L’offensiva proibizionista che Fratelli d’Italia sta portando avanti da tempi non sospetti ha preso di mira anche la cannabis light con una proposta di legge ad hoc che, secondo Repubblica, è già stata protocollata e verrà portata avanti, di pari passo, con la proposta che fa parlare molti in questi giorni, ossia quella che programma di vietare il fumo all’aperto.
Il ddl anti-canapa è firmato da una dozzina di parlamentari: da Antonio Iannone, tesoriere del gruppo FDI a Palazzo Madama, la vice-capogruppo Antonella Zedda, alla senatrice Domenica Spinelli. La proposta di legge è composta da due articoli: il primo prevede una modifica alla legge 242 del 2016, la legge quadro per la canapa industriale, con l’aggiunta del comma 3-bis all’articolo 1 che prevederebbe che: «Le disposizioni di cui alla presente legge non si applicano all’importazione e alla commercializzazione delle infiorescenze della canapa per uso ricreativo».
La seconda modifica, invece, riguarda l’articolo 4, al quale verrebbe aggiunto il nuovo comma 7-bis: «In caso di violazione della disposizione di cui all’articolo 1, comma 3-bis, si applicano le disposizioni del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presi- dente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309».
I parlamentari promotori hanno riconosciuto l’assenza di qualsiasi effetto psicotropo della cannabis light, ma i motivi che li spingono a remare in direzione della proibizione sono interamente ideologici: dal loro punto di vista, in breve, la canapa industriale «avvicinerebbe i giovani alla droga».
Che il proibizionismo verso la canapa rappresenti uno dei tratti distintivi di questo governo lo si era capito già la scorsa settimana, dopo il coro di polemiche sollevato dall’intrusione della polizia nel mezzo di un’assemblea di un istituto di Piazza Armerina. Il motivo? L’oggetto dell’incontro: la legalizzazione della cannabis e il previsto intervento di Pierluigi Gagliardi, uno dei collaboratori dell’associazione “Meglio Legale”.
Stando a quanto ricostruito, la questura avrebbe scelto di intervenire dopo una “segnalazione anonima”: la Preside dell’istituto, Lidia Gangi, in quel momento era assente, e ha dovuto confermare in videochiamata di aver autorizzato l’assemblea, cosa che non ha fatto desistere gli agenti dal chiedere le generalità agli studenti. Alle legittime richieste di chiarimenti da parte dei rappresentanti, comprensibilmente stupiti dall’irruzione della polizia, gli agenti avrebbero opposto una frase da b movie: «le domande le facciamo noi».
Il senatore Maurizio Gasparri ha addirittura annunciato di volere presentare un’interrogazione al ministro Valditara per sapere cosa è accaduto all’interno dell’istituto. «Si possono tenere assemblee per minimizzare i pericoli delle droghe? La scuola può diventare un luogo di diseducazione invece che una sede dove evidenziare i pericoli delle droghe, di tutte le droghe?», si è chiesto Gasparri, che ha definito l’avvenuto «gravissimo, ma nel senso contrario rispetto a quello indicato da tanti ipocriti della sinistra».
Si tratta di un episodio gravissimo, che alza inevitabilmente l’asticella della repressione: il tema della legalizzazione della cannabis è regolarmente discusso all’interno delle aule parlamentari, e non si capisce per quale motivo le forze dell’ordine possano essersi sentite in diritto di intervenire quando il medesimo dibattito viene svolto a scuola – il luogo in cui, a norma di legge, le assemblee «costituiscono occasione di partecipazione democratica per l’approfondimento dei problemi della scuola e della società in funzione della formazione culturale e civile degli studenti» (Art. 13, DL n. 297/94).
Insomma: nel gioco delle parti, il governo Meloni ha deciso di interpretare il suo ruolo al meglio proclamando una nuova crociata contro la cannabis tout court.