolarmente legato – piccolo spazio pubblicità: in questo periodo, l’opzione prediletta è quasi sempre The Low End Theory, A Tribe Called Quest – e, soprattutto, video d’attualità politica italiana (quando le palpebre rimangono serrate, anche una sessione di question time alla Camera si trasforma in una compagnia inestimabile).
Ebbene, qualche sera fa, in un raro slancio di masochismo, la scelta è ricaduta sulla convention napoletana di Forza Italia. Ne parlavano tutti, non tanto in relazione ai contenuti politici della conferenza – e quando mai – quanto piuttosto a causa della partecipazione Ronn Moss, il Ridge Forrester di Beautiful che tutti abbiamo imparato a conoscere quando i nostri genitori ci parcheggiavano dai nonni. Dopo aver raccontato del suo amore per la Puglia – che lo ha portato di recente a investire in una masseria del XVIII secolo tra Fasano e Monopoli – Moss ha affermato che, se vivesse in pianta stabile nel Bel Paese, sposerebbe senza troppi problemi la causa di Forza Italia: «Sono molto felice di essere qui e ringrazio Silvio Berlusconi. Se fossi residente in Italia non avrei dubbi, voterei per lui», ha detto, incassando gli applausi scroscianti dei berlusconiani della Mostra d’Oltremare.
Lo spot elettorale di Moss ha causato in me una strana sensazione di smarrimento; all’improvviso, un interrogativo ha iniziato a prendere posto in cima alla lista dei miei pensieri notturni: che senso potrà mai avere, nel 2022, l’endorsement pubblico di un residuato di televisione anni ’90? Su un piano puramente teorico e di marketing elettorale, ovviamente, nessuno – a meno che Forza Italia non intenda fare incetta di voti tra over 70 o capitalizzare sulle bocciofile, le sale da ballo e i club del cucito che affollano lo Stivale, s’intende.
Osservando la convention, però, mi sono reso conto che, nel microcosmo decadente di Forza Italia, ogni cosa è dominata da un sottofondo nostalgico: è come se Berlusconi avesse deciso di impugnare fieramente la bandiera del “There is no future” per abbandonarsi perdutamente al recupero di ciò che è stato e al culto del desueto più radicale, concentrando tutte le forze sulla rielaborazione del suo mito di fondazione e su un’attenta riscrittura delle proprie origini, seguendo le direttrici di una grande “operazione nostalgia” che potrebbe permettergli di consegnarsi alla memoria collettiva nella veste di icona.
La sensazione è che il leader dei leader stia cavalcando un’ondata di “retromania” all’insegna della ricerca continua del vintage, del retrò e del tentativo di far rivivere epoche felici come, per esempio, gli anni d’oro di Non è la rai e dei contratti a tempo indeterminato della Standa.
L’immaginario che Berlusconi tenta di rievocare nelle sue – ormai rare – apparizioni in pubblica piazza è quello di un’Italia che non è mai esistita ma che ha sempre tentato di vendere ai suoi elettori: un Paese accogliente e abitato da brava gente, in cui la prima casa è un valore inestimabile e sempre e comunque esentasse, i ristoranti sono pieni, gli 883 dominano le hit parade, le donne sono le regine del focolare, Travaglio è il nemico pubblico numero uno e la mamma beh, è sempre la mamma (ci arriveremo tra poco).
Adottando questa lente, anche l’intervento di Moss si inserisce in una specie di cornice di senso: Ridge Forrester era il mattatore indiscusso dell’immaginario nazionalpopolare quando Berlusconi era il mattatore indiscusso della politica italiana, era il divo del primo pomeriggio degli spettatori Mediaset quando il patron di Fininvest era più simile a una divinità pagana che a un politico dai larghi consensi. In uno schema del genere, l’appoggio di Moss è un attestato di stima senza eguali.
Diverse dichiarazioni che Berlusconi ha pronunciato davanti al suo “popolo” durante la kermesse partenopea, colme di maccartismo da Guerra Fredda, afflati di ironia facilona da barzellettiere navigato, promesse elettorale in stile post-Tangentopoli (le solite: abbassare le tasse a ogni costo e proteggere la prima casa) e riferimenti al suo passato da imprenditore visionario e tombeur de femmes, sembrano porsi in continuità con questa deriva démodé. Ad esempio, ha raccontato che «Nel 1948 ero già in campo per difendere la libertà e cosa facevo? Attaccavo manifesti… E uno di questi manifesti recitava: “Nella cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no”. Naturalmente li attaccavo sui manifesti del partito comunista perché loro li attaccavano sui nostri…».
Parlando poi della “discesa in campo” nel ’94, Berlusconi ha rievocato uno dei personaggi più ricorrenti della sua narrazione: l’immancabile mamma Rosa, dispensatrice di consigli e unica, vera donna della sua vita, la cui benedizione ha rappresentato una conditio sine qua non indispensabile per il successo del suo progetto politico: «Mia madre mi disse che era pericoloso fare un partito ma anche che se questo era il mio desiderio, dovevo andare avanti».
Insomma, l’impressione è che Berlusconi abbia deciso di guardare al futuro buttandosi a capofitto nella celebrazione dei bei tempi che furono: ma funzionerà?