Nelle scorse settimane i Radicali, insieme agli attivisti e alle attiviste della campagna Libera di abortire, hanno lanciato una raccolta firme per una proposta di legge per «superare la 194 e garantire un aborto libero e sicuro a tutte e tutti». Ma quella promossa dai Radicali non è l’unica iniziativa con l’obiettivo di riformulare la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza. I cosiddetti movimenti pro life hanno infatti annunciato una campagna di raccolta firme per inserire all’interno della 194 l’obbligo da parte del medico di far ascoltare il battito cardiaco del feto alla persona intenzionata ad abortire. Una misura violenta che si verifica già in molte strutture del nostro Paese, come denunciano gli attivisti e le attiviste femministe.
L’insistenza con cui i cosiddetti movimenti pro life si oppongono all’aborto – anche con pratiche violente – non è nuova. Ma nell’ultimo periodo, la narrazione no choice ha cominciato a servirsi dello spettro dell’inverno demografico come ulteriore “prova” della presunta pericolosità sociale dell’aborto, attirando le simpatie della destra conservatrice. Del resto, Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia è convinto che «nessun rilancio demografico sarà mai possibile se continueremo a tacere la verità sull’aborto». «L’aborto infatti non ha solo impedito a circa sei milioni di bimbi di vedere la luce in Italia dall’approvazione della Legge 194, ma ha generato in 45 anni una diffusa cultura individualista e anti-natalista, trasformando la nascita di un bambino, la maternità e la paternità da valori sociali fondamentali per il bene comune a fatti privati», ha detto durante la Manifestazione Nazionale “Scegliamo la Vita” dello scorso maggio.
La preoccupazione per la diminuzione delle nascite è da sempre un tema politico oltre che religioso e i movimenti no choice lo sanno molto bene. Come scrive Giulia Galeotti in Storia dell’aborto, la paura generalizzata per il crollo della natalità non è nuova e si diffonde a partire dagli inizi dell’Ottocento. Se all’epoca la condanna dell’aborto – e delle pratiche contraccettive – era mossa da motivazioni più politiche che religiose, oggi i cosiddetti movimenti pro life, legati agli ambienti cattolici conservatori, lo usano per collocarsi e rendersi riconoscibili all’interno del dibattito pubblico. Come sottolinea a Rolling Stone Massimo Prearo, responsabile scientifico del centro di ricerca PoliTeSse, «l’argomento del calo demografico è usato in tutto il mondo per sostenere le tesi anti abortiste da un lato e quelle familiste dall’altro, che vogliono portare avanti l’idea di una famiglia “tradizionale”, formata da un uomo e una donna». «Il fatto che in Italia ci sia un calo della natalità, che però deriva da tanti fattori, fornisce un’interpretazione conservatrice che si contrappone a una visione progressista che vede nella diminuzione delle nascite la mancanza di fattori socio economici che siano di sostegno alle persone», spiega. «È un argomento conflittuale che trova terreno fertile in un Paese come il nostro dove il dibattito è impostato sulla polemica e la polarizzazione. Si tratta quindi di un’opportunità per i cosiddetti movimenti pro life». L’incombente inverno demografico è quindi usato per fare pressione sui governi perché portino avanti politiche di sostegno alle famiglie, ma di fatto non alla natalità. «Per questi movimenti le famiglie da sostenere sono solo quelle “tradizionali”, perché riconoscere anche le altre tipologie di famiglie vorrebbe dire essere contro “la famiglia”, che per i cosiddetti pro life è sempre fatta da una mamma e un papà», dice Prearo.
La necessità di trovare soluzioni al calo demografico non è però l’unica ragione che ha portato i cosiddetti movimenti pro life a essere così presenti oggi dentro e fuori il dibattito pubblico. «È una questione che si lega alla traiettoria del cattolicesimo politico italiano e alla sua crisi con la scomparsa della Democrazia Cristiana, oltre che alla crisi interna organizzativa del Movimento per la vita, un tempo molto più integrato politicamente» spiega Prearo. «Dagli anni Duemila in poi, l’area di attivismo cattolico cosiddetto pro life si stacca dal movimento principale e costruisce un polo di movimento più radicale, intransigente e contestatario, meno propenso al compromesso politico». Le nuove questioni entrate a far parte del dibattito pubblico in quel momento storico hanno poi fatto il resto. «La cosiddetta teoria del gender è stata la leva su cui questo nuovo polo ha lavorato per costruire un orizzonte politico che andasse oltre le istanze pro life e anti eutanasia e si occupasse anche di sessualità, genere e famiglia». In questo senso, i movimenti anti gender, pro vita e famiglia sono diventati dominanti e «sono diventati la voce politica dell’intera area cosiddetta pro life». «Si trattava di un distacco che dimostrava quanto il Movimento per la vita non fosse più sufficiente a portare avanti battaglie efficaci sulle nuove tematiche legate al genere e alla sessualità che sono emerse negli anni».
Al piano ideologico dei movimenti no choice si lega però anche un piano materiale, portato avanti dai volontari e dalle volontarie nei cosiddetti Centri di aiuto alla vita sparsi per il nostro Paese. «Qui il sostegno alla natalità – e alla “famiglia” – è inteso come sforzo per “convincere” a non abortire», dice Prearo. «È il famoso “diritto a non abortire” di cui parlava anche Giorgia Meloni in campagna elettorale». Qui l’argomento di cui si servono i movimenti no choice per opporsi all’aborto è quello economico: alle persone che vogliono interrompere una gravidanza, i volontari dei CAV rispondono con «non c’è bisogno di abortire perché abbiamo fondi per sostenere tu e tuo figlio». E in questo modo il tema dell’aborto si riduce a una questione puramente economica. «Ma questa è l’azione solo sul piano individuale e materiale, portata avanti da volontari e attivisti no choice», dice Prearo. «Sul piano politico e ideologico c’è invece un ragionamento più ampio che usa il calo demografico per fare pressione sui governi per avere politiche di sostegno alle famiglie tradizionali». E i cui riflessi sono sempre più distinguibili all’interno delle proposte portate avanti dai governi di destra. Ma si tratta di posizioni che lasciano fuori gli aspetti più complessi legati al calo della natalità e che rischiano di inibire il dibattito pubblico sul tema.